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Vangelo Migrante:Giovedì Santo (Vangelo Gv 13, 1-15)

9 Aprile 2020 - Con la celebrazione del Giovedì Santo, ha inizio il triduo pasquale. La Cena con i discepoli è innanzitutto un desiderio di Gesù che dice “ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione” (Lc 22,15-16). Gesù desidera portare a compimento il disegno di salvezza di Dio: completare l’esodo e arrivare alla terra promessa. La Chiesa ha il mandato di perpetuare questa memoria di Gesù. In questo momento in cui tante persone non possono partecipare alla comunione sacramentalmente, ma solo a quella spirituale, c’è una grande sofferenza. Se di questo ne stiamo facendo tutti esperienza, a casa, su un letto di ospedale o in corsia, è bene ricordare che non sempre il luogo del cenacolo sono le Chiese. Più volte nella storia, e sovente anche ai nostri giorni, ci sono cristiani che vivono la Pasqua non nei luoghi di culto ma in quelli dove si soffre: nei campi, nei deserti, su una nave, in una galera, in terra straniera …, eppure, dalle esperienze che condividiamo con loro, ci sarà capitato di constatare che la celebrano, comunque. Evidentemente non con dei riti ma attraverso la loro tribolazione che li unisce, nel modo più forte che ci potesse essere, al passaggio di Gesù da morte a vita: la passione e la fiducia in una vita migliore per sè e per le loro famiglie.  Nelle chiese locali i pastori insistono perché, con le chiese che dovranno rimanere vuote, le case dei fedeli diventino, giustamente, il luogo della festa cristiana per eccellenza. Nella pagina del Vangelo di Giovanni Gesù ci mostra il modo più adeguato per celebrare “in spirito e verità” e lo fa con il gesto di deporre le vesti e chinarsi ai piedi: l’amore ardente che si dona fino all’ultima stilla, si capisce sempre dopo, eppure il cuore intuisce i gesti necessari per farsi mendicanti dell’amore e per donarlo. L’amore quello vero, che solo il Signore può donarci, è il farmaco più potente del mondo ed il miracolo più grande dell’universo. Un cuore convertito ed uno sguardo purificato, sanno accoglierlo. La Lavanda dei piedi, che noi non potremo fare, è quel gesto. È l’azione del capovolgimento della vita: icona del servizio, della gratuità e dello sporcarsi le mani. Per gli altri.

p. Gaetano Saracino

     

Vangelo Migrante: commento al vangelo della Domenica delle Palme e della Passione del Signore (Mt 26, 14-27)

4 Aprile 2020 - Il brano del Vangelo conosciuto come Passio proclamato a più voci nella Domenica delle Palme, ci introduce nella Settimana Santa. Il tempo che stiamo vivendo, anche in assenza delle coinvolgenti celebrazioni, è particolarmente indicato a farci comprendere innanzitutto che la Passione non è solo del Figlio di Dio; ma è Sua solo in quanto offerta per noi e partecipata con noi! Su quella croce sono appese tutte le contrarietà del tempo presente: eravamo in grado (o pensavamo di esserlo) di esercitare ogni forma di libertà e ci siamo accorti che non bastiamo a noi stessi. Qualcosa riesce ancora a piegarci. Pensavamo che le risorse a disposizione, i confini marcati, fossero tutte cose solo nostre, da difendere ad ogni costo, prima che un bene da condividere; ora tocca metterle a disposizione per la salute di tutti. L’umanità, anche nelle epidemie, non ha confini. Papa Francesco parla di “abitudini falsamente risolutrici” che, unite ad egoismi e protervie ostinate hanno finito per abbandonare l’uomo al suo dolore e alla Sua croce e si stanno prendendo gioco di lui. Sebbene si possa pensare che l’uomo se le sia cercate e, quindi, si merita quello che subisce, la croce ci ricorda che l’uomo non è stato creato per esse ma esse, a causa del peccato, sono entrate nella vita dell’uomo. Questa è la croce che Gesù partecipa con tutti: per il peccato viene accusato e condannato un innocente. Quante altre volte accade? Eppure là dove tutto sembra finito, nella croce, si inizia a scrivere la Resurrezione. Nello scherno dei presenti si chiarisce che il Dio di Gesù Cristo non è quello che restituisce, a comando, quello che ci ha chiesto nell’osservanza. Nell’ultimo grido si chiarisce chi è che ha bisogno e chi è l’unico in grado di rispondere. Nell’ultimo respiro si chiarisce che la resa dell’impotenza umana si risolve con la fede, non quella che si interroga sull’esistenza di Dio ma quella che si apre alla fiducia e ammette di avere bisogno di salvezza. Il bisogno diventa abbandono a Dio. Dio non lo lascia cadere e ne fa un abbraccio-necessario. È l’inizio della fede: Dio inizia la Sua opera di salvezza nella croce prima ancora che nella discesa dalla croce.   Se una prova genera la necessità della fede; Dio risponde sempre e non dimentica nessuno appeso in croce. E inventa la Resurrezione !

p. Gaetano Saracino

 

Vangelo Migrante: commento al vangelo della Domenica delle Palme e della Passione del Signore (Mt 26, 14-27)

2 Aprile 2020 -  Il brano del Vangelo conosciuto come Passio proclamato a più voci nella Domenica delle Palme, ci introduce nella Settimana Santa. Il tempo che stiamo vivendo, anche in assenza delle coinvolgenti celebrazioni, è particolarmente indicato a farci comprendere innanzitutto che la Passione non è solo del Figlio di Dio; ma è Sua solo in quanto offerta per noi e partecipata con noi! Su quella croce sono appese tutte le contrarietà del tempo presente: eravamo in grado (o pensavamo di esserlo) di esercitare ogni forma di libertà e ci siamo accorti che non bastiamo a noi stessi. Qualcosa riesce ancora a piegarci. Pensavamo che le risorse a disposizione, i confini marcati, fossero tutte cose solo nostre, da difendere ad ogni costo, prima che un bene da condividere; ora tocca metterle a disposizione per la salute di tutti. L’umanità, anche nelle epidemie, non ha confini. Papa Francesco parla di “abitudini falsamente risolutrici” che, unite ad egoismi e protervie ostinate hanno finito per abbandonare l’uomo al suo dolore e alla Sua croce e si stanno prendendo gioco di lui. Sebbene si possa pensare che l’uomo se le sia cercate e, quindi, si merita quello che subisce, la croce ci ricorda che l’uomo non è stato creato per esse ma esse, a causa del peccato, sono entrate nella vita dell’uomo. Questa è la croce che Gesù partecipa con tutti: per il peccato viene accusato e condannato un innocente. Quante altre volte accade? Eppure là dove tutto sembra finito, nella croce, si inizia a scrivere la Resurrezione. Nello scherno dei presenti si chiarisce che il Dio di Gesù Cristo non è quello che restituisce, a comando, quello che ci ha chiesto nell’osservanza. Nell’ultimo grido si chiarisce chi è che ha bisogno e chi è l’unico in grado di rispondere. Nell’ultimo respiro si chiarisce che la resa dell’impotenza umana si risolve con la fede, non quella che si interroga sull’esistenza di Dio ma quella che si apre alla fiducia e ammette di avere bisogno di salvezza. Il bisogno diventa abbandono a Dio. Dio non lo lascia cadere e ne fa un abbraccio-necessario. È l’inizio della fede: Dio inizia la Sua opera di salvezza nella croce prima ancora che nella discesa dalla croce.   Se una prova genera la necessità della fede; Dio risponde sempre e non dimentica nessuno appeso in croce. E inventa la Resurrezione !

p. Gaetano Saracino

 

Vangelo Migrante: commento al Vangelo della V domenica di Quaresima (Gv 11, 1-45. Resurrezione di Lazzaro

28 Marzo 2020 - In un crescendo, nei Vangeli di queste domeniche sono apparsi con sempre maggiore evidenza il dramma dell’uomo e la gloria di Dio: nell’uomo prevale la necessità dell’acqua, della luce, della vita; da Dio provengono la sorgente che disseta, la verità che illumina, la resurrezione che dà vita. L’episodio della resurrezione di Lazzaro, questa domenica, è la prova generale della Resurrezione di Gesù, il fondamento della nostra fede. La morte resta un dramma ed è il problema dell’uomo. Non solo quella esistenziale ma anche le tante morti e mortificazioni, dinanzi alle quali i nostri desideri e i nostri progetti non possono nulla. In questi giorni ne stiamo avendo la prova. Nel Vangelo odierno colpisce una sorta di lentezza da parte di Gesù. Marta, la sorella del defunto gliela fa notare.: “se tu eri qui, mio fratello non moriva”. A volte l’attesa di un Suo intervento, lento e quasi distratto, sembra metterci alla prova. Perché fa così? Dal Vangelo odierno impariamo che i tempi di Dio non sono i nostri e l’intervento di Dio non va confuso nel far qualcosa: Dio non è cura palliativa ma uno che risolve le cose alla radice. Come per la Samaritana Egli chiede da bere per poi offrire acqua in abbondanza, così per Lazzaro aspetta la morte, ed anche una sorta di necrosi, per poter operare la vita. È probabile, e anche molto umano che, presi dalle nostre paure e dal nostro dolore, noi non ce ne accorgiamo. Il primo segno dell’Opera di Dio è proprio questo: nella necrosi nessuno mette mano; Gesù lo fa perché Dio va dove non va nessuno. E da lì ricomincia la vita: scatena le porte degli inferi e riprende l’uomo dove i vermi se lo mangiano e lo porta con sé. Il Suo pianto è una risposta a Maria. Sembra dirgli: “Ho colto profondamente il tuo stato. Ti ho accolto”. Il passaggio è importante. Molte volte, impotenti dinanzi alle tante lacrime di chi chiede di essere accolto, forse anche a noi è sembrato più logico darci da fare senza aver fatto prima quel silenzio, anche ferito e in lacrime, che ci mette in condizione di entrare in relazione con Dio, farci accogliere da Lui e riconoscere l’Opera sua, che vive e dà vita anche attraverso le nostre azioni. Solo sentendoci accolti dal Lui possiamo dare il meglio di noi stessi.

P. Gaetano Saracino

 

Vangelo Migrante: commento al Vangelo della V domenica di Quaresima (Gv 11, 1-45. Resurrezione di Lazzaro)

26 Marzo 2020 - In un crescendo, nei Vangeli di queste domeniche sono apparsi con sempre maggiore evidenza il dramma dell’uomo e la gloria di Dio: nell’uomo prevale la necessità dell’acqua, della luce, della vita; da Dio provengono la sorgente che disseta, la verità che illumina, la resurrezione che dà vita. L’episodio della resurrezione di Lazzaro, questa domenica, è la prova generale della Resurrezione di Gesù, il fondamento della nostra fede. La morte resta un dramma ed è il problema dell’uomo. Non solo quella esistenziale ma anche le tante morti e mortificazioni, dinanzi alle quali i nostri desideri e i nostri progetti non possono nulla. In questi giorni ne stiamo avendo la prova. Nel Vangelo odierno colpisce una sorta di lentezza da parte di Gesù. Marta, la sorella del defunto gliela fa notare.: “se tu eri qui, mio fratello non moriva”. A volte l’attesa di un Suo intervento, lento e quasi distratto, sembra metterci alla prova. Perché fa così? Dal Vangelo odierno impariamo che i tempi di Dio non sono i nostri e l’intervento di Dio non va confuso nel far qualcosa: Dio non è cura palliativa ma uno che risolve le cose alla radice. Come per la Samaritana Egli chiede da bere per poi offrire acqua in abbondanza, così per Lazzaro aspetta la morte, ed anche una sorta di necrosi, per poter operare la vita. È probabile, e anche molto umano che, presi dalle nostre paure e dal nostro dolore, noi non ce ne accorgiamo. Il primo segno dell’Opera di Dio è proprio questo: nella necrosi nessuno mette mano; Gesù lo fa perché Dio va dove non va nessuno. E da lì ricomincia la vita: scatena le porte degli inferi e riprende l’uomo dove i vermi se lo mangiano e lo porta con sé. Il Suo pianto è una risposta a Maria. Sembra dirgli: Ho colto profondamente il tuo stato. Ti ho accolto”. Il passaggio è importante. Molte volte, impotenti dinanzi alle tante lacrime di chi chiede di essere accolto, forse anche a noi è sembrato più logico darci da fare senza aver fatto prima quel silenzio, anche ferito e in lacrime, che ci mette in condizione di entrare in relazione con Dio, farci accogliere da Lui e riconoscere l’Opera sua, che vive e dà vita anche attraverso le nostre azioni. Solo sentendoci accolti dal Lui possiamo dare il meglio di noi stessi

P. Gaetano Saracino

Vangelo Migrante: commento alla IV domenica di Quaresima (Gv 9, 1-41. Il cieco nato)

22 Marzo 2020 -
L’acqua promessa alla Samaritana, questa domenica diventa segno di guarigione. Non una guarigione qualsiasi ma un ritorno alla luce che fa vedere ogni cosa.
Nel cammino di preparazione al battesimo dei catecumeni, questa domenica è una tappa fondamentale. Anche tra i migranti che serviamo e a cui rivolgiamo le nostre cure pastorali ci sono persone impegnate nel cammino del catecumenato; come il cieco nato, per essi questa è la domenica della professione di fede: credo, Signore! Di sicuro a ciascuno sarà pervenuta la notizia delle modalità liturgiche e temporali in cui questo avverrà, vista la situazione che stiamo vivendo. Ma l’occasione è propizia per tutti i battezzati perché ci invita a vivere la tensione dell’inizio della nostra vita cristiana. Essa non è per nulla scontata, visto che anche da cristiani resta l’esigenza di una guarigione degli occhi di una fede spesso impastata da troppi distinguo e cortesi distacchi da altri fratelli e sorelle battezzati allo stesso modo o da altri uomini e donne venuti da lontano e chiamati alla fede. Lo sguardo umano, apparentemente neutro, sovente si adagia sull’esteriorità delle cose e delle relazioni fino a sostituire la verità nelle cose e nelle persone: l’esclusione del cieco è verità indiscussa e indiscutibile per lui, per i suoi stessi parenti e ovviamente per coloro che l’hanno decretata. Non per Gesù. E questo avviene perché il bisogno di vedere rimane. Non può spegnersi ciò per cui siamo stati creati. L’opera di Dio non può essere annientata. Ne è prova il fatto che la vista ricevuta crea un problema in comunità: il cieco (lo straniero) dove lo mettiamo? Non è ipocrisia. Troppo facile. È aver perso di vista Dio. È questo che produce ipocrisia sicché anche la lode che il cieco fa (dottrinalmente impeccabile) risulta inammissibile. Dio non vuole la morte di nessuno. E Gesù, che è da Dio, è venuto a fare cose che solo Dio sa fare. Ma perché queste accadano, è necessaria una fede che fa vedere oltre il legalismo o il buon senso, nelle quali ci ricacciano le cose di questo mondo ma che non provengono da Dio e non portano a Dio. Che non capiti anche a noi che questa presunzionenella quale tentiamo di recintare la nostra vita e, in proiezione, quella di altri uomini e donne, faccia ancora esclamare al Maestro: “se foste ciechi non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘noi vediamo’, il vostro peccato rimane!” (p. Gaetano Saracino)