Primo Piano
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Livorno: oggi e domani convegno “Medì” sullo sviluppo delle relazioni tra le città del Mediterraneo
Migrantes Torino: la solidarietà viaggia in apecar. Anzi, in “ApeCare”
Torino - Tre volte a settimana arrivano nel quartiere torinese Aurora, parcheggiano un’apecar bianco e verde, indossano pettorine bianche e con scope e palette iniziano a pulire il marciapiede. Sono i giovani del progetto 'ApeCAre' che la Migrantes della diocesi di Torino e l’associazione di volontariato “Camminare Insieme” hanno elaborato e che da gennaio hanno iniziato la propria attività. Lo scopo non è togliere mozziconi o cartacce, ma incontrare sul territorio le persone fragili, avviare contatti e poi cercare soluzioni alle diverse situazioni. Il progetto ha ottenuto il finanziamento del bando “ToNite” del programma europeo Uia ( Urban innovative actions) sul tema “Urban security” e si sviluppa in uno dei quartieri più multietnici di Torino (nella zona Nord) sempre più teatro di episodi di violenza, spaccio, degrado, anche in pieno giorno. «Posso fare anche io il volontario?», «Mi trovi davvero un lavoro?», «Ma domani mi chiami?»: sono passati pochi minuti dal loro arrivo ed ecco che Mamadou, Idriss, Diallo si rivolgono già ai ragazzi, li hanno visti mettersi a pulire il marciapiede, ma anche fermarsi a salutare e così ci provano anche loro, stupiti, perché in quel corso chi non è del quartiere passa veloce… Fermarsi a parlare con le persone che si guarderebbero con sospetto, fermarsi con chi ha lavorato tutto il giorno su un ponteggio e, passando, scambia alcune battute forse cercando nel dialogo un po’ di quella umanità che qui sembra aver perso. Questa è la sfida dei giovani di “ApeCare”: stabilire un dialogo a partire da una azione semplice come quella di usare ramazza e paletta, ma anche fare emergere il volto bello e vitale del quartiere: il volto sorridente della signora italiana che da quando li vede al giovedì sforna una torta per loro e la offre in strada, o quello del giovane gambiano che al ritorno dal lavoro mette la musica per tutti e accompagna a ritmo i pulitori. «All’interno di questo progetto –, spiega Sergio Durando direttore dell’Ufficio Migrantes – “ApeCare”, si propone infatti di costruire occasioni di incontro avvicinando, con un presidio sociosanitario mobile riconoscibile, persone fragili del quartiere portando direttamente sul territorio le competenze mediche della Camminare Insieme e quelle socio-pastorali dell’Ufficio Migranes. L’obiettivo è quello di offrire un accompagnamento all’accesso ai servizi di cura, prevenzione e informazione pubblici e del privato sociale a persone che, per vari motivi, non riescono ad accedere alle risorse del territorio. Per fare questo, abbiamo coinvolto e formato 25 animatori di strada: studenti universitari, lavoratori e rifugiati».
«La forza del progetto –, aggiunge Giulio Fornero, direttore sanitario della Camminare Insieme – sta nel fatto che dietro all’aggancio ci sono delle strutture pronte a accogliere le richieste delle persone e un poliambulatorio attrezzato per la tutela e la promozione della salute». E in quattro mesi sono già 300 i contatti stabiliti: persone che hanno lasciato il proprio numero all ’“ApeCare” e sono stati richiamati. «Per me – conclude Durando – è come portare l’Ufficio per strada, tra la gente che in sede non arriverebbe mai, ma che non può essere lasciata a se stessa».
Vangelo Migrante: Ascensione del Signore | Vangelo (Lc 24,46-53)
“Ius scholae” in calendario alla Camera il 24 giugno
Roma - La proposta di legge sullo 'Ius scholae' in materia di cittadinanza verrà discussa alla Camera dal 24 giugno: lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. «La calendarizzazione è una buona notizia per tutte le realtà della società civile che si stanno mobilitando con passione e orgoglio» ha dichiarato Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera e relatore del provvedimento che, se approvato, riguarderebbe un milione di ragazzi stranieri che già frequentano le nostre scuole.
Africa, un racconto oltre i pregiudizi
Milano - Lo sport è la strada che potrebbe allargare lo sguardo sull’Africa dei media italiani. Dove la situazione, stando al rapporto curato da Amref e dall’Osservatorio di Pavia 'Africa MEDIAta' è in leggero miglioramento, ma molto distante dagli standard europei di informazione sul continente a noi prossimo definito dagli esperti macrocontinente del nostro destino. Le crisi economiche, energetiche e alimentari dovute alla pandemia, alla guerra e al persistente inverno demografico dovrebbero suggerire di spostare l’attenzione giornalistica un po’ più a sud del Nord Africa e con una narrazione meno emergenziale e incentrata sull’'Africa qui', come la definiscono i ricercatori, cioè italocentrica o eurocentrica. Senza contare che l’ignoranza produce razzismo. Ma sui sei quotidiani italiani presi in esame da marzo 2021 a febbraio 2022, sulle prime pagine l’Africa è apparsa in media, ogni mese, 16 volte. È Avvenire il quotidiano che le ha dedicato il maggior numero di notizie (277) seguito dalla Stampa. E secondo Giuseppe Milazzo dell’Osservatorio di Pavia, «in due terzi dei casi le notizie erano sui migranti africani che vivono o transitano in Italia. Solo un terzo era invece dedicato ad avvenimenti che hanno avuto luogo in Africa ('Africa là', ndr), nella stragrande maggioranza dei casi in associazione a temi che alimentano 'l’afro pessimismo', come guerre e conflitti». Altre notizie riguardano il razzismo, prendendo spunto ad esempio dalle accuse di Meghan Markle alla casa reale britannica e il dibattito sull’inchino dei giocatori ai campionati europei di calcio. Libia ed Egitto per le notizie sugli sbarchi e i casi Regeni e Zaki sono i due paesi più rappresentati per le ricadute politiche e la prossimità. Quindi l’Etiopia per la guerra in Tigrai, la Tunisia sempre per le questioni migratorie, la Repubblica democratica del Congo per l’omicidio dell’ambasciatore Luca Attanasio e infine il Sudafrica per la scoperta della variante Omicron. Quasi tutte le notizie hanno un taglio neutrale (87%), quasi il 10% ha un tono allarmistico. Ancora una volta è Avvenire a offrire la maggior percentuale di notizie 'rassicuranti' (2,7%). Nei tg in prima serata l’analisi rileva che il grande continente a sud compaia solo nel 3,4% del totale dei titoli, con una netta prevalenza (il 67%) della narrazione eurocentrica e la conclusione che nel mezzo di informazione più usato dal pubblico italico «al di fuori delle condizioni di prossimità ed emergenzia-lità il silenzio sull’Africa è quasi assoluto».
«Ancora intorno allo zero virgola, inoltre, la percentuale di persone africane e afrodiscendenti intervistate – ha aggiunto Milazzo –, prova della marginalità che caratterizza ancora la presenza di questi temi sui media». Nemmeno nei programmi tv di approfondimento e nei talk show le cose vanno meglio: su 90 programmi è stato rilevato in media un riferimento all’Africa ogni 63 ore di programmazione. Una marginalità incorniciata in stereotipi, come quello dell’Africa come unica entità omogenea, come luogo affascinante, ma pericoloso o come luogo senza progresso e solo dilaniato da guerre e violenza. Lo studio individua segnali positivi dallo sport. Il racconto sportivo delle Olimpiadi e della Coppa d’Africa di calcio e dei calciatori di origine africana in Italia risulta privo di luoghi comuni, anche se le vicende degli sportivi africani o afrodiscendenti in Italia sono toccate anche dal razzismo. Per questo il Coni a partire dal rapporto di Amref ha patrocinato la campagna in onda su Rai e La7 'Non serve un campione, per battere gli stereotipi'.
«Sono gli sportivi italiani con discendenza africana i migliori portabandiera della lotta contro il razzismo e l’afrofobia », ha dichiarato il presidente del Coni Giovanni Malagò. E pensando ai ragazzi senza cittadinanza la presidente di Amref Italia Paola Crestani lancia un appello: «La lezione dello sport è che chiunque viene accolto poi arricchisce la comunità, una dimostrazione di come l’accoglienza sia un bene per tutti e non solo per la persona che la riceve. Un concetto, questo, che però a livello istituzionale deve essere ancora valorizzato visto che circa un milione di ragazzi di origine straniera che studiano nel nostro Paese non hanno ancora la cittadinanza. Serve un’inclusione legale, è ora che si trovi una legge che possa garantirla» (Paolo Lambruschi).
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Tunisia: 76 migranti dispersi
Nelle stesse ore, sempre nel Mediterraneo, si è consumato un altro evento drammatico: il ribaltamento di un barcone carico di migranti. Per fortuna, in questo caso, uomini, donne e bambini (la più piccola ha due anni) sono stati soccorsi dalla Ong Open Arms con un’operazione difficile. Il momento è fissato in una foto scattata da bordo nave, che fa comprendere appieno la drammaticità della situazione.
La sagoma del barcone si staglia nel buio della notte, lasciando intravvedere piccoli puntini arancioni. Ingrandendo l’immagine, quei puntini diventano mani di uomini e donne aggrappate al bordo della barca, gambe in cerca disperata di un punto di appoggio per non cadere in acqua, occhi spalancati in cerca di aiuto mentre tentano di non annegare. L’imbarcazione con oltre cento persone a bordo si è capovolta di fronte ad Astral, la nave di Open Arms impegnata in ricerca e soccorso. «È difficile comprendere l’inerzia deliberata di Tunisia, Malta e Italia in un caso così chiaro; pur avvertite, hanno lasciato alla deriva la barca per diverse ore: questa è omissione di soccorso», spiega l’equipaggio di Open Arms, sottolineando che ancora ieri mattina le autorità non avevano risposto al mayday, l’Sos, sebbene, dopo i soccorsi, possano esservi dei dispersi.
«Abbiamo bisogno che le autorità agiscano in fretta e assegnino un porto sicuro. Il tempo è in peggioramento e su Astral non abbiamo spazio, cibo e acqua sufficienti per tutte le persone a bordo» lancia l’allarme il capo missione di Open Arms, Gerard Canals, dopo il difficile salvataggio la notte scorsa. Ora, al sicuro, sul ponte della nave si trovano 110 persone. L’allarme è scattato martedì sera, quando il veliero di Open Arms ha ricevuto l’indicazione del barcone in pericolo. «Dopo aver allertato le autorità competenti», giunto sul posto all’una di notte, l’equipaggio ha distribuito giubbotti salvagente. «Non appena terminata la distribuzione, tuttavia, l’imbarcazione si è ribaltata e la nostra squadra ha dovuto effettuare un soccorso servendosi dei gonfiabili in dotazione del nostro veliero», racconta il team di soccorso. «La Libia continua ad essere il primo Paese per numero di partenze verso l’Italia – spiega Di Giacomo –. Rimane un Paese instabile, lo abbiamo visto solo una settimana fa con il confronto amrmato a Tripoli fra i due governi. Questo fa sì che la condizione dei migranti in Libia non sia migliorata per niente: le condizioni dei centri sono e continuano ad essere inumane». I numeri delle persone che hanno perso la vita lungo questa rotta del Mediterraneo centrale parlano da soli: oltre 600 da inizio anno. Senza contare i respingimenti, i migranti cioè che nel tentativo di raggiungere le coste dell’Europa sono stati intercettati e riportati a terra dalla cosiddetta guardia costiera di Tripoli. Sono 6.340 persone da inizio anno, riportate nelle carceri inumane. «La Libia rimane un porto non sicuro nell’indifferenza generalizzata – denuncia il portavoce dell’Oim – ed è il vero grande problema umanitario: la rotta del Mediterraneo centrale rimane la più pericolosa e continuamo a morire tante, troppe persone che fuggono dagli orrori e dalle violenze». Il naufragio della scorsa notte nel Mediterraneo meridionale «è avvenuto in acque territoriali tunisine», ha precisato la Guardia costiera di Roma. «La centrale operativa – si aggiunge – è rimasta in costante contatto con la Guardia costiera tunisina per tutta la notte ed ha offerto anche la disponibilità di mezzi navali a supporto delle attività di soccorso tunisine». (Daniela Fassini - Avvenire)