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Vangelo Migrante: XXI domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Gv 6,60-69)

19 Agosto 2021 - Gesù ha concluso il suo discorso sul pane di vita nella sinagoga di Cafarnao. La reazione di molti dei discepoli o presunti tali è di rifiuto di quanto hanno ascoltato: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Il discorso risulta strano, incomprensibile, quasi offensivo alla loro intelligenza. L’evangelista nota che non sono solo i curiosi a scandalizzarsi. Anche i discepoli non comprendono, mormorano, discutono aspramente, si scandalizzano e alla fine escono dalla sinagoga abbandonando Gesù. Non hanno inteso il suo linguaggio, o meglio, non sono disposti a mettersi alla sua sequela. In fondo si erano accostati a Gesù soprattutto per ricavarne dei vantaggi materiali e si trovano costretti ad una radicale verifica della loro vita. La disponibilità a dare la vita per gli altri seguendo il suo esempio, la ricerca della volontà di Dio, compiuta con coraggiosa disponibilità, è per tanti un discorso troppo duro. Gesù non si scoraggia e non si spaventa. Di fronte ai giudei e a tanti discepoli che si allontanano, invita i dodici apostoli a prendere posizione: “Volete andarvene anche voi?” Certamente anche i dodici sono incerti e confusi, anche per loro il suo linguaggio è difficile, impegnativo e non ancora del tutto comprensibile. La loro fede è ancora fragile. La stessa domanda, posta ai dodici, è rivolta a ciascuno di noi: tu che intendi fare? Gesù non suggerisce risposte, non impartisce ordini o lezioni: “ecco cosa devi oppure non devi fare”, ma ti porta a guardarti dentro, a cercare la verità del cuore: che cosa vuoi veramente? Qual è il desiderio che ti muove? Sono le domande del cuore, le sole che guariscono davvero. Appello alla libertà ultima di ogni discepolo: ‘siete liberi di andare o restare; io non costringo nessuno; ora però è il momento di decidersi’. Meravigliosa la risposta di Pietro, che contiene l’essenza gioiosa della fede: “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Come a dire: ‘attorno a te ricomincia la vita, tu tocchi il cuore e lo fai ripartire, con la delicatezza potente della tua parola. Tu hai parole: qualcosa che non schiaccia e non si impone, ma si propone e ti lascia libero’. Gesù è maestro di libertà. E se l’accogli spalanca sepolcri, accende il cuore, insegna respiri, apre strade e carezze. Mette in moto la vita.  (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria (Vangelo Lc 1, 39-56)

12 Agosto 2021 - Maria, la serva del Signore e la prima dei salvati, è stata anche la prima ad essere assimilata alla gloria della Resurrezione di Gesù, così come fu associata al mistero della sua incarnazione e morte. Questo si celebra nella Solennità odierna. Una gran bella festa nel cuore dell’estate (quest’anno coincide anche con la domenica) che porta con sé un rischio: quello di sottolineare le così tante straordinarietà della madre di Gesù fino ad allontanarla anni luce dalla ‘povera’ concretezza della nostra vita. Insomma: il più grande torto che possiamo fare a Maria è proprio quello di metterla in una nicchia e incoronarla! Il Signore ci dona una discepola esemplare, una donna che, per prima, ha scoperto il volto del Dio incarnato, e noi subito a metterla sul piedistallo, santa e distante. No! Maria ci è donata come sorella nella fede, come discepola del Signore, come madre dei discepoli. Questa è la festa dell’Assunzione: la storia di una discepola che ha creduto davvero nella Parola del suo Dio e che insegna a noi, tiepidi credenti, l’ardire di Dio e la follia dell’Assoluto. Il Magnificat è l’inno dello sconvolto. Dio, nel suo piano salvifico, irrompe nella vita, nei progetti, nelle attese e nei desideri di una ragazza, li modella secondo i suoi disegni e allo stesso tempo li riempie di ‘grandi cose’, quelle che solo Lui sa fare. La pagina di Vangelo aiuta a comprendere meglio il mistero in cui crediamo e che celebriamo quest’oggi: questa donna, prima tra i credenti, dopo la sua lunga esperienza di una fede abitata dal Mistero, è andata al Dio che l’aveva chiamata perché non poteva conoscere la corruzione della morte colei che ha dato alla luce l’autore della vita. Siamo in buona compagnia! Grandi cose ha fatto Dio in Maria: grandi cose può fare in noi, se lo lasciamo fare! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XIX domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Gv 6,41-51)

5 Agosto 2021 - I giudei mormorano contro Gesù: ‘ma come pretendi di essere il pane piovuto dal cielo? Sei venuto come tutti da tua madre e da tuo padre. Tu vuoi cambiarci la vita? No, il Dio onnipotente dovrebbe fare ben altro: miracoli potenti, definitivi, evidenti, solari’. Ma le cose di Dio non passano per i nostri schemi, secondo quello che già conosciamo; né fanno spettacolo. La conseguenza della presunzione è solo la mormorazione. Essa non porta ad altro. E Gesù: ‘non mormorate tra voi, non sprecate parole a discutere di Dio, potete fare di meglio: tuffarvi nel suo mistero, in quel pane che discende dal cielo’. E discende per mille strade, in cento modi: anche da una frontiera! Possiamo scegliere di non accoglierlo ma Lui continuerà a venire, instancabilmente, e l’uomo avrà sempre fame, inevitabilmente: “nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. ‘Non mormorate, potete fare di meglio: mangiate! È un gesto semplice e quotidiano, eppure così vitale e potente, e Gesù lo ha scelto come simbolo dell’incontro con Dio. In quel pane e nella convivialità risiede la frontiera avanzata del Regno dei cieli. Il Pane che discende dal cielo è l’autopresentazione di Dio: “se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Il pane che mangiamo ci fa vivere, e allora viviamo di Dio e mangiamo la sua vita, sogniamo i suoi sogni, preferiamo quelli che lui preferiva. Bocconi di cielo. Sorge una domanda: di cosa nutriamo anima e pensieri? Stiamo mangiando generosità, bellezza, profondità? Oppure ci nutriamo di egoismo, intolleranza, miopia dello spirito, insensatezza del vivere, paure? Se accogliamo pensieri degradati, questi ci fanno come loro. Se accogliamo pensieri di Vangelo e di bellezza, questi ci trasformeranno in custodi della bellezza e della tenerezza: questo fa il pane che dà la vita al mondo.

Vangelo Migrante: XVIII domenica del Tempo Ordinario – B (Gv 6,24-35)

29 Luglio 2021 - Dopo il segno della distribuzione di cibo in abbondanza, Gesù si era ritirato in un luogo solitario per fuggire dalla folla che voleva farlo re. Appena lo ritrovano a Cafarnao, Egli spiega il motivo della sua fuga denunciando il fraintendimento del segno e più in generale dei suoi segni: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. Come a dire: voi volete farmi re non perché siete disponibili a credere alla mia persona e alle mie parole, ma perché cercate dei vantaggi immediati. Le folle e, forse anche i discepoli, si sono fermati alla superficie del segno senza scorgerne l’autentico significato. Gesù li esorta a cercare un altro pane, a non guardare solo e prima di tutto ai bisogni materiali: “datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”. Ma i giudei fanno enorme fatica ad accogliere Gesù. Vogliono nuovi segni! Eppure, solo il giorno prima avevano mangiato a sazietà! Non gli è bastato! Il cibo è uno dei temi ricorrenti della Scrittura. Dio lo dà sempre in abbondanza. Che poi l’uomo sappia distribuirlo, questa è un’altra faccenda. Fin dalla creazione propone all’uomo una dieta che prevede la coesistenza del nutrimento per vivere e di un albero, quell’albero, da non toccare: non un limite ma una protezione per l’uomo. Quella pianta è il segno che la Vita della Creatura in relazione con Dio è eterna, anche quando l’esistenza nutrita dal cibo materiale finirà. Gesù risveglia questa fame e, in modo perentorio, si presenta come QUEL segno: “io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”. Lui non è il pane che sfama per un giorno soltanto, sfama per sempre, addirittura conduce alla vita eterna. Accogliere il suo messaggio e la sua persona, non rende più facile la vita, ma la salva. Abbiamo questa fame, ci interessa questo cibo?  
  1. Gaetano SARACINO
       

Vangelo Migrante: XVII domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Gv 6,1-15)

23 Luglio 2021 - Per cinque domeniche si interrompe la lettura del Vangelo di Marco ed inizia un’ampia pagina del Vangelo di Giovanni: il racconto della moltiplicazione dei pani a cui segue un lungo discorso di Gesù a Cafarnao. L’episodio è comune agli altri Vangeli ma quello di Giovanni ha due peculiarità: è un racconto pasquale e, dinanzi al bisogno della folla, Gesù prende l’iniziativa. L’evangelista dice esplicitamente che “era vicina la Pasqua” e che Gesù ha appena attraversato il mare di Galilea, dati ‘pasquali’ che non possono essere marginalizzati. Negli altri racconti i discepoli espongono a Gesù la preoccupazione per la situazione: “congeda la folla perché vada nei villaggi vicini a comprarsi da mangiare (Mt 14,15)”. Nel Vangelo di Giovanni tutto parte da Gesù: “egli, infatti, sapeva quello che stava per compiere”. Interroga il discepolo Filippo: “dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” e questi con realismo fa cenno alla pochezza dei mezzi a disposizione: “duecento denari non sono sufficienti”; nel mentre, arriva Andrea che dapprima incalza: “c’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci”; poi ammette: “ma che cos’è questo per tanta gente?”. È qui che Gesù vuole portare i suoi discepoli: a farli misurare con quello che li supera. Come per i discepoli, anche per noi la realtà ha dei margini che spesso sovrastano i nostri limiti, non dà vie di uscita; la sperimentiamo continuamente nella nostra finitudine. In essa echeggiano i nostri fallimenti, ci accerchiano dinamiche insoddisfacenti. E presto arriva la resa, quella che i latini giustificavano con il detto: ‘ad impossibilia nemo tenetur’ (nessuno è tenuto a fare l’impossibile). Proprio questo è il punto: avere a che fare con Gesù è qualcosa che supera l’ordinario; non è innanzitutto mettere in ordine una serie di norme, precetti morali, alti e saggi insegnamenti. Avere a che fare con Gesù vuol dire avere la consapevolezza che Lui stesso non è un evento ordinario ma straordinario: lo è l’Incarnazione e lo è la Sua Resurrezione. Per questo, la Chiesa, che ha come primo compito l’annuncio della Resurrezione, non può essere il luogo del possibile e dell’ordinario ma il luogo dello straordinario di Dio. Il discepolo fonda la loro vita su di Lui. Il racconto parla di quello che dalle mani di un ragazzo passa nelle mani di Cristo … Quando le ‘cose’ sono nelle nostre mani, sono poche e piccole quanto noi, e sono deludenti; quando le passiamo nelle mani di Dio, attraverso le mani Gesù: compaiono soluzioni, si vede come il poco diventa molto e come la scarsezza diventa abbondanza. Non è magia. È l’Opera di Dio. Ce n’è per tutti e ne avanza! (p. Gaetano SARACINO)      

Vangelo Migrante: XVI domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 6,30-34)

15 Luglio 2021 - Lo sguardo di Gesù coglie la stanchezza dei suoi: “venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. Non si ferma a misurare i risultati ottenuti nella missione appena conclusa. Per lui prima di tutto viene la persona, la salute profonda del cuore, la radice del vero benessere. Più di ciò che fanno, a lui interessa ciò che sono: come prima cosa non chiede ai dodici di pregare, di preparare nuove missioni o affinarne il metodo, ma li conduce a prendersi un po’ di tempo tutto per loro, del tempo per vivere. È il gesto di uno che vuole loro bene e li vuole felici. Il Vangelo prosegue dicendo che “sceso dalla barca vide una grande folla, ebbe compassione di loro perché erano come pecore che non hanno pastore”. Gesù si coinvolge anche con loro e, per questo, è preso fra due compassioni in apparente in conflitto: la stanchezza degli amici e lo smarrimento della folla. Gesù cambia i suoi programmi, ma non quelli dei suoi amici: “si mise a insegnare loro molte cose”. Rinuncia al suo riposo, non al loro. Dio non fa altro che considerare, eternamente, ogni suo figlio più importante di sé stesso. Stare con Gesù e guardarlo agire ci offre il primo insegnamento: come guardare, prima ancora di come agire. Prima ancora delle parole insegna uno sguardo che abbraccia; le parole che seguono, saranno appropriate e sapranno di salvezza solo se saranno mosse da uno sguardo di compassione e tenerezza. Se ancora c’è sulla terra chi ha l’arte divina della compassione, chi si commuove per l’ultimo uomo, allora questa terra avrà un futuro. Quello sguardo è la forma della speranza di restare umani, dell’arresto di una sorta di emorragia di umanità e del dominio sulle passioni tristi. (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: XV domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 6,7-13)

8 Luglio 2021 - Gesù chiama i discepoli e li invia “a due a due”. La pagina di Vangelo di questa domenica sembra fermarsi più sulle forme che non sui contenuti dell’annuncio. E, a proposito di forme, l’occhio cade sulle istruzioni che Gesù dà ai suoi discepoli: andare a due a due, prendere solo un bastone, calzare dei sandali e non portare due tuniche. Non prendere pane, né sacca, né denaro. Due riflessioni. La prima è che noi saremmo tentati subito di identificarci con quei discepoli; tuttavia il Vangelo ci dice che non è innanzitutto quella la parte dove siamo chiamati a stare ma quella dei destinatari della Parola. Nessuno è in grado di portare quello che non ha ricevuto a sua volta. In quelle istruzioni ci dice come viaggia la Parola di Dio e, quindi, come va accolta: viaggia con l’essenziale e anche meno (nemmeno un tozzo di pane); ma si muove con l’aiuto di Dio e con la mano del fratello; invita a partire chiunque l’accoglie; ad uscire dalle aspettative, quelle appaganti della staticità, del pane, di una bisaccia e di qualche denaro. Essa ha una sola faccia e non due, così come si indossa una tunica, l’abbigliamento che tutti vedono. La seconda è che nella forma c’è il contenuto: il primo annuncio che i Dodici portano è senza parole ed è l’andare insieme, l’uno al fianco dell’altro, unendo le forze. Per l’essenzialità dei mezzi e per la forza che la Parola emana, nessuno può pensare di non essere capace. La parola si annuncia strada facendo e non facendo strada. Quella Parola non ci appagherà secondo i desideri umani ma ci salverà. La nostra partecipazione la rende credibile attraverso la nostra libertà e la rende efficace quando la lasciamo passare fino a tutti. Conclude il Vangelo: “ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con l’olio molti infermi e li guarivano”. Il compito del testimone non è quello di convincere ma quello di permettere alla verità di Dio di giungere a destinazione. E quegli apostoli non hanno sbagliato strada né si sono persi per strada. Con Dio, comunque, è sempre una questione di partenze e di arrivi!  

p. Gaetano Saracino

Vangelo Migrante: XIV domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 6,1-6)

1 Luglio 2021 - Dapprima la gente rimaneva ad ascoltare Gesù stupita. Poi lo stupore si tramuta in scandalo. Perché? Probabilmente perché Gesù è un inedito: è uno che è venuto a portare un ‘insegnamento nuovo’, a mettere la persona prima della legge, a capovolgere la logica del sacrificio, sacrificando sé stesso. Chi è omologato alla vecchia religione evidentemente non si riconosce nel profeta perché non riconosce quel Dio che viene annunciato: un Dio che fa grazia a tutti, nessuno escluso, che sparge misericordia senza condizioni e fa nuove tutte le cose. La gente di casa, del villaggio, della patria, forse, è un po' come noi che amiamo andare in cerca di conferme a ciò che già pensiamo e ci nutriamo di ripetizioni e schemi, incapaci di pensare in altra luce. Gesù non parla come uno dei maestri d’Israele, con il loro linguaggio alto, ‘religioso’, ma adopera parole e immagini di tutti i giorni, quelle che tutti possono capire: un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione. E allora, dov’è il sublime? Dov’è la grandezza e la gloria dell’Altissimo? Ci scandalizzano, forse, l’umanità di Dio e la sua prossimità? La buona notizia del Vangelo è proprio questa: Dio si incarna, entra dentro l’ordinarietà di ogni vita, abbraccia l’imperfezione del mondo, che per noi non è sempre comprensibile, ma per Dio è sempre abbracciabile. “Nemo propheta in patria!”, esclama Gesù. Evidentemente non è facile accettare che un figlio di carpentiere, pretenda di parlare da profeta, così come sembra inammissibile che uno che sbarca dalla riva del Mediterraneo opposta alla nostra, sia egli stesso una profezia. Ma è proprio questa l’incarnazione perenne di uno Spirito ‘che non sai da dove viene e dove va’ ma riempie le vecchie forme e passa oltre. (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: XIII domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 5,21-43)

24 Giugno 2021 - Due donne. Una all’inizio della vita, una alla fine. Una di 12 anni, in fin di vita, l’altra malata da 12 anni. Né l’una né l’altra possono più essere salvate dagli uomini. Ma sia l’una che l’altra sono salvate dall’azione congiunta della forza che emana da Gesù e dalla fede: per la bambina la fede di suo padre, per la donna la propria fede. La bambina di 12 anni non riesce a diventare donna. Suo Padre, capo della sinagoga ha tutte le prerogative per imporre le mani e benedirla ma si accorge che il suo è un gesto sterile. C’è bisogno di una logica nuova: “vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. Solo Gesù può ridonare vita. L’adulta non riesce a vivere la sua femminilità. Ha avuto a che fare con i medici che le hanno preso tanti beni ma non hanno risolto nulla. Anzi. La sapienza degli uomini l’ha dilapidata e a questa donna non resta che toccare la vita di Cristo: “se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata!”. Le ‘perdite di vita’ sono esperienze comuni a tutti gli uomini. Come le affrontiamo? Forse cercando segni improbabili, tipo miracoli promessi dai santoni di turno o risposte analitiche che indagano, spiegano ma non esauriscono il mistero che si nasconde dentro un dolore. Facciamo come i giudei che chiedono miracoli o i greci che cercano sapienza … ma il problema resta: “e mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (1Cor 1, 22-23)“. La logica di Gesù è altra. Cristo porta la vita di Dio: un padre deve accettare che il Padre sia Dio e una donna toccandolo, ammette che prima di capire serve un contatto con Lui. Il problema è incrociare quella vita. È la Sua vita che guarisce la vita. Per questo Dio ce lo ha mandato. Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi, dice la prima lettura. Ha creato le cose perché vivano. La prima chiamata che Dio ci fa è vivere. E noi siamo nati per esistere veramente. Capire le cose non vuol dire salvarle. Le cose le salva l’unico salvatore.

p. Gaetano Saracino

     

Vangelo Migrante: XII domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 4,35-41)

17 Giugno 2021 - Una notte di tempesta e di paura sul lago, e Gesù dorme. È l’immagine della vita, quella dove nessuna esistenza sfugge all’assurdo e alla sofferenza, e Dio sembra non parlare, rimane muto. E nella notte nascono le grandi domande: ‘Non ti importa niente di noi? Perché dormi? Destati! Vieni in aiuto!’ E Gesù: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” Dio non è altrove e non dorme. È qui. È presente, non secondo le nostre aspettative ma per come è Lui veramente. “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”, si chiederanno, alla fine, i discepoli. Vorremmo tanto che il Signore gridasse subito all’uragano: ‘taci’; e alle onde: ‘calmatevi’; e alla nostra angoscia ripetesse: ‘è finita’. Il risorto invece è Colui che vuole salvarci e lo fa chiedendoci di mettere in campo tutte le nostre capacità, tutta la forza del cuore e dell’intelligenza. Non interviene al posto nostro, ma insieme a noi; non ci esenta dalla traversata, ma ci accompagna nell’oscurità. Non ci custodisce dalla paura, ma nella paura. “Non ti importa che moriamo?”, urlano i discepoli. La risposta di Gesù, senza parole, è raccontata dai gesti: ‘mi importa di te, mi importa la tua vita, tu sei importante. E sono qui. A farmi argine e confine alla tua paura. Sono qui nel riflesso più profondo delle tue lacrime, come mano forte sulla tua, inizio d’approdo sicuro’. L’intera nostra esistenza può essere descritta come una traversata pericolosa, un passare all’altra riva. Una traversata è anche iniziare a sperare; andare incontro al futuro che si apre davanti; è vincere paure, ma è anche accogliere, fare posto a poveri e stranieri ... C’è tanta paura lungo la traversata, anche legittima. Ma le barche non sono state costruite per restare ormeggiate al sicuro nei porti. Il Signore non è un maestro che dà istruzioni né un ospite illustro della barca. Il viaggio deve iniziare da Lui, prima ancora che ci sorprenda la tempesta: chi parte da sé stesso arriva a sé stesso; chi parte con Dio arriva a Dio! (p. Gaetano SARACINO)    

Vangelo Migrante: XI domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 4,26-34)

10 Giugno 2021 - Il Regno di Dio seminato nel cuore dell’uomo è al tempo stesso evidente e misterioso come la crescita di un essere vivente, come la forza esplosiva di un seme. Miracoli ai quali si assiste e se ne è coinvolti ma che non dipendono dalle sole forze umane. E accade che per la mancanza di risultati sensibili, forme di successo o prestigio, dopo una prima ondata di entusiasmo, possa subentrare un raffreddamento che diventa opposizione, quindi rifiuto. Il Vangelo di Marco questa domenica risponde con due immagini-parabole alla crisi derivante dal ‘nascondimento’ del Regno: come i discepoli, anche i credenti di oggi sono sempre più un ‘piccolo gregge’ e si chiedono: perché così pochi credono e si convertono? Perché la parola di Dio non attrae? Perché non cambia il mondo? Perché il Signore ci ha lasciato un messaggio così difficile e così diverso da quello delle culture emergenti? “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno il seme cresce. Come, egli stesso non lo sa”. La fede del discepolo è fondata sulla fiducia in Dio, non nei segni esterni che le danno un peso, un ruolo, una dignità. Gesù ci educa a non aggrapparci a ciò che sembra realtà perché si vede, ma ad aprire gli occhi su ciò che veramente è, sulla realtà misteriosa del regno, che sta fruttificando silenziosamente, che offre i suoi benefici, i suoi orientamenti agli uomini, anche se noi non ce ne accorgiamo. Allo stesso modo: “il Regno di Dio è come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto …”. Il regno è opera di Dio, non dell’uomo, non del suo attivismo sfrenato, della sua organizzazione, del suo potere politico o economico, del suo prestigio culturale. Nasce dalla forza intrinseca che la Parola di Dio (il seme) porta in sé. Non si tratta di ‘parabole del disimpegno’. Al contrario: c’è innanzitutto l’impegno del gettare il seme, cioè dell’annuncio, della testimonianza e del dialogo. Non è poco. Per di più la parabola richiede il massimo dell’impegno: quello di preoccuparci dell’autenticità evangelica delle cose che annunciamo o testimoniamo con il nostro agire. Se il seme è buono, se il nostro parlare e il nostro agire sono davvero fedeli al Vangelo, se siamo capaci di giustizia vera, di amore non occasionale, emotivo o interessato, certamente porteranno frutto. Viene bene quanto diceva S. Ignazio di Loyola: “agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio!” (p. Gaetano SARACINO)    

Vangelo Migrante: Solennità del Corpus Domini (Vangelo Mc 14, 12-16. 22-26)

3 Giugno 2021 - Dio non è venuto nel mondo con il semplice obiettivo di perdonare i nostri peccati. Sarebbe una visione riduttiva, sia di Dio che dell’uomo. Dio è venuto a portare sé stesso: molto più del perdono dei peccati. Egli ci fa dono non solo dell’amore che crea la vita ma anche del nutrimento che la sostiene. “Prendete, questo è il mio corpo”, dirà oggi Gesù nella solennità del Corpus Domini. C’è un’esperienza che risuona nella prima lettura e nel Vangelo odierno che spiegano meglio questa unione: l’Alleanza. Quella di Israele ai piedi dell’Oreb e quella che Gesù rinnova nell’ultima cena. Israele comprende che quel Dio che lo ha cercato è lo stesso che ora vuole rimanere con lui attraverso un patto: l’Alleanza, a partire dalle dieci parole. Israele si impegna in modo solenne a rispettarla e Dio promette di essere il Dio fedele. Ma, nonostante tutti gli sforzi, le infedeltà si moltiplicano e quell’Alleanza fa acqua da tutte le parti. Arriva Gesù e attraverso il suo proprio sangue versato, l’umanità, non per sforzo ma per grazia, non per coerenza ma per dono di Dio, rientra in Alleanza con Dio. Gesù è colui che Dio stesso ha mandato a prendere la parte dell’uomo (la controparte dinanzi a Dio) per essere suo alleato fedele e per sempre. Attraverso Gesù non servono più coerenze e sforzi interiori. No. Gesù stesso è santificazione, redenzione e purificazione e chi partecipa al Suo corpo e al Suo sangue, il sangue della nuova Alleanza, viene trasformato in quello che riceve. Nel diventare un corpo solo con Lui, Lui in noi diventa l’alleato fedele: “prendete, questo è il mio corpo (…) e questo è il mio sangue dell’alleanza”. Non serve più essere all’altezza di qualcosa. Nel Corpus Domini, noi celebriamo l’Alleanza con Dio in Cristo. In Lui siamo proprio quello che Dio voleva per noi. Non si tratta di essere forti. Si tratta di allearsi con il forte!

p. Gaetano Saracino

Vangelo Migrante: Solennità della Santissima Trinità (Vangelo Mt 28,16-20)

27 Maggio 2021 - Cosa c’è nel mistero di Dio? C’è dentro qualcuno? C’è dietro qualcosa? Per capirlo l’uomo, dotato di istinto religioso, nel tempo ha usato la forma a lui più congeniale: la ragione e le deduzioni derivanti da essa. Finendo quasi sempre per ciondolare tra due estremi: Dio come un’invenzione, una proiezione delle proprie paure o esigenze; Dio come il totalmente altro ed elevato lassù nei cieli: prendere o lasciare. Nella prima lettura un indizio, può aiutarci a dipanare la questione: nel Deuteronomio Mosè attesta che l’esperienza di Israele non è quella di aver capito, cercato, sentito Dio ma quella di essere stato cercato da Dio: “si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?” Israele è la testimonianza vivente che una vita vissuta come qualcuno che è stato cercato è diversa da quella di chi prende iniziativa su tutto! Nel Vangelo, Gesù lo conferma. Egli appare ai discepoli e afferma che Lui è Dio: “a me è stato dato ogni potere, in cielo e sulla terra”. E non prosegue dicendo, come ci si aspetterebbe: ‘io sono qua: venite! Chi è qua si salva, chi non c’è, si arrangia!’ No! Ma dice: ‘io sono Dio: andate!’ Dio ci viene a cercare. E quando l’uomo riceve e accoglie l’incontro con Dio, egli diventa la mano, la voce, il corpo stesso di Dio che va a cercare ogni uomo. È dall’inizio del Vangelo che Gesù dice questo: “il Regno di Dio è vicino!” Dio non viene a spiegarci delle cose ma a donarci la sua vita, il suo modo di esistere che vuol dire la vita concreta reale, quella che vivono tutti … ma da figli, uniti al Padre celeste. E in Lui, uniti a tutti gli uomini. In questa unione, quello che celebriamo nella S. Trinità non è un teorema, qualcosa da capire ma qualcosa che ci è stato rivelato, insegnato e ci è stato donato di fare nostro per poterlo dire. Quel ‘babbo’ ci ha visitato nel Figlio e ci abbraccia nello Spirito. L’accoglienza e l’ospitalità sono la casa dove dimora stabilmente in mezzo a noi! Questo è il suo progetto: “ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!” (p. Gaetano SARACINO)  

Vangelo Migrante: Solennità di Pentecoste (Vangelo Gv 15,26-27; 16,12-15)

20 Maggio 2021 - La Pentecoste è il compimento della Pasqua. Lo scopo della Resurrezione di Gesù non è la sua resurrezione ma la nostra resurrezione, ovverosia la grazia di vivere una vita nuova secondo il Cielo. Pertanto essa non è la fine del tempo pasquale ma il fine, lo scopo della Pasqua! Nel Vangelo Gesù, durante i discorsi dell’ultima cena, promette l’invio dello Spirito Santo per poter comprendere il suo vangelo: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. La luce dello Spirito è indispensabile per conoscere la verità di Gesù. Lo Spirito non rivela cose nuove, ma è la luce nuova che consente di comprendere il senso profondo di tutte le cose. Il Vangelo questa volta illumina la pagina degli Atti degli Apostoli che racconta come mentre gli apostoli sono radunati tutti insieme in uno stesso posto, un grande rumore precede il dono dello Spirito che discende dall’alto e si posa sul capo di ciascuno dei presenti. L’esperienza spirituale dell’effusione dello Spirito viene descritta come un vento che non si vede eppure arriva dappertutto e come un fuoco che si divide in tante fiammelle per illuminare la mente di tutti e riscaldare il cuore di tutti. Immediatamente gli apostoli cominciano a parlare in altre lingue. Dopo aver udito quel fragore, intorno agli apostoli si raduna molta gente che sente parlare la propria lingua. Il senso dello strano miracolo che avvenne il giorno di Pentecoste è molto evidente: la ‘lingua’ dello Spirito Santo unisce e crea comunione. Quella che Babele aveva spezzato. L’alterità non viene superata dalla omologazione ma dalla comunicazione! Ciò che lega gli uomini non sono le stesse abitudini, lo tesso linguaggio o gli tessi pensieri ma l’opera di Dio che abbraccia tutti gli uomini. E la sua manifestazione è proprio lo Spirito donato a tutti. Come un vento e come un fuoco soffia, illumina e riscalda ogni uomo. I discepoli ne fanno esperienza chiedendosi: quale ‘lingua’ parla la mia vita? La lingua della solidarietà e della comunione o quella della divisione e dell’egoismo? Nel volto dell’altro vedo un fratello da amare o un rivale da superare? Se la verità di Dio è l’amore anche la nostra verità è l’amore. E lo Spirito ci insegna il linguaggio della verità e quello dell’amore: un linguaggio che ci consente di comprendere la verità del Vangelo e di conseguenza la verità su ogni cosa. Veni Sancte Spiritus! (p. Gaetano Saracino)    

Vangelo Migrante: Ascensione del Signore (Vangelo Mc 16,15-20)

13 Maggio 2021 - Dopo la Resurrezione di Gesù ha inizio il tempo delle apparizioni che dura quaranta giorni e termina con la sua Ascensione al Cielo: “il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio”. Proprio nell’Ascensione i discepoli comprendono meglio il senso della Resurrezione: il Signore Gesù, assunto in cielo, è l’unico Signore del cielo e della terra. In ciò che ha detto e nel suo modo di aver vissuto, noi troviamo la strada verso il ‘cielo’, verso la casa del Padre. Essa non è la vittoria di un corpo sulla legge di gravità ma, come dice papa Benedetto: “è la navigazione del cuore che ti conduce dalla chiusura in te, all’amore che abbraccia l’universo”. A questa navigazione del cuore Gesù chiama un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e fedeli, e affida loro il mondo: “allora essi partirono e predicarono dappertutto”. Li spinge a pensare in grande e a guardare lontano: il mondo è vostro! E lo fa perché crede in loro, nonostante abbiano capito poco, nonostante abbiano tradito e rinnegato, e molti dubitino ancora. Egli ha fiducia in loro più di quanto loro ne abbiano in sé stessi e non li abbandona: “il Signore agiva insieme con loro”. La fiducia e la sinergia sono l’espressione dell’unica forza, dell’unica linfa, dell’unica vita che scorre tra Lui e loro e raggiunge ogni angolo della terra in ogni gesto di bontà, in ogni parola viva. Nelle mani del discepolo sono le Sue mani, nell’amore del discepolo il Suo amore, nella terra che il discepolo percorre le Sue radici, nelle sue azioni tutta la potenza del Padre: il cielo di Dio in terra. Non è un modo di dire. Gesù indica i segni concreti che accompagnano quelli che credono: nel Suo nome ci si smarca dalla presa della menzogna, si parla un linguaggio nuovo capace di toccare il cuore, si prende in mano la realtà anche più dura senza paure, non ci si intossica dinanzi alle leggi del mondo e si ama: “imporranno le mani sopra i malati e questi guariranno”. Come accadde a Francesco di Assisi con il lebbroso: nella relazione lo fece sentire uomo, nell’abbraccio quell’uomo iniziò a guarire. Nell’Ascensione, Gesù unisce la terra al cielo di Dio; l’abbraccio tra la terra e il cielo sono le opere compiute da persone amate, che sanno amare. (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: VI domenica di Pasqua (Vangelo Gv 15,9-17)

6 Maggio 2021 - “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi, rimanete nel mio amore” è l’essenza del cristianesimo, una dichiarazione di Gesù che custodisce le cose determinanti della fede. È la pagina del Vangelo di questa domenica: un canto ritmato sul vocabolario degli amanti: amare, amore, gioia, pienezza. È così che si sta dinanzi a Dio: non da servi ma da amanti. Non per perderci in qualcosa fuori dal tempo e dalla storia ma in gesti concreti che hanno un principio ed un fine. Il primo atto dell’amore è farsi raggiungere dall’amore di Dio. Contrariamente a quanto si pensa, l’amore non è una cosa ‘da fare’ ma da ‘lasciar fare’. Perché l’amore è di Dio ed è da Dio: tutto il resto è a Sua immagine. È una sfida, per nulla facile, perché rischiamo di proiettare anche in Dio le paure, le delusioni, i tradimenti dell’amore umano. Per questo Gesù si avvicina alla nostra umanità e ci dice: voi nell’amore già ci siete: “rimanete nel mio amore”; l’amore non è statico ma dinamico: “amatevi gli uni gli altri”; io sono la misura del vostro amore: “amatevi come io vi ho amato”. In cambio è prevista la Sua gioia che, quando raggiunge noi, diventa ‘gioia piena’. La pienezza è un canale di scambio che bagna contemporaneamente tutti i margini che raggiunge. Non c’è un di qua e un di là ma una presenza contemporanea dell’unico amore che tocca e raggiunge tutti. Nessuno escluso. Bagnati da quell’amore abbiamo il dovere di darlo e riceverlo. L’unità di Gesù con i suoi discepoli suggellata nelle immagini del pastore con le pecore e della vite con i tralci, questa domenica viene sigillata dall’amore. In esso viviamo, ci muoviamo, esistiamo. (p. Gaetano Saracino)    
  1. Gaetano SARACINO
   

Vangelo Migrante: V domenica di Pasqua (Vangelo Gv 15,1-8)

29 Aprile 2021 - Nella Resurrezione, Gesù è vivo e vivifica i suoi discepoli, vive dove vivono loro come il pastore con le pecore. Si, ma come passa la sua vita ai discepoli? Lo spiega il Vangelo di questa domenica con l’immagine della vite e dei tralci. Lui è la vite e i discepoli i tralci. Dio è l’agricoltore. Lui e i discepoli sono la stessa cosa, la stessa pianta, la stessa vita, un’unica radice, una sola linfa. Come tralci, i discepoli sono della stessa materia, come scintille di un braciere, come gocce dell’oceano, come il respiro nell’aria. Gesù-vite spinge incessantemente la linfa verso l’ultima gemma; la vita non dipende dal discepolo, dipende da Lui. Il discepolo-tralcio può fare solo una cosa: portare frutto. Nemmeno una stilla di quella linfa può essere sprecata. Per questo, l’agricoltore taglia e mette da parte il tralcio sterile e, sorprendentemente, direbbe un profano, taglia anche quello fecondo. Si, subito dopo la gemma lo pota perché porti più frutto. È un Dio che non impugna lo scettro ma la zappa, non siede su un trono ma sul muretto della vigna. Cura il suo Regno e ha a cuore solo una cosa: che porti frutto. “Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto”. Potare non significa amputare, bensì togliere il superfluo e dare forza; potare vuol dire eliminare il vecchio e far nascere il nuovo. Ogni taglio fa male ma non è un male. In esso c’è già il frutto più grande e coincide con quel: “chiedetemi quello che volete e sarà fatto!” Questo accade “se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi”. La relazione con Dio non è una installazione. Essa è un viaggio diretto ad una meta. Va eliminato ciò che lo rallenta e lo appesantisce. Immagine a cui non possiamo sottrarci: disperdere linfa impedendo la meta e i frutti, è opporsi a Dio. Quando ci si opponea Dio, sappiamo come va a finire! Come il tralcio sterile: l’agricoltore lo taglia e lo mette da parte, quindi secca poi altri “lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano”. Quante ‘storie’ sono finite così? Quante scuse portiamo per difendere le nostre sterilità? Quante lacrime forse stiamo versando perché qualcosa di prezioso sembra sfuggirci di mano? Può essereDio che, anche in mezzo a qualche lacrima, continua a lavorare perché possiamo avere Vita in abbondanza.  (P. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: IV domenica di Pasqua (Vangelo Gv 10, 11-18)

22 Aprile 2021 - La Resurrezione può sembrare un teorema di difficile soluzione. Le riflessioni delle scorse domeniche ci hanno fatto apprendere con le parole stesse di Gesù che Lui è vivo e vivifica i suoi discepoli: “sono proprio io, toccatemi; (…) guardate; ascoltate; datemi testimonianza”. Sapere chi è e che esiste è tanto ma all’uomo serve anche vedere dov’è, che fa! Ce lo dice il Vangelo di questa domenica: “io sono il buon pastore”, letteralmente il “bel pastore”. Immagine disarmata e disarmante ma anche affascinante. Non è estetica ma attrazione che viene dal suo coraggio e dalla sua generosità: “io offro la vita per le mie pecore”. Lo ripete sei volte. Non solo difende ma offre la vita. E non solo nel Venerdì Santo ma come una madre, ogni giorno, come la linfa che fa crescere i tralci, ogni attimo. Non è interesse è simbiotica necessità. Ed è necessità anche quella di occuparsi delle pecore che “non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare”. È vita e dà la vita. Per tutti. Ovunque. Non lo decide il gregge, lo decide Lui. E non lo obbliga nessuno. Lui la vita la dà da sé stesso perché l’amore di Dio è fatto così. La differenza con il mercenario non è morale ma costitutiva: il mercenario non le sente sue. Per il buon pastore sono sue per costituzione. Entrambi escono al pascolo ma uno per un interesse, l’Altro perché possano vivere e basta. Dinanzi al pericolo uno fugge, l’Altro si immola. In questa appartenenza si fonda l’unità di quel gregge e prende senso ogni briciolo di esistenza che chiamiamo Vita: Lui è dove la Vita comincia, dove la Vita si fa e nel pericolo, non scappa. Lui c’è. E con Lui c’è Vita per tutti. Nessuno escluso! (p. Gaetano Saracino)           Facebook: IV domenica di Pasqua | Vangelo 😇

Vangelo Migrante: III domenica di Pasqua (Vangelo Lc 24,35-48)

15 Aprile 2021 - Per non fraintendere o ridurre la Resurrezione solo ad un aspetto morale, occorre sostare sulle parole e sui gesti del Risorto. I Vangeli, ce ne saremo accorti, non percorrono la via della dimostrazione della Resurrezione ma quella della fede. Che non è meno documentata delle ‘prove’ empiriche. I discepoli non ‘cercano’ attorno al sepolcro e credono alle parole dell’angelo: “non è qui!”.  ‘L’altrove’ non tarda a manifestarsi in incontri non richiesti né cercati ma che avvengono e li illuminano: nel Cenacolo, con e senza Tommaso, ad Emmaus, sul lago di Tiberiade o come quello di questa domenica, così come lo descrive l’evangelista Luca. Pur nella diversità delle esperienze, questi racconti non si contraddicono mai; anzi, essi concordano sempre in tre cose: c’è un turbamento dei discepoli, l’iniziativa del Maestro e una prova ‘sensibile’. Il Vangelo questa domenica racconta di Gesù che raggiunge i discepoli, impauriti e turbati e dice: “toccatemi!”. E aggiunge: “avete qualche cosa da mangiare?” La Resurrezione attiva una nuova esperienza: la percezione. Percepire è oltre il capire. Capire è un’esperienza che si ferma a ciò che si vede. Percepire è un’esperienza che abbraccia tutto ciò che si vede ma anche ciò che è nelle disponibilità o nelle possibilità di un’esperienza, anche grazie all’intuizione. Non è vedere ‘fantasmi’ ma cose e fatti nella loro interezza, completezza, profondità. Dinanzi alla Resurrezione, la percezione dei discepoli non è uno sforzo umano ma la disponibilità a muoversi su questo piano in risposta ai ‘segni’ dell’incontro e dell’offerta, proposti da Gesù! Ecco: la Resurrezione è la comprensione di ciò che di bello e di buono c’è ed esiste; la Resurrezione è ciò che libera nell’uomo forze ed energie, che nemmeno immagina di avere, e lo fa vivere! Che l’uomo viva, è la prima di tutte le leggi. E tutto ciò che va in questa direzione ci dice che siamo figli della Resurrezione. Non ne possiamo fare a meno! (p. Gaetano Saracino)    

Vangelo Migrante: II domenica di Pasqua o della Divina Misericordia (Vangelo Gv 20, 19-31)

8 Aprile 2021 - Ogni domenica è detta ‘Pasqua della Settimana’, perché celebra il mistero della Resurrezione di Gesù con la stessa Solennità e la stessa intensità del giorno di Pasqua. Domenica prossima è la domenica ‘in Albis’ perché tradizionalmente quanti venivano battezzati la notte di Pasqua in questo giorno dismettevano le proprie vesti bianche. Giovanni Paolo II le accostò anche il titolo di ‘domenica della misericordia’, riprendendo dal Vangelo quanto Gesù dice ai suoi discepoli: “ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati …”. Il Vangelo ci racconta anche l’esperienza dell’apostolo Tommaso: quando Gesù viene in mezzo ai suoi discepoli la sera dello stesso giorno, quello della Resurrezione, Tommaso non c’è; Gesù torna otto giorni dopo e Tommaso è presente. Al racconto dei fatti, Tommaso non crede. La sua vicenda vive nell’immaginario come emblema del rapporto tra fede e ragione. A ben vedere, la sua storia ci rivela cos’è la fede e qual è il ruolo della ragione in relazione ad essa: non è logica e non si basa su deduzioni di tipo causa-effetto. L’assenza e la presenza nel luogo dove Gesù ‘sta in mezzo a loro’ non è marginale: per incontrare il Signore è necessaria la presenza nel Cenacolo. La fede non parte da Tommaso ma da Gesù che gli porge la mano: “metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; allunga la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo ma credente”. Essa è un’offerta di Gesù e allo stesso tempo richiede una condizione umana: la presenza nel Cenacolo, complementare alla sua proposta. L’atto del credere resta sempre un atto libero, consapevole … e onesto, a condizione che si riconosca ragionevolmente quando la verità precede le proprie convinzioni. L’effetto è visibile a tutti: la gioia! “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”, conclude Gesù. Il Signore si fa sempre trovare … da chi lo cerca e, per primo, tende la mano!

p. Gaetano Saracino