5 Gennaio 2022 - Il Battesimo di Gesù, così come riferito dall’evangelista Luca, sembra un fatto che riguarda solo Lui. Una sua esperienza personale. Non si descrive nessun episodio ma si dice solo che “quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera (…) vi fu una voce dal cielo: tu sei il mio figlio l’amato, in te ho posto il mio compiacimento”.
Quel fatto, in verità, non è un resoconto privato tra Padre e Figlio ma riguarda tutti.
L’evangelista, poco prima, aveva detto che c’era un popolo in attesa tanto da chiedersi se Giovanni il Battista non fosse proprio lui il Messia, l’atteso. In fondo uno come lui, quadrava con gli schemi umani: persona seria, esigente, che sa richiamare le coscienze.
Giovanni chiarisce che lui è solo acqua ma il cuore umano deve essere introdotto in un qualcosa che è più di un’aspettativa. Cos’è questo di più? La relazione filiale tra Dio e quel Figlio e, attraverso di Lui, con tutti gli uomini: “tu sei l’amato (…) il mio compiacimento”. Dio non ha una gioia astratta ma è un Padre felice di essere Padre. Ha una gioia destinata al cuore umano.
Il cuore dell’uomo che si aspetta un rimprovero è superato dalla rivelazione della paternità di Dio. Il tema del battesimo di Gesù è il nostro battesimo. In esso siamo introdotti nella dimensione filiale e lo Spirito Santo viene su di noi come vera e propria certificazione interiore che Dio è nostro Padre.
Dubitare della paternità di Dio è ciò che di più grave può capitare all’uomo. Ritrovarsi figli di Dio è l’uscita da quello stato di distruzione. Essere amati è il fondamento della nostra capacità di amare. Trovarci accolti ci rende aperti all’accoglienza.
Il cuore dell’annuncio del Vangelo è proprio questo: passare dalla convinzione di un Dio estraneo, e a volte ostile, alla scoperta che Dio è Padre e ‘a priori’ sta al nostro fianco. “In te ho posto il mio compiacimento” è una parola per noi. Ci dice la nostra verità più autentica.
Accogliere questa rivelazione fa sì che quello che sappiamo di noi, figli amati, possiamo saperlo anche del nostro prossimo. (p. Gaetano Saracino)
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Vangelo Migrante: II domenica dopo Natale (Vangelo Gv 1, 1-18)
30 Dicembre 2021 - Un brano di Vangelo che toglie il fiato, impedisce piccoli pensieri e spalanca le porte dell’infinito e dell’eterno. Così inizia il Vangelo di Giovanni: non il racconto di un episodio ma un volo che proietta Gesù di Nazareth verso i confini dello spazio e del tempo.
“In principio era il Verbo... e il Verbo era Dio”. Quel ‘principio’ non coincide solo con la prima parola della Bibbia. Quel ‘principio’ è l’origine di ogni cosa, il suo senso profondo, la sua anima. Tutto quello che esiste in noi e attorno a noi, è stato fatto per mezzo di Lui e niente si è fatto da sé.
“In lui era la vita”. Il Verbo di Dio non è venuto a portare un sistema di pensiero o una nuova teoria religiosa, ma ci ha comunicato vita ed ha acceso in noi il desiderio di una vita più grande: “Sono venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
“E la vita era la luce degli uomini”. La vita è una grande parabola imbevuta della luce di Dio. Una parabola che ci insegna come perfino nelle pozzanghere dell’esistenza possiamo scorgere il riflesso del cielo di Dio e nei germogli o nelle piccole cose intuire le cose ultime.
“E il Verbo di fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. ‘In principio’, ‘tutto’, ‘nulla’, ‘Dio’, sono parole assolute, senza limiti ma non astratte. Ci mettono in rapporto con la totalità e con l’eternità, con Dio e con tutte le creature del cosmo. Ma è accogliendo Gesù venuto in terra e riconoscendolo Figlio di Dio che, da semplici creature, si diventa addirittura Figli a nostra volta. Mai inadeguati, mai sbagliati: preziosi ai suoi occhi!
Se tutta la vita è imbevuta della luce di Dio, in Gesù l’umanità è abitata stabilmente da Dio. Attentare all’umanità significa volersi disfare di Dio; presumere di cancellare Dio, significa distruggere ogni forma di vita. Per questo il primo compito di ogni uomo è accogliere l’umanità, proteggerla, promuoverla e integrarla. Ovunque.
“Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”. (P. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: Natale del Signore (Vangeli Mt 1,1-25; Lc 2,1-14; Lc 2,15-20; Gv 1,1-18)
21 Dicembre 2021 -
Per la celebrazione liturgica del mistero del Natale del Signore, vengono offerti quattro brani di Vangelo: per la messa vespertina nella Vigilia, che fa già parte pienamente della festa, per la Notte Santa, l’Aurora e il Giorno.
Ciascuno di essi introduce alla meditazione di un aspetto particolare del mistero che celebriamo, quasi una progressione di rivelazione da parte di Dio e di comprensione da parte dell’uomo: il Verbo che si cala nella storia dell’umanità; la rivelazione che “oggi è nato il Salvatore”; l’adorazione dei pastori al sorgere del sole, e anche la nostra, di quel bambino accolto nell’intimità di una famiglia; l’annuncio che quel bambino è la “luce vera che illumina ogni uomo”, come solennemente riportato nel prologo del Vangelo di Giovanni!
Una rivelazione che rischia di essere oscurata dalle tante nubi addensate sopra questa umanità. Ma nulla è impossibile a Dio. Anche per noi vale quel segno indicato dagli angeli ai pastori: “troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato …” Per noi, un segno per nulla distante ma, sempre più spesso, un fatto drammaticamente vero e visibile a tutti.
Dio che si fa uomo è lì. È carne viva nel bambino Gesù. Dubitare o tergiversare su quel che si vede non è solo fare un torto alla verità ma è farsi vincere dalla paura e, per paura, perdersi anche i significati di quel segno: l’amore e la gioia. Un amore che accoglie, una gioia che condivide. Cose volute, create, pensate, progettate da Dio stesso, che danno significato ad ogni cosa e rendono perfettamente funzionante ed efficace tutto il movimento della vita in ogni dimensione dell’esistente.
Per noi sono incarnate in Gesù. Non c’è posto per paure e astrazioni. Questo spiega l’invocazione incessante della Chiesa: Ma-ra-na-thà! Vieni Signore! (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: IV domenica di Avvento (Vangelo (Lc 1, 39-45)
16 Dicembre 2021 - Laddove si riesce ancora a guardare il mondo con occhio intriso di umanità, ci si accorge che non c’è immagine più evocativa di quella di una donna in attesa. In lei ciò che è pesante è alleggerito da una vita nuova che arriva e ciò che è impalpabile, ancorato ad una creatura fatta carne.
Il Vangelo di questa domenica ne mette di fronte due: Maria ed Elisabetta, sua cugina. Dio viene mediato dal loro incontro, convocato dai loro abbracci e dai loro affetti, come un familiare. Non esiste infinito quaggiù, lontano dalle relazioni umane. Dio arriva così.
L’unica scena del Vangelo in cui sono protagoniste solo donne, èanche l’icona dei passi di Dio in mezzo agli uomini.
Il primo passo è riflesso in Maria che entra nella casa e saluta Elisabetta. Entrare, varcare soglie, fare dei passi per andare incontro ad una persona. Non restare al di fuori, ad aspettare che qualcosa accada ma diventare protagonisti, avvicinarsi, bussare, ricucire strappi e allontanamenti; presentarsi con un saluto, facendo viaggiare parole di pace: premessa essenziale perché un incontro ed una relazione siano fruttuose. Maria ripete ciò che l’angelo di Dio ha fatto con Lei.
Il secondo passo è in Elisabetta che esclama: “Benedetta tu fra le donne”. Dire a qualcuno “sei benedetto” significa portare il cielonella sua vita, salutare Dio in lui, vederlo all’opera, vedere il bene, la luce, con uno sguardo di stupore, senza rivalità, senza invidia. La felicità passa dal ‘dire bene’. Nel bene è l’immagine di quel Dio che “ha fatto bene ogni cosa!”
Il terzo passo diventa un canto: “l’anima mia magnifica il Signore!”. Maria ringrazia. È grata perché è amata. Segno che l’amore, quando accade, ha sempre il senso del miracolo: ha sentito Dio venire come un fremito nel grembo, come un abbraccio con l’anziana cugina, come la danza di gioia di un bimbo di sei mesi, e canta. La certezza della presenza di Dio è la gioia, la prova: il “mormorio di un vento leggero”.
Il tempo sta per compiersi. Dio è vicino! Si farà uomo in Gesù. Batterà ancora le strade della relazione, quelle della premura ma anche quelle dell’accoglienza; illuminerà le Opere del Padre perché noi possiamo riconoscerle e ‘dire bene’; spalancherà gli orizzonti della gioia e della gratitudine proprie di un cuore già visitato e amato!
p. Gaetano SARACINO
Vangelo Migrante: III domenica di Avvento (Vangelo Lc 3, 10-18)
9 Dicembre 2021 - Le parole del profeta Sofonia nella prima lettura e un certo successo della predicazione di Giovanni Battista, introducono il tema di questa terza domenica di Avvento detta della gioia: ‘gaudete!’
Di che gioia si tratta? Il popolo avverte che è in arrivo un cambiamento ed ha la forma della “revoca di una condanna”, come annunciato dal profeta: “rallegrati figlia di Sion (…) il Signore ha revocato la tua condanna”; il cambiamento è, addirittura, una persona: “viene colui che è più grande di me a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali”, predica Giovanni.
Un’aspettativa dinanzi alla quale molti chiedono al Battista: io che cosa posso fare? Lo chiedono le folle, i pubblicani e, persino, i soldati.
La pagina di Vangelo si sofferma sulle risposte di Giovanni il Battista a ciascun gruppo e sull’annuncio delle qualità del Messia.
Giovanni non dà risposte definitive: il suo è sempre un preparare, predisporre la strada a Colui che ha la risposta definitiva. Per questo, esorta le folle a praticare una giustizia distributiva: “chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Ai pubblicani raccomanda: “non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”; e ai soldati: “non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”.
Questa è la missione di Giovanni … e anche la nostra: annunciare e praticare una giustizia. Non sono queste le cose che salvano (lo vediamo tutti i giorni) ma di sicuro sono queste le cose che preparano la Salvezza. E sono necessarie perché il Compimento di Dio possa realizzarsi.
Giovanni porge il primo livello della conversione: interrompere il male. È decisivo, perché è da lì si costruisce il nuovo. Se pensiamo che per accogliere Dio occorre fare cose fantasmagoriche, ci sbagliamo. Quello che serve, invece, è interromperne alcune. E, spesso sono queste le cose che ci fanno soffrire di più perché all’apertura al nuovo, anche a quel che desideriamo, si oppone quello che temiamo di perdere.
Il titolare della salvezza, arriverà e porterà pienezza di vita nuova, dice Giovanni, ma c’è un puntino che spetta a noi ed è l’inizio di quella venuta.
Il movimento possibile, quello che io posso fare, lo devo fare. È su quello che vedremo fiorire l’impossibile che spetta a Dio. (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: II domenica di Avvento (Vangelo Lc 3, 1-6)
2 Dicembre 2021 - Un’introduzione solenne dà inizio al racconto dell’attività pubblica di Gesù. Un lungo elenco di re e sacerdoti traccia la mappa del potere politico e religioso dell’epoca; ma poi, improvvisamente, c’è una svolta. La Parola di Dio vola via dal tempio e dalle stanze del potere e raggiunge un giovane: Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
Non è lui che porta l’annuncio ma è la Parola di Dio che lo raggiunge, lo incalza e lo sospinge: “egli percorse tutta la regione del Giordano”. La Parola di Dio è sempre in volo in cerca di uomini e donne, semplici e veri, per creare inizi e processi nuovi. Parla di raddrizzare, appianare, colmare paesaggi aspri e difficili che sono senz’altro i tratti duri e violenti della storia: ogni violenza, ogni esclusione e ingiustizia sono un burrone da colmare; ma sono anche la nostra geografia interiore: una mappa di ferite mai guarite, di abbandoni patiti o inflitti, paure, solitudini, forme di anaffettività dilaganti...
Anche se i potenti del mondo alzano barriere, cortine di bugie, muri ai confini, Dio trova la strada per raggiungere ognuno e posare la Sua mano sulla spalla ciascuno. Niente lo ferma.
E allora: chi conta davvero nella storia? Erode, noto solo perché ha tentato di uccidere quel bambino? Pilato, passato alla storia perché l’ha condannato? No. Conta solo chi si lascia abitare dal sogno di Dio e dalla Sua Parola.
L’ultimo appello della predicazione odierna di Giovanni è il vertice dell’Annuncio: “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Ogni uomo? Sì, proprio così. Dio vuole che tutti siano salvi, e non si fermerà davanti a burroni o montagne, neppure davanti alle tortuosità del nostro passato, ai cocci della nostra vita, tantomeno dinanzi alle diversità culturali e di provenienza degli uomini.
Una delle frasi più impressionanti del Concilio Vaticano II, afferma: “ogni uomo che fa esperienza dell’amore, viene in contatto con il mistero di Cristo in un modo che noi non conosciamo” (Gaudium et spes 22).
Cristo raggiunge tutti gli uomini, e l’amore è la sua strada. E nulla esiste di veramente umano che non raggiunga, a sua volta, il cuore di Dio.
Buona cammino di Avvento, ancora! (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: I domenica di Avvento (Vangelo Lc 21,25-28 e 34-36)
25 Novembre 2021 -
Con la prima domenica di Avvento ha inizio il nuovo anno liturgico.
Il motivo dominante dell’Avvento non è il ricordo della nascita di Gesù ma l’invito ad accogliere la sua venuta nella nostra vita, oggi; e, quindi, a passare dal clima facile ed emotivo del Natale al coraggio di interrogarci sullo scopo ultimo della nostra vita: l’incontro con Lui.
Incoraggiati da questa prospettiva ci dirigiamo sul Vangelo: “vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia”, esordisce Gesù con un linguaggio apocalittico. Ci consola quello che segue: “vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.
“Alzate il capo”, è la chiave. Quando sta accadendo qualcosa di difficile, è proprio quello il momento della liberazione perché può segnare un punto di rottura, può coincidere con un tornante che apre un nuovo orizzonte dove affiora la speranza. E tutto cambia.
Gesù non ci lascia in balia degli eventi ma li pone in un cammino che è orientato verso un fine, uno scopo, una meta e che proviene da una promessa di bene, quella con cui tutti nasciamo. Si guardi ai bambini: hanno un bagaglio di positività e di apertura al bello e al buono che sono straordinari. Eppure molto del nostro tempo lo trascorriamo in bilico tra il sublime e il tragico, tra il meraviglioso e il deturpato. È un attimo: gli stessi fatti possono portare una persona alla crescita e un’altra all’implosione; una a vivere, l’altra morire.
Gesù parla di postura. I fatti difficili esistono e sono lo spartitraffico; dalla postura dinanzi ad essi, dipende il nostro futuro: “state attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Gli appesantimenti sono le zavorre che uccidono la vita perché rubano noi a noi stessi e ci rubano il reale alienandolo. Sicchè, quando arriva la tempesta questa ci abbatte.
La vita è una chiamata a cose grandi e, come tutte le cose grandi, anche a sfide difficili. “Alzate il capo”: chi si apre alla sapienza di Dio comprende che è giunto il momento di crescere, assume una posizione tra la terra e il cielo e affronta la vita. Non è forza di volontà ma postura necessaria per vedere chi sta arrivando, per ascoltare qualcuno che sta parlando con noi, anche in quelle situazioni; proprio come accade in un momento di grazia, di gioia e di consolazione.
Per fare Natale, occorre essere nel reale: lì arriva Dio e lì ci parla la Sua Provvidenza! Buon cammino di Avvento! (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: Solennità di Cristo Re dell’Universo (Vangelo Gv 18, 33-37)
18 Novembre 2021 - Il dialogo tra Pilato e Gesù introduce la Solennità di Cristo Re e conclude l’anno liturgico. In un contesto che non è quello della Settimana Santa è una pagina di vangelo che ci dice chi è Gesù e dove si fonda tutto il suo messaggio: “io sono re ma il mio regno non è di questo mondo”.
Chi è Gesù? Agli occhi di Pilato è un possibile concorrente, un potere alternativo al potere dei romani. Agli occhi delle folle è il liberatore atteso ma, a quanto pare, non è capace di difendere nemmeno se stesso. Che razza di re è mai questo?
Gesù lo chiarisce. Dinanzi a Pilato che gli chiede: “Sei tu il re dei Giudei?” Gesù cambia terreno e alza il tiro: “dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”. Come a dire: “mi fai una domanda per la quale non ti interessa la vera-risposata-vera ma solo quello che potrebbe costare al tuo potere”. E alla domanda: “che hai fatto?” Prosegue dicendo: “il mio regno non è di questo mondo; (…) io sono re”.
Non sono affermazioni enigmatiche. Vediamoci chiaro: nella storia dell’umanità non esiste un uomo che abbia lasciato il segno più di quel Nazareno poco più che trentenne. Al di là della fede in Lui, pertanto, non si può escludere in assoluto che uno che dice di essere re di un regno che non è di questo mondo, possa avere a che fare con questo mondo.
Probabilmente inquieta il fatto che nel confronto con Pilato, Gesù destabilizza il potere umano e ne rivela le contraddizioni. Il potere di questo mondo presume di essere difesa, benessere, giustificazione dei sudditi; nei fatti è difeso dai sudditi, mantenuto con le risorse dei sudditi, acconsentito dai sudditi. Libertà o dominio? Le dichiarazioni di Gesù sono domande necessarie: Chi è veramente libero? Chi possiede tutto (ed è posseduto da tutto) o chi non possiede nulla? Chi fa fare agli altri quello che dice lui o chi sa amare tutti, anche chi gli ha procurato del male?
Verità distanti anni luce dalla prassi terrena eppure esigenze, aneliti ineludibili che, prima o poi, fanno gridare: basta compromessi, basta agire per consolidare qualcosa, per convenzioni che non hanno più fondamenti, per far contento qualcuno!
In quel Regno, Gesù e il suo messaggio coincidono: Gesù è libertà, in se stesso e per chiunque lo accoglie. Allora, quel Regno, per il solo fatto che esiste, interpella: l’amore di quell’uomo crocifisso, interroga sempre! (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXXIII domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Mc 13, 24-32)
11 Novembre 2021 - L’universo è fragile nella sua grande bellezza: “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”, dice Gesù nel suo discorso sulle ultime cose.
Parole finali. Sconvolgenti. Eppure non è questa l’ultima verità: se ogni giorno c’è un mondo che muore, ogni giorno c’è anche un mondo che nasce, un germoglio che spunta, gemme che annunciano l’estate. Quante volte si è spento il sole, le stelle sono cadute a grappoli dal nostro cielo, lasciandoci vuoti, poveri, senza sogni: una disgrazia, una delusione, la morte di una persona cara, una sconfitta nell’amore, ingiustizie perpetrate su di noi e sui fratelli. Situazioni per cui è stato necessario ripartire, ricominciare e, con un’infinita pazienza, guardare, oltre l’inverno, ad una estate che inizia con il quasi niente. Appunto: come una gemma su un ramo.
Gesù non ama la paura. La sua umanissima pedagogia è semplice: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura. Vuole raccontare non la fine ma il fine della storia: Dio è vicino, è qui, come la primavera nel cosmo. E ci porta alla scuola delle piante perché le leggi dello spirito e le leggi profonde della creazione coincidono: da una gemma di fico possiamo imparare che il futuro del mondo “non è compiuto così com’è, ma è qualcosa che deve svilupparsi ancora oltre, e che deve essere inteso più in profondità. Il mondo è una realtà germinante” (R. Guardini), incamminata verso una pienezza profumata di frutti.
Non siamo in balia della paura e degli eventi che sembrano sopraffarci: il Regno di Dio è vicino! Sta alla porta, e bussa. Viene non come un dito puntato, ma come un abbraccio; non portando un’accusa ma un germogliare di vita.
Non resta che farsi trovare e accoglierlo! (p. Gaetano SARACINO)
Vangelo Migrante: XXXII domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Mc 12, 38-44)
4 Novembre 2021 - Il Vangelo ci mostra due figure contrapposte: gli scribi ed una vedova.
I primi prendono la vita dal giudizio degli altri. Per timore di non avere una propria vita, fanno derivare quello che sono dalle apparenze: “amano passeggiare il lunghe vesti, ricevere i saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti”. Si tratta di vite miserabili fondate sulla vanagloria e su un’ansia da riconoscimento che derivano dalla paura di svanire nel nulla, di non essere importanti e di non essere proprio. Per cui la vita prende energia dalla paura dell’oblio. È la nostra realtà più vera: noi non abbiamo sostanza per noi stessi; non a caso il Vangelo prosegue descrivendo che per sussistere, essi “divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere”. Il palco va sostenuto anche dai soprusi.
A questi, Gesù contrappone il comportamento di una vedova che nel tesoro del tempio versa tutto quello che ha: due monetine. Anche lei dipende. Non si tratta di una persona poco abbiente; quella donna, dice il Vangelo, è proprio una mendicante: la sua vita dipende da tutto quello che gli arriva. Questa condizione, tuttavia, non le toglie il desiderio di donare a Dio tutto quello che ha. La sua vita è totalmente votata alla dipendenza ultima che è da Dio. E viene vista da Gesù.
È questa l’immagine con cui l’evangelista conclude il racconto della vita pubblica di Gesù, una sorta di ultima chiamata per rientrare realmente in rapporto con Dio.
Dio non chiede molto o poco: chiede tutto. Ciò che ci fa vivere veramente è la sua provvidenza. Questa pagina ci fa capire che o la nostra anima riposa in Dio o l’alternativa è lo scriba: vivere delle nostre opere e dello sguardo altrui.
Finchè non mettiamo a disposizione di Dio tutto quello che abbiamo dipenderemo da quelle cose che esibiamo e difendiamo, ma non da Dio. Non c’è una terra di mezzo. Una vita cristiana a metà, è grottesca.
Chi sceglie Dio, avrà sia Dio che il mondo perché vivrà in questo mondo libero e secondo figliolanza. Chi sceglie il mondo, avrà solo il mondo con le sue paure e le sue ansie. Che, ahinoi, si vedono tutte! (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXXI domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Mc 12,28-34)
28 Ottobre 2021 - Al tempo di Gesù si discuteva animatamente sulla gerarchia dei comandamenti. “Qual è, il primo di tutti i comandamenti?” chiede uno scriba.
Sebbene fosse diffusa una certa priorità per il terzo, quello che prescrive di santificare il sabato, perché anche Dio lo aveva osservato, la risposta di Gesù, come al solito, spiazza e va oltre: non cita nessuna delle dieci parole, ma colloca al cuore del Vangelo la stessa cosa che sta nel cuore della vita: ‘tu amerai’. Un verbo al futuro, come per un viaggio mai finito.
“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non aggiunge nulla di nuovo: le due parole sono già scritte nel Libro. La prima è uno dei testi più cari, quotidiani e amati della pietà ebraica con cui si esprime la fede amorosa di Israele per il suo Dio. La seconda è tratta dal levitico e non si limita a chiedere di non fare del male al prossimo, ma chiede in positivo di fare il suo bene.
La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola: “amerai”. L’origine dei nostri mali, dei fondamentalismi, di tutte le arroganze, del triste individualismo sta nell’averle separate. L’amore per il prossimo è un’esigenza irrinunciabile della nostra fede, perché fa parte delle intenzioni di Dio. Vivere il comandamento dell’amore del prossimo significa salvare l’amore di Dio dalle sue facili illusioni: è il segno verificabile e convincente dell’amore per Dio.
Quando uno ama sa che cosa deve fare e non ha bisogno del pungolo di alcuna legge. (p. Gaetano SARACINO)
Vangelo Migrante: XXX domenica del Tempo Ordinario – b (Vangelo Mc 10,46-52)
21 Ottobre 2021 - Un mendicante cieco, l’ultimo della fila, un naufrago della vita, al passaggio di Gesù comincia a gridare: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” Non proprio una richiesta di perdono ma la celebrazione del dono di un dialogo con Dio, sempre possibile, anche nella disperazione o in uno ‘stato di fermo’ come in questo caso.
“Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Il suo è un grido fuori programma che disturba. Disturba il disturba i riti e le aspettative; disturba chi pensa male di Dio e professa la fede nel ‘fai da te’, disturba chi gode nel confondere il peccato con il peccatore. Ma la vita è un fuori programma continuo e il Figlio di Dio lo sa. Esistono nell’uomo gemiti di cui abbiamo perso l’alfabeto e grida su cui non siamo più capaci di sintonizzarci.
Gesù, il Rabbi, ascolta e risponde. La sua attenzione libera tutta l’energia della vita: il cieco, non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza da terra, ma balza in piedi.
La fede porta con sé un balzo in avanti, porte che si spalancano, un ‘di più’ illogico e bello. Credere è acquisire la bellezza del vivere, purificare i desideri, abbandonare il superfluo: “che cosa vuoi che io faccia per te?”, chiede Gesù!
Fidandosi di Gesù e perseverando anche dinanzi ai rimproveri circostanti, Bartimeo guarisce come uomo, prima che come cieco. Il Figlio di Davide si è accorto di lui, lo ha toccato e lo ha tirato fuori dal suo naufragio umano.
Il vero ‘miracolo’ è che è sempre possibile la fiducia e speranza in Dio, in ogni circostanza della vita si può dialogare con Lui e, quando serve, gli va fatto spazio.
È questa la cura che guarisce la nostra umanità persa, ferita, abbandonata o dimenticata. Ci rimette al mondo e ci rende anche discepoli, … con occhi nuovi. (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXIX domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Mc 10, 35-45)
14 Ottobre 2021 - Gesù ha appena annunciato per la terza volta la sua passione e la sua morte. Come nelle due precedenti occasioni i discepoli, ancora una volta, non comprendono. Questa volta sono gli impetuosi figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni che chiedono i primi posti nel regno, di cui hanno una visione molto lontana da quella di Gesù. Per nulla turbati dall’annuncio che hanno appena ascoltato, cercano, invece, una posizione di privilegio, suscitando negli altri discepoli uno sdegno che è carico dello stesso equivoco, perché nasce dalla stessa ambizione.
E Gesù, quasi sconsolato, ribatte: “non sapete quello che chiedete!”. E spalanca loro la differenza cristiana: i grandi della terra dominano e opprimono gli altri (...) “tra voi non sia così!”
È innata nell’uomo una volontà di grandezza, il non accontentarsi, il ‘morso del più’, il cuore inquieto. Gesù non condanna questo, non vuole nel suo regno uomini e donne incompiuti e sbiaditi, ma persone fiorite, regali, nobili, fiere, libere. La santità non è una passione spenta, ma una passione convertita: chi vuole essere grande sia servitore, si converta da ‘primo’ a ‘servo’. Cosa per niente facile: il timore è che il servizio sia nemico della felicità e che esiga un capitale di coraggio di cui siamo privi.
Eppure il termine ‘servo’ è la più sorprendente di tutte le autodefinizioni di Gesù: “non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo”. Servo è un nome di Dio; Dio è nostro servitore! Si! Dio non è il padrone dell’universo: è il servo di tutti! Non tiene il mondo ai Suoi piedi ma è inginocchiato ai piedi delle Sue creature; non ha troni ma cinge un asciugamano.
Un padrone fa paura: giudica e punisce. Un servo non fa paura: opera per riparare, opera per un bene altrui, si immerge in una storia altrui e beve da un calice non suo.
Gesù ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio-padrone! E nel farsi servo ci insegna che non è importante che si realizzi ciò che noi pensiamo ma che noi siamo dove Dio ci vuole portare. Quel posto “è per coloro per i quali è stato preparato!”. (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXVIII domenica del Tempo Ordinario – b | Vangelo (Mc 10,17-30)
7 Ottobre 2021 - Un giovane si rivolge a Gesù e gli chiede la Vita che non ha: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”
Gesù con una domanda gli chiarisce che Lui sarà pure un maestro, ma la bontà è di Dio ed è sempre Dio che elargisce quanto gli sta chiedendo. Il riferimento a Dio sono i comandamenti che Gesù espone e che il giovane ammette di seguire.
Ma non basta: per la vita eterna occorre un di più. Gesù gli dice: “va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”
La richiesta è introdotta da una nota dell’evangelista: “allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò …” Non è uno sguardo di stima e basta, ma è il coinvolgimento di Dio fino in fondo con quel giovane e con ogni figlio, preda di una trappola: l’eterna tentazione di ottimizzare le cose di questo mondo con le ‘cose’ di Dio. Quasi che esse siano sullo stesso tavolo e che siano intercambiabili a nostro piacimento.
No. le cose di Dio vengono prima e questa priorità la riconosci solo quando non metti dinanzi a Lui nient’altro e non fai dipendere la tua vita da nient’altro: “non avrai altro Dio all’infuori di me!” Il fatto che la proposta di Gesù venga percepita come distacco-rinuncia e non come ricchezza-prima, è la prova che quel giovane, in fondo, non la cerca la Vita che gli manca perché si fa bastare i beni che ha. La commozione di Gesù (lo amò) è la lacrima che quel giovane non versa.
Il Vangelo prosegue descrivendo lo sconcerto dei discepoli. Gesù mette bene in chiaro che ‘il tutto’ richiesto ad essi viene dopo ‘il tutto’ dato da Dio: “tutto è possibile a Dio!” Il distacco da casa, fratelli, madre padre, figli e campi assieme alle persecuzioni sono contemporaneamente la spinta fuori da questo mondo e il salto nella vita di Cristo.
Nulla sarà mai troppo se in cambio abbiamo quello che Dio ha da darci “in questo tempo … e nel tempo che verrà!” (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXVII domenica del Tempo Ordinario – b (Mc 10,2-16)
30 Settembre 2021 - Gesù lascia la Galilea e si dirige in Giudea per raggiungere Gerusalemme. Il successo della sua predicazione continua. Si avvicinano i farisei per metterlo in difficoltà e per screditarlo dinanzi alla folla.
Lo interrogano a proposito della legittimità o meno del divorzio con la segreta speranza di riuscire a coinvolgerlo nelle interminabili discussioni delle scuole rabbiniche: la legge mosaica, gli ricordano i farisei, autorizza il marito a ripudiare la moglie.
Mosè tuttavia nello stabilire questa norma aveva lasciato molto indeterminati i motivi capaci di autorizzare il ripudio: ad un certo punto parla di “qualche cosa di vergognoso” che il marito può aver trovato nella moglie (Dt 24,1). Alcuni dicevano che indicava solo l’adulterio, altri sostenevano che si riferiva a qualsiasi ragione, non solo di tipo morale, ma anche di tipo fisico o relazionale e, quindi, rendeva legittimo il divorzio.
Gesù si sottrae alla disputa con una sentenza radicale che osa correggere la legge di Mosè: “per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma”; e rifiuta le sottigliezze rabbiniche che tentano di far coincidere la volontà di Dio con i propri interessi e desideri. C’è una situazione sbagliata in radice: è il cuore indurito che compromette l’originario progetto di Dio sull’uomo e sulla donna. Il progetto di Dio richiede un amore totale, fedele, indissolubile.
L’insegnamento si colloca nella sezione dove Gesù chiede ai discepoli di capire e vivere la logica della croce e del dono totale della propria vita per il vangelo.
Solo un cuore posto nell’altrove di Dio, può aiutarci a non ricorrere ‘solo’ alle presunte uscite di sicurezza della legge ma può aiutarci a non pensare subito male di chi abbiamo dinanzi, ad accogliere diversamente anche cose che forse non prevedevamo o che ci hanno spaventato e che giudichiamo ‘irreversibili’.
Un cuore nel cuore di Dio, anche quando non invoca, viene visitato! (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXVI domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 9,38-43.45.47-48)
24 Settembre 2021 - Gesù nel vangelo e Mosè nella prima lettura sono concordi nel contrastare ogni interpretazione del mistero e della partecipazione alla salvezza come esclusività riservate ad una casta. A Giovanni che dice: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni in tuo nome e volevamo impedirglielo perché non ci seguiva”, Gesù risponde: “non glielo impedite (…), chi non è contro di noi è per noi”.
Un certo ordine, una appartenenza a delle istituzioni, a volte inevitabile, nulla tolgono alla libertà divina di dare lo Spirito a chiunque ma soprattutto non sono lo strumento per la ‘gelosia’ tra quanti sono consapevoli dei doni ricevuti.
Lo scandalo per Gesù non è essere sprovvisti di un permesso di appartenenza ufficiale ma il rischio è quello di essere di inciampo a quei piccoli che credono e che talora credono alla maniera dei piccoli ma che non per questo sono animati da fede piccola e supponente come, invece, rischia di essere quella di Giosuè, nella prima lettura e di Giovanni nel Vangelo.
Nel messaggio per la 107a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebra in questa domenica, ‘Verso un “noi” sempre più grande’, papa Francesco chiede a noi, a quanti ci diciamo discepoli di Gesù, di essere veramente cattolici, ovverosia ‘universali’, di superare quei sentimenti di gelosia e di chiusura che rischiano di fare delle nostre comunità dei ghetti; di saper riconoscere la presenza dello Spirito che ‘soffia dove vuole’, ben oltre i nostri schemi e le nostre istituzioni: “il suo Spirito ci rende capaci di abbracciare tutti per fare comunione nella diversità, armonizzando le differenze senza mai imporre una universalità che spersonalizza. Nell’incontro con la diversità degli stranieri, dei migranti, dei rifugiati, e nel dialogo interculturale che ne può scaturire, ci è data l’opportunità di crescere come Chiesa, di arricchirci mutuamente”. (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXV domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 9,30-37)
16 Settembre 2021 - La pericope del Vangelo di questa domenica è un atto di insegnamento privato di Gesù ai suoi discepoli. L’evangelista annota che è proprio intenzione di Gesù attraversare la Galilea senza che alcuno lo sapesse.
L’insegnamento ha un contenuto ed è il nucleo di tutto il suo messaggio: l’annuncio della sua passione, morte e Resurrezione. La vera vita non è evitare i problemi, anche terribili, ma è incontrare Dio nei problemi, incontrare la vita piena proprio lì dove sembra che la vita venga tolta. Il cuore che accoglie questo insegnamento, attiva tutta un’altra maniera di intendere e costruire la vita: oltre la morte, oltre il dolore.
I discepoli non capiscono. E non fanno domande. Va delusa l’aspettativa secondo la quale l’allievo che non capisce ponga una qualche domanda al maestro. Niente. Parlano d’altro.
Un atteggiamento molto comune anche alla nostra condizione: per le questioni di fede, spesso si preferisce rimanere sulla soglia, superficiali, senza approfondire. Si preferisce pattinare sulla superficie delle cose, ponendole su forme di devozione immature e trascinandole, mentre il nodo fondamentale della vita resta: la morte, il dolore … I discepoli non vogliono interrogarlo perché hanno paura di varcare quella soglia. Una fede immatura e non adulta impoverisce anche la coscienza.
E allora è Gesù che li interroga: di che cosa stavate discutendo per la strada? Non interrogare lui, vuol dire entrare nella logica umana e appiattirsi. Nell’appiattimento umano parte il gioco che gli uomini sanno fare meglio: competere. Chi è il più grande?
È qui che Gesù prende un bambino, lo pone nel mezzo e, abbracciandolo, dice: “chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
Ci martella il verbo accogliere. Accogliere è la chiave della fede molto più dell’intraprendenza e della capacità di farsi valere. Molto più anche delle forme di creatività messe a servizio della pastorale o di grandi progetti. Nelle nostre comunità, possiamo fare di tutto ma senza l’accoglienza ogni agire sarà vuoto o inutile perché privo di prospettiva escatologica e di fede!
Per un bambino accogliere è vitale, è linfa. Lui sa dipendere perché, al netto dei capricci e di tutti i limiti che può avere, avverte che è essenziale per crescere.
Gesù attraverso le sue braccia aperte che sanno accogliere, ci indica la chiave della vita nuova. (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXIV domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 8,27-35)
9 Settembre 2021 - Gesù usa il metodo delle domande per far crescere i suoi discepoli. Le sue domande accendono qualcosa, mettono in moto cammini e inaugurano pensieri. Diceva il Card. Martini: “la differenza profonda tra gli uomini non è tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti”. Nel Vangelo di questa domenica Gesù pone una domanda decisiva, qualcosa da cui poi dipenderà tutto: fede, scelte, vita ... “ma voi, chi dite che io sia?”
Non cerca parole astratte, cerca persone; non definizioni di sé ma coinvolgimenti con sé: cosa ti è successo quando mi hai incontrato? Come fanno gli innamorati: quanto posto ho nella tua vita, quanto conto per te?
Gesù non ha bisogno dell’opinione di Pietro (“tu sei il Cristo”) per avere informazioni, per sapere se è più bravo dei profeti di prima, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore.
E “ordinò loro di non parlare di lui ad alcuno” perché ancora non hanno visto la cosa decisiva. Infatti: “cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”.
Volete sapere davvero qualcosa di me e di voi? Vi do un appuntamento: la croce. E, prima ancora, la lavanda dei piedi.
Chi è il Cristo? Uno che sta in ginocchio davanti a noi con le sue mani sui nostri piedi. Come a dire: sono come lo schiavo che ti aspetta e al tuo ritorno ti lava i piedi; sono Colui che si lascia baciare da chi lo tradisce; sono Colui che non spezza nessuno ma spezza se stesso; sono Colui che non versa il sangue di nessuno ma versa il proprio sangue. E risorge.
Davvero? Ma un messia può fare così? Quel Messia, si. La Resurrezione non è un ‘lieto fine’ ma l’unica vita, quella vera. Per Lui e per chiunque lo segue. Per averla occorre seguirlo entrando in un altro ‘pensiero’: “non secondo gli uomini ma secondo Dio”.
Un pensiero che prevede il non assolutizzare il sé e il sapere ma la capacità di smentirsi, di defezionarsi da sé e dal proprio ego ed entrare nell’io di Dio che trae la vita dalla morte e la consolazione dal dolore.
Colui che ci ha amati, ci ha amati per sempre e sul serio. E dona vita. Anche su una croce! (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXIII domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 7,31-37)
2 Settembre 2021 - Per la sua predicazione Gesù sceglie un itinerario che congiunge città e territori estranei alla tradizione religiosa di Israele; percorre le frontiere della Galilea, alla ricerca di quella dimensione dell’umano che ci accomuna tutti e che viene prima di ogni divisione culturale, religiosa, razziale.
È qui che gli portano un sordomuto. Un uomo imprigionato nel silenzio ma ‘portato’ da una piccola comunità di persone che gli vogliono bene, presso quel maestro straniero, per il quale ogni terra straniera è patria.
E lo pregano di imporgli la mano. Ma Gesù fa molto di più: non gli basta imporre le mani in un gesto ieratico, vuole mostrare l’umanità e l’eccedenza, la sovrabbondanza della risposta di Dio.
Lo prende in disparte, lontano dalla folla: occhi negli occhi. Inizia a comunicare così.
Pone le dita sugli orecchi del sordo. Secondo momento della comunicazione: il tocco delle dita e delle mani parlano senza parole.
Poi con la saliva tocca la sua lingua. Gesto intimo, coinvolgente, come a dire: “ti do qualcosa di mio, il respiro e la parola, simboli dello Spirito”.
Gesù non disdegna i contatti, perché la salvezza passa attraverso i corpi, non è ad essi estranea, né li rifugge come luogo del male.
E, guardando quindi verso il cielo, emette un sospiro e gli dice: “Effatà”, cioè: Apriti! In aramaico, nel dialetto di casa, nella lingua del cuore, quasi soffiando l’alito della creazione: “Apriti, come si apre una porta ad un forestiero! Apriti dalle tue chiusure, libera la bellezza e le potenzialità che sono in te. Apriti agli altri e a Dio, anche con le tue ferite’. Le ferite possono trasformarsi in feritoie attraverso le quali far passare la luce.
E subito gli si aprono gli orecchi, si scioglie il nodo della sua lingua e colui che era sordomuto, parla correttamente. Una sequenza eloquente: prima gli orecchi; perché sa parlare solo chi sa ascoltare.
Gesù non guarisce perché ci si metta al suo seguito; guarisce per creare uomini liberi. “Gloria di Dio è l’uomo vivente”. Sì, proprio l’uomo che torna a pienezza di vita. (p. Gaetano Saracino)
Vangelo Migrante: XXII domenica del Tempo Ordinario – B (Vangelo Mc 7,1-8.14-15.21-23)
26 Agosto 2021 -
Dopo alcune settimane, torna il Vangelo di Marco e riparte da una sezione dove si riporta un tentativo di polemica da parte di alcuni farisei e scribi venuti da Gerusalemme.
Interrogano il Maestro indignati perché i suoi discepoli non rispettano le tradizioni: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”. La loro facile inclinazione ad accusare gli altri, rappresenta il tentativo subdolo, patetico e violento di difendere se stessi per non cambiare, per non mettersi in discussione, per non lasciarsi interpellare dal messaggio esigente, radicale e liberante proposto da Gesù.
La risposta di Gesù, ampia e articolata, dura e chiara, si sintetizza in una sola parola: “ipocriti!”. Essi sostituiscono l’osservanza di insignificanti tradizioni umane, all’osservanza del comandamento di Dio.
Per Gesù ciò che trasforma l’uomo non è ciò che entra dalla bocca, ma ciò che entra nel cuore, nella coscienza e determina le sue scelte. L’autentica religiosità si manifesta nell’amore per Dio che porta all’amore del prossimo attraverso l’osservanza dei suoi comandamenti.
Anche per noi il rischio di una religiosità formale e ritualistica è grande. Entrando nel nostro cuore per verificare seriamente che cosa vi sia, impegnandoci ad eliminare ogni intenzione cattiva, sforzandoci a distinguere il bene dal male, potremo renderci conto quanto sia difficile ed impegnativa la costante promozione della vita degli altri, quanto siamo esposti al peccato a motivo della fragilità umana, ma anche quanto sia liberante e gioiosa la ricerca seria del bene.
Le azioni buone nascono da un cuore buono, ma è altrettanto vero che i comportamenti buoni contribuiscono anche a rendere più buono il cuore dell’uomo. Spesso sono le azioni effettivamente compiute che consentono di capire meglio quello che c’è nel cuore, rivelandoci qualche volta migliori e qualche altra volta peggiori di quello che credevamo di essere. (p. Gaetano Saracino)