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Vangelo Migrante: VI domenica di Pasqua | Vangelo (Gv 14,23-29)

19 Maggio 2022 - È iniziata la preparazione alla Pentecoste, la festa nella quale celebriamo il dono dello Spirito santo. In attesa di questo dono il vangelo odierno ci situa in un contesto. “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà”, dice Gesù. Come può essere che se uno obbedisce a Dio, viene visitato da Dio? Questo è possibile nell’ambito dell’amore. Il primo frutto della contemplazione di Dio è proprio scoprire di essere stati amati da Lui. Pertanto: come si può non amarlo dopo esserne stati amati? Non è una deduzione logica e astratta ma l’ambito in cui funziona tutta la relazione con Dio che noi spesso abbiamo ridotto a regole, canoni e scansioni. Che ci sono, e sono anche significative ma, se non sono guidate dall’amore, diventano una tortura. “Chi non mi ama non osserva le mie parole”, prosegue Gesù; ad una persona irrigidita in un sistema di regole, gli peserà tutto e serve a poco la buona volontà: prima o poi molla. In questa relazione si apre il varco per accogliere l’intervento di Dio a cui Gesù dà un nome: “il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome”. È una figura tratta dal contesto giuridico: nei processi di un tempo, egli era il suggeritore, colui che stava vicino all’imputato e gli diceva cosa dire per difendersi. Nello specifico, il Paràclito ha due compiti: “Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”. Insegnare e ricordare. Perché Lui possa insegnare è necessario essere discepoli, dare la disponibilità a lasciarlo fare. Non solo. Occorre essere anche umili discepoli perché lui non insegna qualcosa ma ogni cosa! Lo Spirito non gioca a zona ma a tutto campo perché arriva ovunque e non solo da qualche parte. Appunto. Lo Spirito lavora anche sulla memoria e, quindi, permette di leggere tutta la vita daccapo in un altro modo. Un conto è leggere la vita secondo quello che ha fatto Gesù per noi, un conto è leggerla in modo piatto, secondo le nostre interpretazioni. Il lavoro del maligno, non a caso, è un lavoro sulla memoria… Egli dà colori e accentuazioni al nostro modo di ritenere la nostra storia che ci distruggono: rimorsi, ombre, cose andate a male che si ripresentano come pietanza di cui ci nutriamo … Prepariamoci al dono dello Spirito come persone che devono re-imparare tutto. Non a caso la via maestra è ancora quella dell’accoglienza: lo Spirito viene, arriva, … sbarca! Può sorprenderci ma, come accade dinanzi ad ogni nuovo arrivo, l’esperienza di imparare le stesse cose come nuove e riscoprirle in un’altra chiave, ci farà rinascere! (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: V domenica di Pasqua | Vangelo (Gv 13,31-35)

11 Maggio 2022 - Dicendoci che lui era il pastore e noi il suo gregge, tra le altre cose, Gesù ci metteva in guardia dai pericoli. La bellezza della vita cristiana alla sequela di Gesù è costantemente minacciata perché è la strada che porta a Dio. Il Vangelo di questa domenica situa Gesù nel pieno di una minaccia umana: il tradimento di Giuda. “Quando Giuda fu uscito, Gesù disse: ora il figlio dell’uomo è stato glorificato”. Gesù fa capire che quello che per l’uomo è una minaccia, per Dio è gloria. Attenzione: gloria non vuol dire ‘fasto’ ma ‘peso specifico’, il valore di qualcuno! Giuda ha una missione: far vedere come Gesù reagisce al male dell’uomo. Quando il male arriva addosso a Gesù, lo fa risplendere nel suo vero volto: il volto della misericordia. Questo mistero di gloria, Gesù lo traduce per i suoi discepoli nella consegna dell’unica strategia possibile per arrivare al Regno dei cieli e sopravvivere al male, inevitabile, che verrà addosso ai cristiani: “vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” Non è un ordine, come non lo sono le 10 Parole, ma è il fondamento della vita con Dio che è sempre lo stesso, quello di tutta la Bibbia; ‘nuovo’ è quello che c’è nella creatura che lo riceve perché è stata redenta da Gesù e nel battesimo è diventata nuova Creatura. “Amatevi gli uni gli altri” è il marchio di fabbrica di Gesù! Ma quando si parla di amore, soprattutto oggi, è come avere uno scrigno dove ognuno rischia di mettere dentro quello che gli pare: pulsione istintiva, attaccamento, possesso, appagamento … Anche nelle migliori intenzioni sempre più spesso non si sa ‘come’ farlo! Gesù, assieme alla sostanza, introduce anche il parametro: “come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. L’amore non è solo una ‘cosa’, ha anche un ‘come’. Occorre riferirsi a quel ‘come’. Il parametro indicato da Gesù non è un sentimento generico, astrattoma una storia concreta che ci ha salvato, l’amore oggettivo che Lui ci ha usato: ci ha amato in un corpo che è salito sulla croce per noi e per noi è risorto. E, quindi, possiamo amare perché abbiamo ricevuto quell’amore; e, amando, non improvvisiamo se siamo memori di come Lui ama noi! Se eravamo capaci di farlo da soli, Dio ce lo avrebbe lasciato fare … Essere eco costante di come Lui ha amato vuol dire possedere il parametro rivelato dalla croce di Cristo che non è solo strumento di morte, ma innanzitutto ‘peso specifico’ del cristiano: “Da questo sapranno che siete miei discepoli!” (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: IV domenica di Pasqua | Vangelo (Gv 10,27-30)

5 Maggio 2022 -   La quarta domenica di Pasqua è dedicata alla figura del ‘del buon pastore’. La liturgia la celebra proponendo il brano del Vangelo di Giovanni dove si parla della relazione di Gesù con il suo gregge e del Padre, che entra in questa relazione. Gesù dice: “le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Gesù, il pastore, ha dei discepoli che ascoltano la sua voce. Ascoltano la voce, non i comandi. La voce attraversa le distanze, inconfondibile; fa emergere una presenza; racconta una relazione. La voce giunge all’orecchio del cuore prima delle cose che dice. È l’esperienza del bambino che, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia e il cuore verso di lei, ed è già felice prima ancora di arrivare a comprendere il significato delle parole. Tra la voce del pastore buono e i suoi agnelli corre questa relazione fiduciosa, amorevole, feconda; ma perché le pecore dovrebbero ascoltare la sua voce? Il nostro ascolto è oggetto di disputa da parte di due generi di persone: i seduttori, quelli che promettono piaceri, e i maestri veri, quelli che danno fecondità alla vita. Gesù fa di più: “io do loro la vita eterna”. Si ascolta la Sua voce non per ossequio, per seduzione o paura, ma perché Lui fa vivere. Il pastore buono mette al centro non quello che noi facciamo per Lui, ma quello che Lui fa per noi. Al cuore del cristianesimo non c’è il nostro comportamento o la nostra etica, ma l’azione di Dio. Il punto è questo: la vita cristiana non si fonda sul dovere, ma sul dono della vita di Dio riversata dentro di noi, prima ancora di una qualsiasi nostra risposta. Prima ancora che diciamo ‘sì’, lui ha già seminato in noi germi vitali. La nostra fede è incremento, accrescimento, intensificazione d’umano e di cose che meritano di non morire. Gesù lo dice con un’immagine di combattiva tenerezza ripetuta per due volte: “nessuno le strapperà dalla mia mano” e, se avessimo dei dubbi: “nessuno può strapparle dalla mano del Padre”, perché siamo stati donati a Gesù dalle mani di Dio. Questo intreccio lega, a sua volta, tutta l’umanità. Ecco perché, le mani degli uomini che accolgono e abbracciano il fratello, sono la rassicurante voce di Dio in terra, quella che attraverso Gesù è venuta a radunare un gregge che sembra disperso!  

Vangelo Migrante: III domenica di Pasqua | Vangelo (Gv 21, 1-19)

28 Aprile 2022 - La pagina in cui per la terza volta Gesù si manifesta ai discepoli dopo la resurrezione è densa di avvenimenti e insegnamenti. Il Vangelo di Giovanni racconta che alcuni discepoli con Pietro, sono presso il mare di Tiberiade. La notte interiore per il peso insopportabile della tragedia del Golgota, e per le paure che ne derivano, si prolunga in una notte di pesca che riserva una cocente delusione professionale ed esistenziale: “quella notte non presero nulla”. Ma l’alba arriva sempre, puntuale, qualunque sia la notte che ci è capitata o nella quale abbiamo deciso di entrare: “quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: Figlioli, non avete nulla da mangiare? Gli risposero: No”. La presenza di Gesù risorto non è astratta ed estranea alle circostanze in cui si rivela (siano esse una battuta di pesca o un dubbio come quello di Tommaso domenica scorsa); essa è pienezza a cui le circostanze rimandano: soddisfa la domanda con un risultato che va oltre l’inimmaginabile, a significare la completezza risolutiva a cui la Sua presenza invia. Nella domanda ai discepoli, chiede all’umanità se, dopo tutti gli sforzi compiuti ogni giorno per vivere, ha raggiunto anche solo un po’ di tutto ciò di cui ha bisogno per vivere, serena, felice, in pace, al sicuro, prospera e nel benessere. La risposta dell’umanità è secca ed inequivocabile: “no”. E Gesù risorto, a partire da quel fatto, offre il suo intervento perché l’umanità riceva tutto ciò di cui ha bisogno: “gettate le reti dalla parte destra della barca e troverete!” Invita a cambiare modo di fare e di pensare (le reti non si gettano da destra ma da sinistra) e il risultato è sorprendente: centocinquantatré grossi pesci, ovverosia il numero totale delle specie di pesci conosciute allora. Quella pesca fruttò tutto il pesce possibile. Tornati a riva, Gesù ha già un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane; e chiede: “portate un po’ del pesce che avete preso ora”. Gesù basta a se stesso ma la vita con il risorto, d’ora in poi, sarà sempre un intreccio amoroso, sorprendente, luminoso e intelligente di energie divine e umane da cui non può che scaturire la festa della vita, nel gioioso banchetto dell’Eucarestia. In quella gioia parte il dialogo con Pietro: “mi ami?”  Gesù non chiede se ha capito il suo annuncio o il senso di quello che sta accadendo, ma lascia tutto all’amore. Per tre volte modifica la domanda adattando le sue attese alle possibilità di Pietro: mi ami più di costoro? Mi ami? Mi vuoi almeno bene?  Si pone a livello della sua creatura: l’amore vero si mette ai piedi dell’amato. Pietro sente il pianto salirgli in gola: dinanzi ad un fuoco lo aveva rinnegato, dinanzi ad un fuoco Gesù gli offre l’opportunità di ri-amarlo come può. Gesù interroga Pietro e interroga me. Non cerca la perfezione ma l’autenticità. Nulla a che vedere con l’impeto di Pietro, quella volta prima della passione. L’amore di cui parla Gesù, non nasce da noi, nasce da Lui. Solo se lo accogli, potrai seguirlo! (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: II domenica di Pasqua | Vangelo

21 Aprile 2022 -

La Resurrezione per essere compresa ha bisogno di spazi. È necessario farle posto come fanno le donne al mattino presto al sepolcro: ricordano le parole che Lui aveva detto e credono. Gli fa posto il discepolo più giovane che corre con Pietro al sepolcro: non vede ciò che manca ma vede ciò che è dato, ovverosia una morte sconfitta e privata del suo trofeo più prezioso, e crede mentre Pietro non ha posto: è pieno di preoccupazioni e rimpianti; è agitato. Un posto glielo fanno anche i discepoli di Emmaus, lasciando che un forestiero si inserisca nei loro discorsi e dica la sua a riguardo: Gesù risorto è migrante! Mentre conversano con lui sono contenti e lo riconoscono allo spezzare del pane.  

Ma la Resurrezione non è solo per l’intuizione di alcuni o un lampo momentaneo. Gesù è risorto per tutti e per sempre. E trova il modo di farsi spazio nella vita di tutti.

Ce lo racconta il Vangelo di questa domenica: la sera di quello stesso giorno, nel Cenacolo dove si trovavano i discepoli a porte chiuse, per timore dei giudei, “venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi! (…) E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.

Quella sera manca Tommaso. Otto giorni dopo accade la stessissima cosa: “venne Gesù, stette in mezzo e disse: Pace a voi!

La presenza di Gesù lascia il segno. È pacifica come cosa, nel senso che è evidente. Nessuno dei presenti contesta nulla. Nemmeno Pietro. Gioisce pure lui: Gesù è lì!

Ma manca Tommaso e, allora, Gesù ripete l’operazione anche in sua presenza. Perchè? Non certo per dimostrare la Sua forza e umiliare il discepolo o per dire la sua sulla disputa ‘fede e ragione’. No. Gesù conferma che Lui è vivo e vive nel cuore di chi lo comprende (gli fa posto) e crede; ma se uno non ha posto, Lui l’appuntamento ‘pacifico’ per farsi vedere lo dà nel Cenacolo.

Quel luogo non è casuale o accessorio: è decisivo! È là che risiede un dono che è per tutti. Ed è da lì che può esser portato ovunque: “soffiò e disse: ricevete lo Spirito Santo …”.

Questa è detta anche domenica della Misericordia: perché all’indescrivibile prodigio della Resurrezione e agli inesprimibili effetti derivanti dalla vittoria sul male e sulla morte, Dio ha aggiunto quello della Sua presenza risorta, accessibile alle creature e liberatrice dalle paure e dai turbamenti.

Ogni Cenacolo è casa Sua e, in Lui, diventa casa di tutti e per tutti! (P. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: Domenica di Pasqua Resurrezione del Signore

16 Aprile 2022 - I diversi racconti che vengono proclamati nella veglia, nel giorno e alla sera di Pasqua, ci prestano gli occhi per contemplare l’unico evento della Resurrezione! L’esperienza delle donne al sepolcro, raccontata dall’evangelista Luca, rimanda alla convinzione tutta umana secondo cui, alla morte segue ‘la fine’ in un sepolcro. Per loro, ma anche per noi, la morte è più reale della vita. Fino a quando credono alla loro mente, non credono ai loro occhi! E non trovano quello che cercano. Sarà per la ‘natura’ femminile, comunque umana, ma nel loro cuore c’è uno spazio, ed è quello della fede. Essa affiora dalla memoria (eh, la memoria delle donne!) per cui la loro vita non è sbarrata dalla disperazione, sicchè possono ricordare: “perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto! Ricordatevi come vi parlò (…) Ed esse si ricordarono delle sue parole”. E credono nella Sua Resurrezione. Gli occhi di Pietro che corre al sepolcro assieme all’altro discepolo (Giovanni?), invece, sono occhi delusi, indagatori; occhi che osservano, che rimangono fissi su ciò che è morto e non può essere diversamente. È il racconto del Vangelo del giorno. Lo sguardo di Pietro è lo sguardo di colui che processa la realtà nel tentativo di capirla e basta; ma non riesce a concepirla insieme ad un tutto che da lì si espande. Avrà ancora gli occhi sulla croce, sul sangue, sui chiodi; avrà uno stato emotivo stravolto dal rinnegamento. È sconvolto, poverino! L’anima e la mente sono fissi su ciò che è stato tolto: vede un sepolcro vuoto, depredato di un corpo che dovrebbe essere lì. E si ferma a quello! Gli occhi dell’altro discepolo, più giovane, al contrario, guardano e vedono, vedono e conoscono, riconoscono e credono, credono e amano. Il suo sguardo nel sepolcro vuoto vede sì la morte, ma depredata del suo trofeo più illustre: un corpo! E crede in quel corpo Risorto! Non vede ciò che manca ma ciò che è dato. Non un vuoto ma un pieno! La fede in Gesù Risorto, nasce in quel luogo ma è per sempre. Il per sempre della Resurrezione, che vive nel racconto dei discepoli di Emmaus, il Vangelo proclamato alla sera. Due uomini incupiti e impauriti si allontanano da Gerusalemme ma permettono ad un forestiero di intromettersi nei loro discorsi. Da quell’apertura nasce il desiderio: “resta con noi” dicono a quel forestiero! In quel desiderio “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”. Per questo la Resurrezione è un ‘dono migrante’, continuo e per tutti. E cambia la vita di tutti! Buona e Santa Pasqua! (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: il Triduo Pasquale

14 Aprile 2022 - Il triduo Pasquale Per i cristiani, la Pasqua non una celebrazione originale, perché è già conosciuta da Israele e, in un certo modo, viene ricevuta in eredità dalla Chiesa nascente. Il riferimento al passaggio di Israele attraverso il mar Rosso e il riferimento alla passione di Gesù, non si oppongono perché ogni passaggio è un patire. È stato così per Israele, è stato così per il Signore Gesù ed è così per ogni creatura che vive ancora il mistero di un passaggio e di una sofferenza, come tanti esuli e migranti. Le celebrazioni del triduo pasquale (dalla messa in Coena Domini, il Giovedì Santo, alla sera di Pasqua) ci aiutano ad entrare in questo Mistero in tutta la sua ricchezza e profondità. Il cristiano fa il punto sulla propria capacità di saper rendere la vita un continuo passaggio, donandola come pane di servizio e di amore e accettando di patire la trasformazione di ogni notte in aurora. 14 Aprile Giovedì santo – Cena del Signore | Vangelo (Gv 13, 1-15) Viene proclamato il brano del Vangelo di Giovanni de la lavanda dei piedi. Gesù lava i piedi ai discepoli. Quel segno è l’icona della vita del discepolo. Non solo per l’esempio di servizio che Lui ha dato ma anche perché è veramente discepolo chi si lascia servire da Gesù. Gesù lava i piedi, una parte del corpo tanto fragile quanto preziosa. Sono i piedi che reggono il peso di tutto il corpo; e sono sempre i piedi che hanno a che fare con la vitalità del cuore. I piedi che si fermano o che non stanno bene, sono un guaio per il cuore. Gesù si prende cura dei piedi, per rimettere in cammino i suoi, nella notte della prova. In un’epoca di ordinaria straordinarietà, abbiamo l’opportunità di gettare i nostri piedi, fiduciosi nel catino della misericordia di Dio. Solo le sue mani sante possono togliere le croste di una fede passiva, accomodata, stanca e appesantita e solo le sue mani possono rivitalizzare il cuore spento e rassegnato per farci ripartire per incontrare, soccorrere, accogliere quanti nel mondo attendono una parola ed un gesto di speranza. 15 Aprile Venerdì Santo – Passione del Signore | Vangelo (Gv 18, 1-19,42) Il Venerdì santo è il giorno in cui la Chiesa sosta ai piedi della croce. Non si celebra l’eucarestia, da nessuna parte: l’unico sacrificio resta quello di Cristo appeso sulla croce per siglare il legame definitivo fra il cielo e la terra. Il Vangelo proclamato nella celebrazione della Passione del Signore e dell’Adorazione della Croce, è il racconto della Passione di Gesù secondo Giovanni. Tace, la Chiesa. Tacciono, i discepoli. Tace anche il nostro cuore e le nostre preghiere. Le nostre chiese sono spoglie, disadorne, silenziose. Dal racconto vediamo Dio osteso, mostrato, appeso ad una croce da cui pende esanime. Fino a questo punto Gesù ha voluto arrivare per manifestare la misura, senza misura, del suo amore. “È compiuto”, dice prima di chinare il capo e consegnare lo spirito al Padre. Non è l’esclamazione al termine di una estenuante fatica ma il compendio di ogni verità. È tutto là: STAT CRUX DUM VOLVITUR ORBIS (la croce resta salda mentre il mondo gira). Il mondo si affanna facendo prevalere le sue ragioni anche dinanzi a quel che accade. Il vero dipende da quel che vede la ragione di ognuno. Ognuno a modo suo. E mentre ci si ammazza (anche letteralmente) la croce è là, per tutti, fastidiosa e pungente perché non permette a nessuno di ‘vincere’, ma tutti raduna e tutti ama. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: Domenica delle Palme e della Passione del Signore | Vangelo (Lc 22, 14-23,56)

7 Aprile 2022 - Con la domenica delle Palme e della Passione del Signore, ha inizio la Settimana Santa. In questi giorni che chiamiamo ‘santi’ è nato il cristianesimo: dallo scandalo e dalla follia della croce. Lì si concentra e da lì emana tutto ciò che riguarda la fede dei cristiani. Per questo dalle Palme a Pasqua, improvvisamente, il tempo cambia ritmo: la liturgia rallenta e moltiplica i momenti nei quali accompagnare, quasi ora per ora, gli ultimi giorni di vita di Gesù dall’entrata in Gerusalemme alla lavanda dei piedi, dalle fasi del processo alla via dolorosa fino alle croce, per poi correre al sepolcro la mattina di Pasqua. Questa domenica, in una liturgia articolata, che ha inizio con la benedizione delle Palme, vengono proclamati due brani dal Vangelo secondo Luca: l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e il racconto della Passione. Ci soffermiamo su quello della Passione. Come per gli altri evangelisti, anche nel racconto di Luca ci sono alcune peculiarità. Proviamo a fare nostre quelle del momento più drammatico: la crocifissione. Luca la racconta mettendo in evidenza tre aspetti esclusivi a partire dalle parole di Gesù. La prima. Siamo sul luogo del Cranio (Golgota). È un momento che dura tre ore, dalla crocifissione alla morte. Si legge, che mentre Gesù veniva crocifisso, “diceva: Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Lo stanno crocifiggendo e Gesù “diceva …”. Non “disse” ma “diceva”. Non è un dettaglio per gli addetti. La forma verbale, non è casuale. Il verbo all’imperfetto mette in risalto la ripetitività delle parole, la continuità del gesto, la sua reiterazione. Come a dire che in tutto quello che stava accadendo, Gesù continuava a ripetere quelle parole come una litania… È la preghiera incessante che Gesù rivolge al Padre per l’uomo di ogni tempo: “perdonalo, Signore pietà!”. Satana ci accusa (cfr. Apocalisse) Gesù chiede perdono per noi! Nulla a che vedere con il “non si rendono conto di chi sono io!” No! È una frase-gesto che meglio di altre rivela che noi uomini in fondo non abbiamo coscienza delle nostre azioni. Noi, che proprio per le convinzioni delle nostre ragioni, commettiamo i crimini più violenti. Quelle parole-gesto, denunciano che della stragrande maggioranza delle cose che facciamo, noi non ne conosciamo i motivi. E, quindi, ci salviamo solo se rientriamo in noi stessi (come il figliol prodigo) e imploriamo quel perdono che Gesù ci ottiene da Dio, incessantemente. La seconda. C’è solo un personaggio che ammette di aver bisogno del perdono di Dio: il ladrone accanto a Gesù. È l’unico uomo che sa parlare con Lui: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E Gesù: “In verità io ti dico, oggi con me sarai nel Paradiso”. Entra dalla porta giusta: ammette l’errore e chiede la salvezza. Nel dramma di quella condizione, svela il segreto del paradiso che non è un luogo ma una condizione: essere ricordato da Gesù. Il ladrone muore, forse rubando anche il paradiso; ma finalmente, partendo dalla sua sincerità e dalla sua preghiera, ha rubato la cosa giusta: un paradiso che non è dell’uomo ma si riceve da Dio che lo dà perché ci vuole bene e si ricorda di noi. La terza. “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”. È l’abbandono al Padre che rivela innanzitutto come Gesù gli sia Figlio. Gesù emette questo grido dopo lo squarcio del velo del tempio. Il velo del tempio era la tenda che copriva la parte invisibile e del luogo santo. Lì abitava il nome di Dio che veniva proclamato dal sommo sacerdote solo un giorno all’anno. Era lì che aveva sede l’inaccessibile di Dio. Il velo squarciato dà l’accesso a quello che è nascosto. L’abbandono di Gesù rivela la vita interna di Dio: l’amore, la fiducia, l’abbandono, il donarsi di un Figlio che si fida del Padre anche nel momento in cui avrebbe motivi per non farlo. E il Padre si ricorda di Lui: risorgendolo, non lo abbandona. In queste parole risiede l’atteggiamento per entrare e vivere con frutto la Settimana Santa: attingere ad un perdono donato per sempre, prendere parte ad un paradiso possibile per sempre, vivere un abbandono totale al Padre, anche quando avremmo motivi per non farlo, che ci fa Figli di Quel Padre. È la via per la Resurrezione e la Vita eterna. (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: V Domenica di Quaresima | Vangelo (Gv 8,1-11)

31 Marzo 2022 - L’opportunismo ipocrita e gretto di scribi e farisei è senza misura. Strumentalizzano senza ritegno la dignità di una donna sorpresa in adulterio, per mettere in difficoltà il Maestro. Al centro della pagina del Vangelo di questa domenica c’è una donna, sorpresa in adulterio, trascinata nel tempio davanti a Gesù ed esposta all’attenzione spudorata di tutti. Per Legge mosaica, tutte e due le persone colte in flagrante, dovevano essere lapidate. Per Gesù, la trappola è servita: se permette l’applicazione Legge, tradirà il suo messaggio di perdono; se perdona, si metterà in contraddizione con la Legge. La questione è solo teoretica: manca la parte maschile e, storicamente parlando, queste lapidazioni erano già allora obsolete. Gesù se ne accorge e come prima cosa non vuole rendersi complice della violenza. Tace, si china e si mette a scrivere con il dito per terra. Un chiaro riferimento al dito di Dio che quella volta scrisse le dieci parole della vita e tra queste anche il ‘non commettere adulterio’. È scritto. Tutti sanno che non si fa. Condannare chi lo ha commesso non cambia nulla. Ma secondo la logica dei suoi interlocutori, il male si elimina uccidendo chi lo commette. E insistono nell’interrogarlo. Gesù si alza in piedi e risponde: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Secondo quella Legge il testimone che aveva dichiarato di aver visto, aveva anche il diritto a tirare per primo la pietra. Gesù la applica fino in fondo e, mentre chiede ai presenti se c’è quel testimone, fa presente che, sempre secondo quella Legge, per vedere il peccato occorre essere senza peccato. E quelli, uno ad uno, iniziano ad andare via a cominciare dagli anziani. Hanno vissuto più a lungo e quindi le occasioni di peccato sono state più numerose. E i giovani, nello stesso contesto si rendono conto anch’essi che, di fronte ad un esigente esame di coscienza, neppure loro risulterebbero senza peccato. Gesù resta solo con la donna. E con tenerezza, delicatezza e rispetto, porta a termine il suo capolavoro: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? (…). Neanch’io”. Nessuno l’ha condannata perché nessuno poteva farlo. E non lo fa nemmeno Gesù: Lui non è venuto a condannare ma a salvare! E le dice: “va’ e d’ora in poi non peccare più”. Non è un’ipoteca sul futuro. Nell’incontro con Gesù, avviene qualcosa di irreversibile. Se per la legge antica si pensava di estirpare il male uccidendo chi lo aveva commesso, nell’incontro con Gesù il male muore ed è inchiodato per sempre nel perdono da Lui dato; e la persona è restituita per sempre alla vita. Questo è il futuro a cui è consegnata quella donna. Quegli uomini che non hanno potuto dire di essere senza peccato, sono tornati a casa con il peccato, a riabbracciare la Legge antica e non Gesù. Quella donna sorpresa nel peccato, dopo essere stata abbracciata da Gesù, torna alla vita senza peccato. Anche per noi, oggi, nel perdono di Gesù, comincia una vita nuova. La vita nuova, da Lui donata, non muore più!  

Vangelo Migrante: IV Domenica di Quaresima (Laetare)| Vangelo (Lc 15,1-3.11-32)

24 Marzo 2022 - Questa domenica ci sorprenderà il colore rosaceo dei paramenti liturgici del celebrante, al posto del viola delle domeniche precedenti. È la domenica detta del ‘Laetare’: rallegrati! Cosa significa? In questo giorno la Chiesa sospende le ‘tristezze’ della Quaresima per celebrare il grande amore di Dio verso l’umanità: anche quando la situazione sembra disperata, Dio interviene, offrendo all’uomo la salvezza e la gioia. Dio, infatti, non se ne sta in disparte, ma entra nella storia dell’umanità, si ‘immischia’ nella nostra vita, entra, per animarla con la sua grazia e salvarla. In una Quaresima funestata da una pandemia ancora in corso e da una guerra ‘ripugnante’, è l’occasione per implorare “da Dio quella pace che gli uomini da soli non riescono a raggiungere e a costruire”, ci ricorda papa Francesco. Il Vangelo la celebra con quattro sequenze narrative che fanno la parabola cosiddetta del ‘Padre misericordioso’, che tutti conoscono come del ‘Figliol prodigo’. Termine improprio: ad essere prodigo è il padre; il figlio, semmai, è prodigato. La prima. Un figlio si prende la sua ‘parte di vita’, l’eredità, e se ne va. Per amore un padre non si oppone mai alla libertà dei suoi figli ma la custodisce, la provoca e …, al limite, la patisce. Essa viene prima di ogni altra cosa. Ma una cosa buona usata male, è un male. Accecata dall’uso smodato di beni materiali, nella parabola essa diventa dapprima abbaglio e, quindi, delusione perchè non mantiene quello che promette. La seconda. Illuso di vivere felice, quel figlio si sveglia in mezzo ai porci. Un principe ribelle, diventa servo. Rientra in sé; e a farlo ragionare sono il morso della fame, la dignità perduta, il ricordo del padre. Per questo decide di tornare da quello che si vergogna a chiamare ‘padre’; ma di lui ha comunque un ricordo che glielo fa immaginare almeno un ‘buon padrone’. Presso quel padrone, di sicuro, l’ultimo dei servi ora sta meglio di lui! Non torna per amore ma perché sta morendo… La terza. Ma a quel padre non interessa perché torna, ma che torni! Quel padre è ‘attesa eternamente aperta’: mentre il figlio cammina, lui corre; mentre il figlio balbetta una scusa lui lo abbraccia e la lontananza patita, diventa carezza. Un padre non spreca mai un figlio! La quarta. C’è un altro figlio, il maggiore, che è sempre stato con quel padre ma che non avverte niente di tutto questo. Lavoratore obbediente ma infelice. Non ama quello che fa e non fa quello che ama. Il suo cuore è scollegato da quel padre che cerca figli e non servi, fratelli e non rivali. Anche per lui il padre ha parole di invito…: gli offre la partecipazione al banchetto indetto per quel figlio “che era perso ed è stato ritrovato”. Il finale è volutamente aperto. Accetterà l’invito? Quel padre è Dio: l’offerta fatta e non l’ha mai revocata. Oggi ce la rinnova! Abbiamo tutti gli strumenti per ricollegare anche le nostre sorti al cuore del Padre! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: III Domenica di Quaresima | Vangelo (Lc 13,1-9)

17 Marzo 2022 -   Nel cammino quaresimale questa è la domenica della conversione. Nel Vangelo, Gesù l’annuncia come una necessità e non come un rimprovero. E vi ci arriva a partire da un atteggiamento di alcuni che gli presentano un sensazionale fatto di cronaca, dinanzi al quale cercano un colpevole, una causa: Pilato aveva ucciso alcuni Galilei che erano venuti a Gerusalemme per offrire sacrifici. Al sangue dei sacrifici ha aggiunto quello delle persone. Sensazionale per sensazionale, Gesù aggiunge la notizia di una calamità nella quale morirono 18 persone: il crollo della Torre di Siloe. E commenta: credete che quelle vittime, per il fatto che si possa trovare un colpevole o una causa, fossero più meritevoli di quella sorte, rispetto ad altri? “No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete allo stesso modo”. Gesù gira la questione. L’uomo non è stato creato per rovinarsi la vita. Non è Dio l’architetto delle sventure. Né la storia gira attorno alle colpe dell’uno e dell’altro. Cercare nelle teorie colpevolizzanti o nelle leggi causa-effetto le ragioni della vita, e delle tragedie e delle sciagure, è solo una maniera per sfamare il sensazionalismo di cui si nutre la nostra vita e illudersi di quietare forme di razionalità che non spostano di una virgola i fatti e le sventure. Tanto è vero che si ripetono sempre e possono colpire chiunque. Sapere chi è stato, non serve a niente. È come quando una nave sta andando a sbattere: non serve contare i buoni e i cattivi che sono a bordo; serve cambiare rotta: convertirsi! E convertirsi vuol dire innanzitutto farsi interrogare quello che sta capitando. Nella prima lettura a Mosè appare l’angelo di Dio in un roveto ardente che brucia ma non si consuma. Mosè è curioso dello spettacolo che ha dinanzi e vuole vederlo. Dio gli grida: non ti avvicinare. Togliti i sandali. Il luogo dove sei è sacro. Da quel roveto sarà Dio che gli dirà qualcosa; gli rivelerà le sofferenze del suo popolo e gli cambierà la vita inviando proprio lui ad alleviare quelle sofferenze. Non ci si misura con le cose della vita come dei turisti; ma ci si mette dinanzi ai fatti con la domanda: cosa mi chiedono? Per noi oggi: questa guerra, i profughi (di quel fronte e non solo) cosa mi chiedono? Non si trascorre la vita per analizzarla ma per rispondere agli appelli con cui mi parla. La vita non è un ‘cluedo’ esistenziale … per trovare il colpevole. Non è mai tardi per passare dalla sterilità di chi assiste e basta, al portare frutto, come aggiunge ancora Gesù nella parabola del fico sterile. Il primo atteggiamento dinanzi al grido di Dio può essere quello della preghiera; ma la storia della Salvezza ci insegna che tutti coloro che si sono lasciati ‘coltivare’ da Dio, Dio li ha condotti all’azione. Quanti uomini e donne hanno cambiato la loro esistenza dinanzi a certe cose! Se i fatti e le notizie non diventano un appello, resteremo ‘leoni da tastiera’ e opinionisti da salotto (ahinoi! anche nel dramma della guerra in corso). E, sì facendo, non cambieremo nulla né di noi, né della storia! Ma la Pasqua non si arrende ed è ancora lì che sospinge la storia. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: II Domenica di Quaresima | Vangelo (Lc 9,28-36)

10 Marzo 2022 - Nel cammino quaresimale, la II domenica è tradizionalmente dedicata alla Trasfigurazione: un’esperienza per guardare alla meta, proprio mentre stiamo ingaggiando una sorta di combattimento. È un testo che ha delle potenzialità infinite di riflessione, ma a noi, questa domenica, ci è offerto come paradigma della vita del cristiano: per poter arrivare a compiere la propria missione con il Signore, per il cristiano è necessario ascendere, vivere un’esperienza che trasfigura e tornare alla vita. Il Vangelo parla di Gesù che si stacca dal gruppo, prende con sé alcuni e sale su un monte. Perché la relazione con Dio abbia inizio, è necessario un ‘fuori’ che rivela intimità ma anche una sorta di ‘privato’ e di ‘circoscritto’.  Non è divisione o esclusione: è ‘separazione’ da una realtà caotica e confusa, ma anche da un pensare solo a se stessi, per entrare nell’ordine della bellezza di Dio e nella luce che da essa si promana. Nell’esperienza dell’esodo, si vede e si ascolta qualcosa che altrimenti non è dato vedere e udire. Anche oggi, per tante ragioni, si avverte l’esigenza di un ‘distacco; ma, normalmente, questo avviene con forme di autoanalisi che, tuttavia, rivelano profonde insoddisfazioni perchè non ci vediamo come vorremmo; non capiamo il perché, e allora ci diamo a forme di introspezione e di auto-contemplazione. Ecco che la prima forma di ascesi è proprio l’uscita da noi stessi. Proprio come avviene sul Tabor: “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno”. Il sonno è una sorta di ‘abbandono’. “Ma quando si svegliarono videro la Sua gloria”.  Solo quando si perdono quelle forme di controllo che pensiamo di esercitare su tutto, a partire da noi stessi, si può vedere il ‘vero tutto’ che abbiamo dinanzi e che normalmente ci sfugge: questa è trasfigurazione. Solo quando permettiamo che la vita venga svestita delle determinazioni fatte sulla base delle cose che ci circondano, essa tira fuori il suo aspetto rinnovato: in questo è trasfigurata. Così apparve ai discepoli il volto di Gesù: non determinato da nient’altro se non da se stesso; brilla di luce propria; e riflette in chi lo vede un benessere che a sua volta genera un desiderio: rimanere! “Maestro, è bello per noi essere qui!”, esclama Pietro! Stare con il Signore fa stare bene! Il discepolo sta bene ovunque ma non sono le condizioni esterne a determinare il suo benessere, bensì il Signore! Lo confermerà Gesù sulla croce al buon ladrone: “oggi sarai con me!” … E si torna alla quotidianità: alle cose della vita si arriva dal Tabor. Se si pensa di affrontarle senza quel passaggio, potrebbe essere tardi. Attenzione: dinanzi a Dio, tutto è possibile; ma l’assetto, ordinario del cristiano è giungere alla vita dalla Trasfigurazione: là si apprende chi è il Signore per me e chi sono io per Lui. Solo così posso andare e vivere in pienezza. Il bello della trasfigurazione sembra contrastare con la drammaticità della guerra in corso. Quello evangelico non è un bello estetico né un benessere godereccio ma una condizione che fa il paio con il vero e con il bene. È con questo sguardo trasfigurato che il cristiano accoglie i tanti profughi di queste ore. In quel gesto non c’è solo una risposta all’emergenza ma anche verità, dignità e libertà; la propria e quella di chi ha di fronte. (p. Gaetano Saracino)      

Vangelo Migrante: I Domenica di Quaresima | Vangelo (Lc 4,1-13)

3 Marzo 2022 -   Dal deserto al giardino del sepolcro. Con il Mercoledì delle Ceneri ha avuto inizio il tempo di Quaresima. Non un percorso verso la morte ma verso vita. Il poco più di niente delle ceneri, è il segno della ripartenza della creazione e della fecondità, il preludio di una vita che diventa germoglio, poi arbusto e, quindi, pianta che produce vita a sua volta. Deserto e giardino accompagnano la storia del popolo di Israele e contengono la Storia della Salvezza rivolta a tutto il creato e all’uomo, chiamato a prendersene cura. Nel Vangelo di questa I domenica di Quaresima, le tentazioni di Gesù sono la prova cui è sottoposto il progetto che Dio ha sul mondo e sull’uomo, sul Messia inviato per salvare l’uomo e su Dio stesso. Con gli strumenti del desiderio, del possesso e della falsa gloria, il male vuole impedire che questo si manifesti. “Dì a questa pietra che diventi pane (…); se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo (…); se tu sei il Figlio di Dio, gettati giù di qui”. Trasformare le cose che Dio ha creato desiderandole per quelle che non sono, è il profilo di un essere umano che a suo piacimento abusa di tutto ciò che esiste fino a distruggerlo. L’uomo prostrato dinanzi al possesso e al potere, fa di essi il paradigma e la misura per la riuscita di una missione e per la verità di una profezia. La falsa immagine di un Dio che smonta e rimonta la natura e le sue leggi a piacimento, riduce Dio stesso ad un giocattolo, da usare quando serve, e l’uomo a burattino. La libertà dalle cose fa posto a Dio. Il libero riconoscimento di Dio spalanca le porte alla sovranità della dignità di ogni uomo. Nell’obbedienza alla vera immagine di Dio l’uomo ritrova la vera libertà che consiste innanzitutto nel rifiuto di essere trattato in modo diverso da quello che è. Dio rende possibile questa relazione con il miracolo umile e tenace della Sua Parola: lampada per i nostri passi, pane per la nostra fame, mutazione delle radici del cuore, cose che danno alla vita che germoglia, il sapore di relazioni nuove, con noi stessi, con il creato, con gli altri e con Dio. I passi incerti della guerra in corso, contengono tutti i segni delle contraddizioni subite da Gesù, fino all’ultima violenza della morte. L’umanità con cui le ha vissute è completa solidarietà con l’uomo e le sue risposte al diavolo aprono la via per nuovi cammini: di verità, di dignità, di libertà. (p. Gaetanpo Saracino)  

Vangelo Migrante: VIII Domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Lc 6, 39-45)

24 Febbraio 2022 - Nella prima lettura odierna, il libro del Siracide ricorda che la verità dell’uomo si rivela nel suo modo di ragionare: “il banco di prova per un uomo”; e quello che ha nel cuore si mostra da quel che dice: “non lodare nessuno prima che abbia parlato”. Sulla scorta di questa saggezza, Gesù pone in indissolubile relazione l’esterno e l’interno dell’uomo. E lo fa con delle immagini: “Può un cieco condurre un altro cieco? (…) Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? (…) Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono”.  E conclude: “la bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. Ma è soprattutto in relazione al prossimo che le due estremità rivelano la loro unione o la loro discrepanza. Quando si presume di avere qualcosa che non si possiede, si finisce per fare disastri: un cieco che guida un altro cieco; allo stesso modo, quando si trascura una ostruzione tanto pericolosa quanto dannosa, si finisce per allontanare chi si vorrebbe addirittura aiutare: la trave e la pagliuzza. Per Gesù la verità e l’amore coincidono e ogni discrepanza è un varco per la menzogna e per quelle forze distruttive che producono il contrario di quello che si presume di compiere. L’unione di verità e di amore è quello che Lui ha fatto con noi. Per questo dinanzi al prossimo non ci si può porre senza prima chiedersi: “sarei disposto a dare la vita per questo fratello?” E, facendo i conti con se stessi, non chiedersi ancora: “ma il prossimo che si avvicina a me, cosa trova dalle mie parti? Rovi e spine o frutti abbondanti? Respingimenti e ogni sorta di acidità e burocrazia o accoglienza, disponibilità … perdono? Dove arriva, allora, questo vangelo? Al discepolato. Nessuno può presumere di essere in grado da se stesso di rivelarsi, di raccontarsi e di relazionarsi con amore e libertà verso il prossimo ma solo dopo aver ricevuto e accolto la verità di quello che è e compie in parole e opere. E non è umiliante quanto dice Gesù: “un discepolo non è più grande del proprio maestro...” Perché nessuno può dare quello che non ha. E perché da quel Maestro si riceve proprio quello che serve. /p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: VII Domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Lc 6, 27-38)

17 Febbraio 2022 - Alla molteplicità dispersiva dei moralisti del tempo, Gesù oppone un altro ideale di vita: “amate i vostri nemici”. Una novità assoluta sia rispetto all’etica ebraica (l’amore è per i compatrioti) che alla morale filosofica greco-romana (basata sul principio di reciprocità). Paradossale, iperbolico, esagerato? Per comprenderlo, nel Vangelo odierno ci offre una chiave: “come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”. L’amore di cui parla Gesù, se da una parte sembra strano, dall’altra è proprio quello che desideriamo di più: che quando sbagliamo non ci sia uno che ce la faccia pagare … Noi speriamo sempre di trovare qualcuno che abbia pazienza con noi, che non ci giudichi, che ci comprenda, che ci dia un’altra possibilità, che non reagisca al nostro male con il male. Si tratta di quel padre che si spera di avere, quel coniuge che si spera di aver sposato, quell’amico che si spera di incontrare; che sia comprensiva quella persona con cui lavoro e generosa quella a cui chiedo aiuto. Tutte persone che abbiano questo cuore perché questo è proprio quello che il nostro cuore desidera: essere amati. Perché lo desidera? Perché è necessario per vivere! Se Gesù, al contrario, avesse detto: “odiate i vostri nemici, vendicatevi, percuotete per difendervi, auspicate il male …”, avrebbe fatto torto non alla sua figura ma alla vita stessa. Per portare avanti il nostro sistema di vita, che noi stessi definiamo evoluto e progredito, abbiamo elevato a rango di inderogabili un sistema di norme, spacciandole come necessarie anche solo per sopravvivere. Non se può fare a meno. Ma la domanda resta: si può passare tutta una vita in una continua difesa di se stessi e dei propri spazi; in una sfiancante rivendicazione di diritti e dignità; in un perpetuo calcolo tra il dare e l’avere? Il tutto, facendo finta di ignorare come una vita del genere ci abbia rinchiuso in recinti di intangibilità e solitudini, precari e per nulla realistici. Tanto è vero che servono sempre nuove ‘regole’. Se la vita è tutta qui, come può crescere un bambino senza essere mai perdonato? Come possono amarsi due coniugi senza comprendersi 'oltre il dovuto’? Come può tenersi in piedi un’alleanza o un’amicizia, senza un’intesa fatta anche di amore e di perdono? L’ “amate, perdonate, fate del bene, pregate per chi vi tratta male” di cui parla Gesù è l’unica dimensione vera e reale nella relazione fra le persone. È essenziale perché nella vita tutti abbiamo bisogno di riceverlo. Fare della sola giustizia e del senso del dovuto la colonna portante della vita, vuol dire avere un’idea di noi stessi che non corrisponde alla realtà. Illudersi è fuorviante. La vera iperbole non è l’amore, ma una giustizia ricercata con accanimento. Già i romani, maestri del diritto, se ne erano accorti: spesso la nostra giustizia può diventare la più grande ingiustizia “summum ius, summa iniuria”. È necessaria la giustizia ma l'amore è per definizione 'oltre il dovuto'. 'Amare' è quello che Gesù ha fatto e ci ha dato: non rispondendo simmetricamente al male ricevuto ma amando al di là di tutto e oltre tutto. E tutto parte proprio da quell’amore e da quella pazienza nei nostri confronti. Lasciarsi illuminare da quella luce oggi significa essere accolti e trovare qualcuno da accogliere. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: VI Domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Lc 6, 17. 20-26)

10 Febbraio 2022 - Ce ne saremo accorti: Gesù non è un professore di etica o uno che sviluppa trattati di morale. La sua predicazione è una denuncia profetica, seppur desunta da situazioni di vita correnti, con parole semplici, frasi corte e forti contrasti. Come nelle Beatitudini. È noto che tutto quello che Gesù ha detto, non lo ha detto solo una volta e in un solo contesto. Come per le Beatitudini. Questo spiega, ad esempio, perché si differenziano quelle del Vangelo di Luca e di Matteo. In Matteo sono otto e sono proclamate in montagna, solo ai discepoli; in Luca sono quattro e sono proclamate in un luogo pianeggiante, all’ingresso di Cafarnao, in mezzo ‘ad una gran moltitudine di gente’, dice il Vangelo di questa domenica. Beati i poveri, quelli che ora hanno fame, quelli ora che piangono e quelli che vivono nell’ esclusione e nel disprezzo; ma guai a coloro che sono ricchi, a quelli che ora sono sazi, ora ridono e sono appagati. Il dato toponomastico, ma soprattutto quello temporale, “ora”, spiegano la prospettiva che l’evangelista coglie nelle parole di Gesù, proclamate in quella circostanza: chi dà retta a Gesù e alle sue parole? chi è povero, chi ha fame, chi sta piangendo… Chi ha tutto il resto, non lo sta a sentire: la felicità di Cristo non è disponibile per i ricchi, chi ha la pancia piena, i divertiti e gli appagati. Lo dice anche il Salmo: “l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono” (salmo 48). Gesù non ce l’ha con le ricchezze, le cose che saziano o che divertono, e non invoca le persecuzioni; Gesù condanna quello che queste cose producono: vanità (false sicurezze), orgoglio, divinizzazione (delle cose e delle persone), chiusure (non accoglienza e mancanza di solidarietà), oppressioni (magari in nome di Dio). Gesù ci sveglia e ci rimanda alla parte povera e incompleta della nostra esistenza perché quella miseria è la porta di ingresso del Salvatore, lo squarcio attraverso il quale il Signore può entrare. Le nostre miserie sono lo spazio di Dio nella nostra vita. Quando ci si illude di poterne fare a meno o di rimediare diversamente non siamo nella verità perché la forza di cui noi siamo capaci è ‘a tempo’ ed è ‘per le piccole cose’.  È una battaglia (persa?) parlare alle persone ‘vincenti’ e convinte della propria forza. Il libro dei Proverbi ricorda che prima della rovina viene l’orgoglio e prima della caduta l’arroganza. Al contrario: prima della salvezza c’è l’umiltà, le nostre lacrime e il nostro senso di povertà. Benvenuta la salvezza, se le facciamo posto! (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: V Domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Lc 5,1-11)

3 Febbraio 2022 - A Nazareth i concittadini di Gesù chiedono miracoli per credere. Sul lago di Gennèsaret Gesù chiede a dei pescatori di credergli e avvengono miracoli. Per poter predicare lontano dalla ressa, Gesù si rivolge a Simone e “lo pregò di scostarsi un poco da terra”. Finita la predicazione chiede ancora: “prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone, balbetta un ‘rigor di logica’ e, anche per non essere deriso dagli altri, sottintende un minimo di competenze sulle rotte dei pesci in quel lembo di lago tra Betsaida e Cafarnao; ma si fida della Sua Parola: non un suono o un carattere inciso da qualche parte, ma una forza, come l’Amore, capace di muovere le volontà e anche “… il sole e le altre stelle”, aggiungerebbe Dante! Ed esclama: “ma sulla tua Parola getterò le reti”. La pesca è abbondante. La reazione di Simone determinante: “allontanati da me perché sono un peccatore”. Nulla di inesatto nel dichiararsi peccatore; inesatta, invece, è la convinzione che per questo motivo Gesù non possa avere a che fare con lui: “non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. È tutto il contrario: d’ora Simone e Gesù staranno sempre insieme. Come quelle reti apparentemente inutili, risultarono decisive per una pesca in quelle circostanze, così Simone, per aver preso coscienza della sua condizione di peccatore, ora è abile e collaboratore di Gesù; sì, proprio lui che si riteneva inutile e inadatto a causa del peccato. Per Gesù il peccato non è il punto terminale di una lontananza da Dio conclamata, ma il punto di partenza per l’opera di Dio in noi e il miglior preludio per l’abbandono a Dio: a monte c’è la forza di una Parola che, se appresa, fa mettere in atto comportamenti che smascherano l’inconsistenza della vita da peccatore. E la cambiano. Ora che le barche sono piene avrebbe più senso restare… e, invece, no. Gesù ha detto a Pietro chi è e che si può fare. Per questo lui e i suoi sodali lasciano tutto e vanno nell’unica direzione che conduce al cuore della vita: quel Dio che riempie le reti e la vita, moltiplica la libertà e il coraggio, non chiede niente e dona tutto. Per questo si chiama ‘Signore!’ (p. Gaetano Saracini)

IV Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 4,21-30)

27 Gennaio 2022 - La meraviglia e l’ammirazione per Gesù si trasformano repentinamente in sdegnosa ostilità nel momento in cui la gente di Nazareth comincia a dire: “non è costui il figlio di Giuseppe?” Una domanda retorica che non esprime la presunzione di conoscere già tutto di Lui ma l’insinuazione e la pretesa di avere diritti speciali, un trattamento di assoluto favore rispetto a tutti gli altri. Quasi la condizione per poter credere in Lui e a quello che sta dicendo. Ma non è con il pane e i miracoli che si liberano le persone; quello, piuttosto, è il modo per impossessarsi di loro. Dio, invece, non si impossessa e non invade. Dio vuole servire l’uomo e cambiargli il cuore. Gesù smaschera il loro pensiero e lo argomenta. Lui è un profeta ma non uno di quelli che accomoda le coscienze ma uno che le scortica. E il Suo Dio non è un taumaturgo a disposizione tra i vicoli del paese ma uno che sconfina. Materialmente e spiritualmente. Nella scia della più grande profezia biblica racconta come attraverso il profeta Elia, Dio protegge una vedova forestiera a Zarepta di Sidone e attraverso Eliseo guarisce il generale Naaman il Siro, nemico d’Israele, lebbroso. Persone che non hanno chiesto miracoli per credere ma hanno creduto e, credendo, hanno ottenuto miracoli. Quei profeti trovarono la fede autentica fuori da Israele. Tutta la storia biblica mostra che la persecuzione è la prova dell’autenticità del profeta: “nessuno è profeta in patria!”. E Gesù è quel profeta che rivela un Dio di sconfinamenti, la cui patria è il mondo intero, la cui casa è il dolore e il bisogno di ogni uomo. “Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare. Perché poi ti sbagli su tutto, sulla storia e sul mondo, sul bene e sul male, sulla vita e sulla morte” (D.M. Turoldo). Il rischio di comportarsi come gli abitanti di Nazareth è tutt’altro che remoto e, oggi, assume diverse forme. L’insistenza con cui papa Francesco invita ad uscire verso le periferie del mondo, esprime la sua ferma volontà di opporsi a questo rischio. È in atto una profezia: come Gesù, essa non fugge e non si nasconde ma passa in mezzo, aprendosi un solco come di seminatore, mostrando che la si può ostacolare ma non bloccare. Parafrasando un bravo cantautore: “non puoi fermare il vento, gli fai solo perdere tempo” (F. De Andrè).

p. Gaetano Saracino

Vangelo Migrante: III Domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Lc 1,1-4; 4,14-21)

20 Gennaio 2022 - Con la Lettera apostolica ‘Aperuit illis’ (2019), Papa Francesco stabilisce che la III Domenica del Tempo ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio. La Parola di Dio è ordinariamente al centro della vita della comunità. Dall’ascolto nasce l’appartenenza a Dio; ma a volte si ha l’impressione che la Bibbia sia solo materia per esperti… In continuità con i ‘nuovi sguardi’ che papa Francesco sta offrendo nel suo magistero sull’evangelizzazione e sulla liturgia, anche sulla Bibbia egli accende una dimensione ‘popolare’ perchè tutti si riapproprino della sacra Scrittura, come Parola personale e comunitaria che Dio vuole offrire al suo popolo. Il brano del Vangelo che proclameremo in questa domenica, ci situa bene in questa dimensione. Si tratta dell’incipit della vita pubblica di Gesù, subito dopo i vangeli dell’infanzia, preceduto dal ‘prologo’ del Vangelo di Luca. L’evangelista si presenta come uno che ha fatto ricerche accurate (akribòs) perché vuole che i cristiani si rendano conto “della solidità degli insegnamenti” ricevuti e prendano atto di come la vita di Gesù abbia un’importanza decisiva per la storia di tutti gli uomini. Quindi riporta il ‘manifesto’ di Gesù, che si intesta le parole del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me…”. Nella Sinagoga a Nazareth, dove era cresciuto, quel sabato, Gesù proclama che Lui opera con la potenza di Dio. La Sua non sarà un’opera umana, meno che mai politica, ma la rivelazione del progetto di Dio che “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. Il tempo nuovo non ha più per protagonista l’uomo, ma ‘Dio fatto uomo’. A Nazareth ci rivelato come a salvare l’umanità non saranno gli ordinamenti umani, i sistemi di governo o i compromessi ma lo Spirito del Signore. Non è una nota di pessimismo sulle capacità umane, purtroppo fin troppo documentate dalla storia; ma è la speranza certa che ci assicura che lo Spirito è su Gesù e, quindi, su tutti quelli che fanno comunione con Lui. Tutto questo riguarda l’oggi: “oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. L’oggi storico di Gesù diventa, per la forza dello Spirito, l’oggi liturgico della Chiesa, il nostro di ogni Messa. La predica di Nazareth diventa, oggi, storia nostra. Se ascoltiamo! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: II Domenica del Tempo Ordinario (Vangelo Gv 2,1-11)

13 Gennaio 2022 -   Il Vangelo di Cana coglie Gesù nelle trame festose di un pranzo nuziale, in mezzo alla gente. Canta, ride, balla, mangia e beve, lontano da un presunto ascetismo. Dio non è il concorrente della gioia delle sue creature, del vitale e semplice piacere di esistere e di amare: Cana è il suo atto di fede nell’amore umano. È il creatore dell’amore. Lo benedice e lo sostiene al punto di farne il caposaldo, il luogo originario e privilegiato della sua evangelizzazione: “questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù”. Anche Maria partecipa alla festa e ‘guarda’ ciò che accade attorno a lei. Il suo osservare attento e discreto le permette di vedere ciò che nessuno vede e cioè che il vino è terminato: “Non hanno più vino”. Punto di svolta del racconto. Non è il pane che viene a mancare, alimento necessario alla vita, ma il vino, alimento di complemento e non indispensabile, … ma non nel bel mezzo di una festa! “Non è ancora giunta la mia ora”, dice Gesù. Maria non chiede uno ‘spreco di potenza’ ma chiede a Dio che suo Figlio anticipi ‘l’ora’ che il Padre gli ha consegnato nel tempo della sua venuta in mezzo agli uomini. ‘Quell’ora’, è il momento cruciale del Calvario, anzitutto; la cruna dell’ago attraverso la quale deve passare per rivoltare tutta quanta la storia, di tutti gli uomini e di tutti i tempi. L’umanissimo miracolo di Cana è un miracolo della fede di Maria che apre gli estremi di ‘quell’ora’ estendendola da quel banchetto fino alla croce. Un’estensione che abbraccia tutti gli uomini, in ogni istante della vita: nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. Cana inaugura il tempo della missione pubblica di Gesù e, nei segni e nei miracoli, si rivelerà come ‘l’ora della gloria di Dio e della Salvezza per gli uomini’. Non una serie di episodi e circostanze ireniche e moralmente edificanti ma appuntamenti puntuali e risolutivi. Proprio come a Cana, dove “egli manifestò la Sua gloria e i discepoli credettero in Lui”. (p. Gaetano Saracino)  
  1. Gaetano SARACINO