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Vangelo Migrante: XXXI Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 19,1-10)

27 Ottobre 2022 - “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. È tutto quello che c’è da sapere sul mistero di Gesù e sulla sua missione. L’evangelista ce lo dice a conclusione di un racconto che ha tre scene: un personaggio in ricerca, di nome Zaccheo; un incontro; gli effetti della potenza creativa degli incontri con Gesù. Gesù riempie le strade di gente. Fra questi, nella piana di Gerico, c’è un uomo piccolo di statura, curioso, estorsore e malversatore per mestiere, ladro per condotta, impuro e capo degli impuri. Il suo limite fisico, la bassa statura, diventa la sua fortuna. Non si piange addosso, non si arrende, cerca la soluzione e la trova su un albero: “Corse avanti e salì su un sicomoro”. Tre pennellate precise: non cammina, corre; in avanti, non all’indietro; sale sull’albero, cambia prospettiva. Gesù non passa senza incrociare gli sguardi. I suo incontri non sono casuali: sono arte! E quando incrocia gli occhi di Zaccheo, lo chiama per nome: “Zaccheo, scendi”. Non giudica, non condanna, non umilia; tra l’albero e la strada uno scambio di sguardi va diritto al cuore di Zaccheo e ne raggiunge la parte migliore: il nome. Poi, la sorpresa delle parole: “devo fermarmi a casa tua”. Dio viene perché ha un desiderio su tutti: riprendersi ciò che si era perduto! A Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l’ultima pecora, manco io. Dice: “devo fermarmi”; non vuole semplicemente passare oltre, ma stare con lui. L’incontro da intervallo diventa traguardo; la casa da tappa diventa meta. Tutto il Vangelo non è cominciato al tempio ma in una casa, a Nazareth; e ricomincia in un’altra casa a Gerico, e oggi ancora inizia di nuovo nelle case, là dove siamo noi con le nostre storie: di nascita, di morte, di amore. Zaccheo “scese in fretta e lo accolse pieno di gioia”. Non ci sono condizioni. Non deve prima cambiare vita, dare la metà dei beni ai poveri o restituire quattro volte il maltolto, e dopo il Signore entrerà da lui. No. Gesù entra nella casa, ed entrando la trasforma. L’amicizia anticipa la conversione. Perché incontrare un uomo come Gesù fa credere nell’uomo; incontrare un amore senza condizioni fa amare; incontrare un Dio che non fa prediche ma si fa amico, fa rinascere. Gesù non ha indicato sbagli, non ha puntato il dito o alzato la voce. Ha sbalordito Zaccheo offrendogli se stesso in amicizia, gli ha dato credito, un credito immeritato. Dinanzi ad un figlio dell’uomo così, ogni peccatore si scopre amato, a prescindere, senza meriti, senza un perché. Semplicemente amato. Il cristiano è un soggetto preceduto da un ‘sei amato’ e seguito da un ‘amerai’. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo XXX Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 18,9-14)

20 Ottobre 2022 -   Il primo ornamento della preghiera è l’umiltà: essere convinti della propria povertà, imperfezione, indegnità e ammettere di non bastare a se stessi. Gesù continua la catechesi sulla preghiera e lo fa raccontando la parabola di un pubblicano che prega in contemporanea ad un devotissimo fariseo. Lo diciamo subito: ‘fariseo’ non è sinonimo di cattivo; e, infatti, anche secondo il racconto, egli è davvero un brav’uomo, un elemento validissimo per la società: non ruba, non è ingiusto, non commette adulterio, digiuna e paga la decima su tutto. Ma Gesù fa notare che, pur pregando, non viene ascoltato. Qualcosa non torna. Viene da chiederci: cosa bisogna fare per essere ascoltati? L’evangelista introduce la parabola dicendo che Gesù la rivolge ad “alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Ecco il punto: il problema è che il fariseo presume, vive di se stesso, della propria giustizia… e disprezza gli altri. Questo significa che, alla fine, critica Dio: mentre lui è stato fatto bene, gli altri sono stati fatti male e sono un problema. E dà origine all’eterna scalata dell’uomo sugli altri uomini (Caino e Abele); quella fatta con la perenne competizione che si nutre nel trovare sempre chi sta peggio. Insomma si finisce per ringraziare Dio perché gli altri fanno schifo! Se questo ‘funziona’, per modo di dire, fra le cose degli uomini, non è assolutamente il modo di stare dinanzi a Dio. La denuncia di Gesù è fortissima: se un sistema religioso si basa sull’auto edificazione e sul disprezzo degli altri, non ha da dire nulla. Ha chiuso. ‘Game over’, si direbbe oggi. Ci si illude di parlare con Dio, ma in fondo si parla di se stessi a se stessi. Questa non è nemmeno preghiera. L’intenzione del fariseo è quella di farla ma nella pratica lo sbrodolarsi da solo e il non chiedere nulla…, lo portano fuori dal seminato. Si tratta di un atteggiamento molto diffuso fra coloro che si ritengono giusti e non bisognosi di nulla, i quali per mettere in evidenza le loro ‘giustezze’ sul vissuto e sulla fede, hanno bisogno di misurarsi sulle meschinità altrui. La verità, ci dice Gesù, è che siamo sempre dei principianti; è un illusione la speranza di diventare autonomi. Quella è la logica del serpente antico. Il pubblicano sta meglio del fariseo perché ha bisogno di tutto e l’unica misura che ha è Dio. Mentre il fariseo si misura sul pubblicano, il pubblicano si misura su Dio. Sa che per la salvezza non basta se stesso ma Qualcuno che lo salvi. La sua preghiera sarà ascoltata da Gesù sulla croce. La preghiera vera, sgorga bene dalla nostra povertà. Una preghiera solo per mettere a posto la coscienza, non esiste e non ha nemmeno senso, ci dice Gesù! Un atteggiamento che insegna che chi vive di perdono, potrà conoscere la pazienza e la misericordia di Dio; chi vive di certezze, sarà freddo anche all’amore. (P.Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: XXIX Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 18,1-8)

13 Ottobre 2022 - Pregare sempre senza stancarsi mai. È il cuore del Vangelo di questa domenica. ‘Sempre’ e ‘mai’sono parole infinite e definitive allo stesso tempo. Impossibili da raggiungere? Non proprio. Tommaso da Celano dice di San Francesco che alla fine della vita non pregava più... “egli stesso era diventato preghiera”. Un padre della vita spirituale, Evagrio Pontico, rassicurava: “non compiacerti nel numero dei salmi che hai recitato: esso getta un velo sul tuo cuore. Vale di più una sola parola nell’intimità, che mille stando lontano”. Pregare è come voler bene, c’è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami giorno e notte, senza smettere mai. La cosa che a Gesù sta più a cuore, e anche la più difficile, è proprio “non smettere mai”. E allora porta un esempio: quello di una vedova che, inopportuna, insolente, molesta, importuna un giudice che non si decide a farle giustizia. Questi, alla fine, scocciato dalla sua richiesta, cede. Attenzione: quel giudice non è Dio, quel giudice è il criterio umano di valutare le cose, il buon senso, la misura con cui noi siamo soliti regolare l’andamento della vita; è quell’insieme di compromessi che sono stati consegnati a qualcuno perché li faccia osservare; in una parola: il potere. In questo ‘manage’ si generano le ingiustizie che tanto male fanno agli uomini. Chi ha forza si difende da solo; chi non ne ha, ha bisogno di essere difeso... Ma non è detto che esista qualcuno disposto a farlo. Proprio a partire dal caso della vedova, a cui nessuno risponde, Gesù sposta tutto sulla preghiera; non come ultima ratio ma come la vera e definitiva fonte di giustizia. L’unica capace di tenere testa ai problemi e a chi li dovrebbe regolare. La parabola non è contro quelli che non pregano mai, ma è per quelli che ammettono la preghiera, la conoscono anche e, tuttavia, credono che il ‘qualche volta’ o ‘il pregare spesso’ possa bastare... No. La vera preghiera di cui c’è bisogno e che si rivela anche efficace è: ‘non smettere mai!’. È necessaria: non a caso essa è accostata al respiro di cui non possiamo fare a meno! Si tratta di avere il cuore immerso in Dio. Costantemente. Che sorpresa, trovarsi a fare le cose di Dio anche senza averlo invocato esplicitamente! A riguardo, interroghiamo i Santi: è tutta gente che non spiega quali sono state le strategie delle loro opere ma canta lo stupore dell’Opera di Dio, che non lascia vacillare e non prende sonno. “Egli è come ombra che ti copre”, dice il Salmo! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XXVIII Domenica del tempo Ordinario (Lc 17,11-19)

6 Ottobre 2022 -
Il brano del Vangelo di questa domenica, contiene in sé delle contraddizioni, una strategia dell’evangelista Luca per aiutarci a comprendere e focalizzare, alcuni significati che la vicenda reca in se stessa. Uno degli elementi che attira da subito la nostra attenzione, emerge dal percorso che Gesù compie nel dirigersi a Gerusalemme che è situata nel sud del Paese, Egli passa dalla Samaria e dalla Galilea, che si trovano nel nord, da tutt’altra parte: hai l’opportunità di incontrare Gesù nei luoghi dell’infedeltà (Samaria) e della vita quotidiana che nel suo profondo è pagana (Galilea). Un altro elemento di contraddizione riguarda il luogo in cui si trovano i lebbrosi, i quali dice il Vangelo, vanno incontro a Gesù uscendo dal loro villaggio. Siamo ben consapevoli che la lebbra è una malattia infettiva, proprio per questo motivo anche ai tempi di Gesù, i lebbrosi erano costretti a vivere fuori dalla città, espulsi dalla comunità, qui invece sono situati all’interno del villaggio. Sino a questa domenica abbiamo compiuto un cammino dove ci siamo riscoperti il Figlio maggiore della parabola del padre misericordioso, l’amministratore che sperpera i beni del suo padrone, il ricco immerso nelle sue ricchezze che ha tagliato fuori dalla sua vita il bisognoso… quei lebbrosi dunque, rappresentano noi stessi, la nostra umanità, le nostre comunità (in Israele, il numero dieci è il quoziente minimo per poter creare una comunità), infettate dall’aridità e dal consumismo, dalla nostra mancanza di fede. L’uomo peccatore come quei lebbrosi si sente lontano da Dio, si fermano infatti a distanza, ma Gesù annulla il tutto invitandoli ad andare presso i sacerdoti a Gerusalemme, a compiere cioè quel cammino di amore che anche Lui sta effettuando, lì dove troverà la morte. Durante il tragitto vengono guariti: la salvezza che Cristo ci ha garantito con il suo cammino verso la croce è per ciascuno, ma non tutti se ne accorgono. Mentre gli altri viaggiano secondo il protocollo di quello che gli è stato detto, solo uno ritorna all’origine dell’incontro per ringraziare (eucarestia) e dunque stringersi in relazione esclusiva con la fonte della sua salvezza. Tuttavia sarà impossibile fare eucarestia se gli altri fratelli non ci sono, per questo motivo fecondati dalla fede, diviene necessario incamminarsi nuovamente alla ricerca del fratello assente. (Luca De Santis)

Vangelo Migrante: XXVII Domenica del Tempo Ordinario- | Vangelo (Lc 17,5-10)

29 Settembre 2022 -

La prima lettura di questa domenica, ci consegna una frase molto bella per mezzo della quale, ci accostiamo alla meditazione del vangelo: il giusto vivrà per la sua fede. Iniziamo la nostra riflessione, chiedendoci se siamo pienamente consapevoli del significato della fede. Nel vivere la dimensione spirituale, si riscontra una certa confusione tra religione e fede, in quanto alcuni ritengono che le due cose siano uguali: la persona religiosa è anche un uomo e una donna di fede? Essere delle persone religiose, significa esser nati all’interno di un contesto culturale, caratterizzato da usanze e tradizioni. Sin dalla nascita ci sono stati trasmessi degli insegnamenti riguardanti anche la sfera religiosa: il segno di croce prima di andare a dormire, la domenica a Messa, per certi versi anche i sacramenti dell’iniziazione cristiana più che una maturazione di fede, per alcuni scandiscono i processi della crescita umana. Anche il vivere in società risente dell’aspetto religioso: la festa del santo patrono, le caratteristiche processioni, le pietanze che si preparano in occasione di una solennità. La religione dunque, richiama una credenza vaga, non definita, che non indica un cammino di maturazione, ma semplicemente un’educazione sociale o famigliare che è stata inculcata. Si può essere religiosi senza conoscere per bene Dio, la Sua parola e la Sua logica. La fede è tutt’altra cosa, essa pur nascendo dal contesto religioso, pretende qualcosa di più: il desiderio di conoscere Dio, istruire un rapporto personale con Lui, orientarsi continuamente a Lui, porlo alla base della nostra esistenza, nelle scelte che siamo chiamati a compiere. Entrato in questo processo prendo consapevolezza in modo progressivo di quanto sono amato, del fatto che Dio non ama in modo generale la gente o il popolo, ma si manifesta nella sua misericordia in modo specifico per ogni uomo e ogni donna: il mondo è amato poiché lo è ciascuno di noi. La fede non ha una misura quantitativa, non consiste nel dire ne ho tanta o poca, essa è semplicemente un seme, il più piccolo, che decide di farsi fecondare dal terreno misericordioso di Dio, entrando così in un processo di crescita dinamica.

Farsi fecondare per mezzo della fede aiuta ad affrontare due aspetti della vita molto importanti, che sono riportati all’interno del Vangelo di questa domenica. La fede è potente, mi aiuta a estirpare anche l’impossibile: l’albero di gelso possiede delle radici poderose, molto probabilmente ai tempi di Gesù era impossibile sradicarlo, così nella nostra vita, riteniamo irrealizzabile il liberarsi da alcuni aspetti, come un vizio o degli episodi spiacevoli, la fede è capace di estirpare tutto questo. In secondo luogo l’essere immerso nella misericordia di Dio, mi introduce nel servizio amorevole (senza utile), eliminando ogni forma di mercificazione del bene in favore del prossimo, tutto ciò si apprende dall’amore gratuito e personale di Dio. (Luca De Santis)

Vangelo Migrante: XXVI Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 16,19-31)

22 Settembre 2022 - I farisei, amici della ricchezza e inclini a considerarla come un segno della benedizione di Dio sopra il giusto (solo i farisei?) non a caso deridevano Gesù per i suoi inviti a distaccarsi dai beni materiali. L’attaccamento al denaro, ieri come oggi, è frequente e la ricchezza molto apprezzata. Gli uomini ricchi sono ammirati e facilmente s’illudono di essere uomini grandi per il semplice fatto di essere ricchi. La celebre parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro smaschera i grandi pericoli che corrono gli uomini ricchi. La parabola mette in evidente contrapposizione un ricco anonimo che vive nel fasto e un povero di nome Lazzaro, che in ebraico significa ‘Dio viene in aiuto’. Il fatto che sia riportato il nome del povero e non quello del ricco fa subito intendere il diverso modo di ragionare di Dio rispetto agli uomini: non sono i ricchi ma i poveri a stargli particolarmente a cuore! L’uomo ricco, vestito di porpora e di bisso che vive nel lusso, non è crudele nei confronti del povero Lazzaro, semplicemente non si accorge di lui e non si occupa minimamente dei suoi problemi. Egli vede solo sé stesso. La ricchezza ha lo stesso effetto di un panno nero dietro a un vetro: da trasparente, diventa specchio. Così nella vita degli uomini: con la ricchezza non ci si accorge più degli altri e dei loro problemi, anche quando sono vicinissimi, e si pensa solo a se stessi. La morte li raggiunge entrambi e produce un radicale rovesciamento della situazione. Lazzaro è portato dagli angeli accanto ad Abramo in un posto di grande onore. Il ricco si ritrova negli inferi, luogo tradizionale di tormenti per gli uomini, condannato a causa delle sue colpe. Il ricco non è condannato perché violento e oppressore, ma semplicemente perché ha vissuto ignorando completamente il povero. Appurato che non è più possibile fare nulla a suo favore, il ricco vorrebbe fare qualcosa per i suoi fratelli perché non seguano la sua sorte. La risposta di Abramo è chiara: le ricchezze, assieme allo sguardo ricurvo su se stessi procurano anche un intontimento che preclude qualsiasi altro sguardo o messaggio. Creano un abisso tra noi e la verità delle cose! Come la verità dello sguardo e della Parola di Dio, decisivi per la salvezza. I piaceri e gli agi di cui ci circondiamo, e di cui andiamo sempre di più alla ricerca, non ammettono altro. Nient’altro. … E la parabola non ammette mezze misure: non si può essere cristiani e superficiali allo stesso tempo, incuranti, evasivi o in fuga da ciò che ci circonda. Gesù annuncia l’unica cosa che conta e che resta veramente: la salvezza del Padre, per tutti. E ci dice come ottenerla. Sarà utile farci qualche domanda: chi è il mio Lazzaro? Qual è la mia occasione di salvezza? Chi c’è da mare? Chi c’è da curare? (p. Gaetano Seracino)

Vangelo Migrante: XXV Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 16,1-13)

15 Settembre 2022 - Si sa che l’arte di cavarsela è molto applicata nelle ambigue imprese di questo mondo. Lo è molto meno nella grande impresa della salvezza eterna. Per questo Gesù ci riprende per come siamo più pronti a salvarci dai mali mondani che dal male eterno. E racconta la parabola di un fattore disonesto che, chiamato a rendere conto al padrone della sua amministrazione, si vede costretto a fare sconti a destra e a manca, ai debitori del suo padrone perché costoro da lì a poco, il giorno in cui sarà licenziato, lo possano accogliere; la parabola, tuttavia, non dice se resta o viene licenziato… Per le logiche umane, il racconto è sconclusionato perché pur dinanzi ad un comportamento che è disonesto a tutto campo, il padrone finisce comunque per lodarlo: “i figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Qualcosa non torna. Siamo in una parabola e il discorso pur muovendo dalle cose di questo mondo, non rimane nelle logiche di questo mondo ma si porta nella logica di Dio. E quindi: se quel padrone è Dio, i suoi beni non sono i denari per come li intendiamo noi ma per come li intende lui; per Dio la vera ricchezza, simboleggiata anche dal denaro, è la misericordia! E quell’amministratore cosa fa? Fa sconti, rimette i debiti … ai debitori del padrone. In questo, è un amministratore di misericordia perché capisce che l’unica salvezza per lui è rimettere i debiti. Umanamente è un discorso ‘utilitaristico’ ma per come lo usa Gesù, sotto forma di parabola, spiega meglio di tante parole qual è l’unica logica Dio: la vera ricchezza è la misericordia e, se c’è di mezzo il denaro, o è per fare misericordia o sarà per i traffici disonesti e basta. Questo testo è un’immensa spiegazione narrativa di un testo dell’AT: “l’elemosina copre una moltitudine di peccati”. Noi nella vita non saremo mai perfetti nè riusciremo ad aggiustare tutto della nostra amministrazione … Sappiamo solo che alla fine i conti non torneranno mai. Come salvarsi? Abbassando i conti e tagliando le pretese. Come distinguere il servire Dio dal servire la ricchezza? Far sì che la ricchezza serva Dio e non il contrario. Il denaro serve per amare, per perdonare; il denaro va messo al servizio della volontà di Dio. Per Dio non esistono né ‘assoluti’ nè fermezze che non contemplino  la misericordia. È un Vangelo che ci insegna la strada: cancellare i crediti, rimettere i peccati perché questo ci apre le porte dei cieli. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XXIV Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 15,1-32)

8 Settembre 2022 - A un uditorio di mormoratori Gesù racconta una parabola: “si avvicinarono a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro. Allora egli disse loro questa parabola...”. Tra tutte è indubbiamente la parabola più sconvolgente; non solo perché ci insegna che Dio si interessa di ciò che è perduto e prova grande gioia per il suo ritrovamento, ma soprattutto perché scaturisce da una situazione ben precisa: la mormorazione di alcuni benpensanti, ai quali Gesù rivela cos’è il peccato. È questo ciò che fa dei tre racconti sui ‘perduti ritrovati’ (una pecora, una moneta e un figlio, cosiddetto ‘prodigo’) un’unica parabola. In risposta a quelle mormorazioni, con quel racconto Gesù tira fuori la radice di ogni peccato, già nota nella storia della Salvezza nel dialogo tra un serpente e una donna (Genesi 3). Il serpente presenta la realtà come bella ma vietata, gradevole ma proibita, illuminante ma preclusa. Esiste, ma non si può prendere. E Dio, che ha stabilito tutto questo, è qualcuno che governa l’uomo limitandolo e frustrandolo. È la logica espressa nelle parole dal fratello maggiore della parabola del ‘figlio ritrovato’: … “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Un atteggiamento che trasuda rabbia e invidia. Non fa ragionare da figlio ma da servo e fa pensar male del padre. Il peccato ha origine in questo smarrimento, in questa ribellione, in questa morte: vivere dentro il giardino di Dio ma con il cuore ribellato a Dio. Rompere la comunione con il Padre vuol dire svilirsi, svuotarsi, perdersi… Lo fanno entrambi i figli ma uno, disperato, torna e sperimenta l’attesa e l’abbraccio del Padre; l’altro nemmeno si accorge di un Padre così! Anche se quel Padre lo martella con la frase “questo tuo fratello era morto ed è stato ritrovato”. È curioso, ma il ‘figlio prodigato’ è colui che scopre che la relazione dell’uomo con Dio è sempre possibile perché è una storia di perdono… E la gioia di quel Padre è la verità. È questa la chiave per capire tutto. Il risultato è una festa: per il pastore che ritrova la pecora smarrita, per la donna che ritrova la moneta e per il padre che ritrova suo figlio! La Verità prima, è lo smisurato amore del Padre per tutti. Nessuna forma di perdizione può precludere la salvezza. Al contrario, si può stare dentro la casa del Padre ed essere ostaggio di un cuore in catene. A noi la scelta: stare nella casa del padre e ritenere che servire Dio sia una schiavitù o scegliere di servire Dio, e regnare! Perché, servire Dio è regnare (Concilio Vaticano II).

p. Gaetano Saracino

Vangelo Migrante: XXIII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 14, 25-33)

1 Settembre 2022 - “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre... e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. Lo diciamo subito: Gesù non indice una competizione di sentimenti fra le sue creature; sa bene che non ne uscirebbe vincitore. Ci ricorda, invece, che, per creare un mondo nuovo, ci vuole una passione forte almeno quanto quella degli amori familiari. Gesù vuole cambiare l’uomo e, allora, riparte dalle relazioni umane. E lo fa puntando tutto sull’amore, il fulcro sul quale l’uomo poggia la felicità di questa vita: dare e ricevere amore. Anche se le Sue parole sembrano eccessive o contro la bellezza e la forza degli affetti, il verbo centrale attorno a cui ruota il tutto è “amare di più”. Non si tratta di una sottrazione ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un “di più”. Il discepolo è colui che sulla bellezza dei suoi amori stende una bellezza più grande. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento, un’aggiunta. Gesù è la garanzia che i nostri amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare. E prosegue: “colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. La croce noi la pensiamo come metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, di una malattia da sopportare o addirittura del perdere la vita. In realtà la vita ‘si perde’ così come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia. Un tesoro nascosto non serve a nulla. Un tesoro speso con ‘giustizia’, produce altra ricchezza. Il vero dramma non è morire ma non avere niente e nessuno per cui valga la pena spendere la vita. Nel Vangelo la croce è la sintesi dell’intera storia di Gesù: amore senza misura, amore disarmato, coraggioso, che non si arrende, non inganna e non tradisce. È l’emblema del prendere su di sé una porzione grande di amore, altrimenti non si vive; prendere la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non si ama. E, in progressione, conclude: “chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Si tratta di un taglio: la vita non dipende dai beni materiali; Gesù chiede una rinuncia a ciò che la impedisce (la Vita). Esistono creature che nella loro umanità hanno fatto spazio all’Amore più grande, hanno vissuto portando la porzione di croce che ogni amore comporta e hanno davvero tagliato con tutto il resto per fare posto alla Vita di Dio. Sono i Santi. E Dio, in loro, ha rivelato tutta la potenza del suo amore. Papa Francesco il 9 di ottobre eleverà agli onori degli altari una di queste figure: il vescovo Giovanni Battista Scalabrini, padre dei migranti. La Vita di Dio  vissuta da Scalabrini e dal suo carisma, è profezia di quella umanità nuova, riconciliata dall’amore nelle diversità, secondo il disegno di Dio. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XXII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 14, 1.7-14)

25 Agosto 2022 - “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”, dice Gesù nel Vangelo di questa domenica. I maestri di vita spirituale, suggeriscono che è meglio non darsi subito come obiettivo l’umiltà perché c’è il rischio di scivolare verso una ‘sottile sufficienza’ o innescare una eccessiva considerazione di se stessi. L’umiltà, infatti, è essenzialmente volgere il proprio sguardo al di fuori di se stessi e lasciarsi condurre. Gesù la suscita in reazione ad una scena che gli capita innanzi. “Notando come sceglievano i primi posti” oppone ‘a quel segno del potere, il potere dei segni’: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!” (…) Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!” A Gesù non interessa stigmatizzare un comportamento sociale e piazzarlo tra le cose da fare o non fare nel traffico delle relazioni umane. L’umiltà che Lui indica, non è ‘bon ton’, svalutazione personale fine a se stessa o ‘escamotage’ per evitare brutte figure, ma apertura a Dio e ai fratelli. Tutti abbiamo un nervo scoperto che corrisponde all’ansia del primo posto, all’incessante sottolineatura del proprio ego. Una fatica angosciante che mai smettiamo di inseguire! Sembra che non ne possiamo fare a meno. E, invece, Gesù fa capire che ce ne possiamo liberare solo dinanzi alla consapevolezza che c’è Qualcuno che assegna il posto giusto a ciascuno. Vivere nella convinzione che il posto lo assegna Dio oltre che a vivere felici, genera anche la vera inversione di rotta nella storia e apre il sentiero per un tutt’altro modo di abitare la terra. Si tratta di una consapevolezza che ci permette di valorizzare il reale: quanti notabili e personaggi in vista sono stati respinti nella storia! E quanti perseguitati e testimoni, invece, vivendo dove Dio li ha posti…, anche in posti scomodi, si sono lasciati condurre da Lui e hanno illuminato di quella luce interi corsi della storia! Come il padrone di casa della parabola, che invita i commensali ad avanzare, così Dio si occupa di noi e ci conduce. Una vita dove il posto che abbiamo lo abbiamo ricevuto in dono, non sarà più il luogo del contraccambio ma il luogo del dono: “non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio”; quando si vive in funzione di un amore che non cerca il contraccambio, si trasforma tutto in condivisione. Vivere condividendo, vuol dire fare memoria di qualcuno che ha condiviso con noi quel che era suo. E questi è innanzitutto Dio che ha mandato il Figlio … senza chiederci niente in cambio insegnandoci che la vita si scambia non si commercia. Alla fin fine, umiltà significa esistere in funzione della vera ricompensa del Signore. Dice il libro della Sapienza: “gli empi sono coloro che non sperano salario dalla santità”. Il nostro rischio è che si viva senza sperare che il Signore ricompensi la condivisione e l’amore, credendo che fidarsi di Dio non paghi e non sia una realtà vantaggiosa. E, invece, è proprio questo il segreto delle beatitudini: Dio regala gioia a chi produce amore. (p. Gaetano Saracino)
  1. Gaetano SARACINO

Vangelo Migrante: XXI Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 13, 22-30)

18 Agosto 2022 - Gesù si rifiuta di rispondere ad un tale che chiede: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” Domanda quanto meno sospetta che sembra cercare più nelle statistiche la sicurezza della propria salvezza che non nella misericordia di Dio. Il pensiero sotteso è che se la maggior parte o addirittura tutti si salvano, facilmente ci si può confondere nella massa, evitando di assumersi le proprie responsabilità. Per Gesù la questione della salvezza non si pone in termini generali o per gli altri, ma si pone “per me”. Argomento tutt’altro che datato. L’opinione diffusa che Dio è buono e quindi tutti, in un modo o nell’altro, si salveranno indipendentemente dalla qualità buona o cattiva della loro vita, non trova conferma nelle Sue parole. Gesù non dice se siano pochi, tanti o tutti quelli che si salvano. Sia chiaro, l’universale predestinazione alla salvezza è il nucleo essenziale della Sua predicazione: tutti sono chiamati, senza alcuna eccezione e senza alcun privilegio, a far parte del regno dei cieli; ma la possibilità di salvarsi, offerta a tutti indistintamente, richiede un’impegnativa risposta personale. E allora formula un invito molto chiaro: “sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Non è un immagine ‘lacrime e sangue’ o un’impresa fuori della nostra portata. Il Vangelo porta solo belle notizie e, quindi, la porta è stretta, è un’entrata piccola, come lo sono i piccoli, i bambini e i poveri, veri prìncipi del regno di Dio; è stretta ma a misura d’uomo, di un uomo nudo ed essenziale che ha lasciato giù tutto ciò che lo gonfiava: ruoli, portafogli, l’elenco dei meriti, i bagagli inutili, il superfluo; la porta è stretta, ma è aperta. L’insegnamento è chiaro: fatti piccolo e la porta si farà grande! E va oltre. Attenzione: non è la stessa cosa stare dentro o fuori! Il rischio di rimanere esclusi dal regno esiste ed ha delle conseguenze: “là ci sarà pianto e stridore di denti”. Nè servirà bussare e dire: “Signore aprici!” o vantarsi di cose di poco conto: “abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Quanti non sono passati per la porta stretta a motivo della propria ignavia e falsa coscienza, si sentiranno rispondere: “non so di dove siete”. Dio non riconosce per formule, riti, simboli religiosi o perché si fanno delle cose per Lui, ma perché con Lui e come Lui si fanno delle cose per i piccoli e i poveri. Il resto o sono alibi o false credenziali che normalmente poggiano su un Dio a misura d’uomo. Non mancheranno sorprese. Oltre quella porta Gesù immagina una festa multicolore: verranno da oriente e occidente, dal nord e dal sud del mondo e siederanno a mensa. La porta stretta non è porta per pochi, o per i più bravi. Tutti possono passarvi, per la misericordia di Dio. Il suo sogno è far sorgere figli da ogni dove, per una offerta di felicità, per una vita in pienezza. Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo; il Suo regno ammette quelli che il mondo reputa clandestini; e se arrivati ultimi, Lui li considera primi. Attrezzarsi a passare quella porta, non è ‘fare di meno’ … ma darsi da fare con un Vangelo che travalica tutti i confini, non solo quelli geografici! (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante:XX Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 12, 49-53)

10 Agosto 2022 - Gesù non usa giri di parole: “sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! (...) Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione”. Ma cosa sono questo fuoco e questa divisione di cui parla? Il Vangelo non è ottundimento e illusione ma “morso del più”: visione, coraggio, creatività, appunto, fuoco! Altro che oppio dei popoli! Dio non è neutrale: vittime o carnefici non sono la stessa cosa davanti a lui, tra ricchi e poveri, Dio ha delle preferenze e si schiera. Il Dio di Gesù Cristo non porta la falsa pace della neutralità o dell’inerzia, ma “ascolta il gemito” di chi lo invoca e prende posizione contro i faraoni di sempre. La divisione che porta evoca il coraggio di esporsi e lottare contro il male. Perché si può uccidere anche stando alla finestra, muti davanti al grido dei poveri e di madre terra, mentre soffiano il vento dell’odio, si chiudono approdi, si alzano muri, avanza la corruzione. Non si può restarsene inerti a contemplare lo spettacolo della vita che ci scorre a fianco, senza alzarsi a lottare contro la morte e ogni forma di morte. Altrimenti il male si fa sempre più arrogante e legittimato. Quel fuoco è l’alta temperatura morale che rende possibili le trasformazioni positive del cuore e della storia. Come quella fiammella che a Pentecoste si è posata sul capo di ogni discepolo e ha sposato una originalità propria, ha illuminato una genialità diversa per ciascuno. Abbiamo bisogno estremo di discepoli geniali, con fuoco. È questo che intende papa Francesco quando nella Evangelii Gaudium invita i credenti a essere creativi, nella missione, nella pastorale, nel linguaggio. Propone instancabilmente non l’omologazione, ma la creatività; invoca non l’obbedienza ma l’originalità dei cristiani. Fino a suggerire di non temere eventuali conflitti che ne possono seguire perché senza conflitto non c’è passione (EG 226). Un invito pieno di energia a non seguire il pensiero dominante, a non accodarci alla maggioranza o ai sondaggi d’opinione. Essere discepoli significa essere profeti: invito forte, anche se molte volte disatteso! Essere profeti anche scomodi, per Gesù significa far divampare quella goccia di fuoco che lo Spirito ha seminato in ogni vivente. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XIX Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 12, 32-48)

4 Agosto 2022 - Il messaggio centrale del Vangelo di questa domenica è la costante vigilanza, necessaria per ogni discepolo. Rispetto a cosa? Per chi? Rispetto al primato di Dio e al suo Regno. “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno”, dice Gesù. A Dio è piaciuto consegnare il Suo Regno, l’unico vero tesoro, ai discepoli. Per quel tesoro, Gesù raccomanda di disfarsi in fretta dei beni esposti alla minaccia dei ladri e del tempo che passa e consuma. È necessario, invece, conseguire un tesoro che non si consuma, guidati dalla fiducia incrollabile che il Padre non lascerà mai mancare al suo piccolo gregge il necessario per vivere. Strettamente collegata all’impegno di disfarsi dei beni materiali, Gesù pone l’esigenza della vigilanza per attendere, svegli e pazienti, un tempo oltre quello presente: la vita eterna. Come fanno quei servi che attendono il padrone che torna dalle nozze, non per dovere o paura, ma perché desiderato. E quel ‘desiderato’, Dio, quando viene, si pone a servizio della felicità dei suoi e della loro pienezza di vita! Immagine clamorosa, che solo Gesù ha osato: Dio servo degli uomini! Una fortuna ed una beatitudine che non deriva dalla fedeltà o dalla bravura dei servi, ma da un Dio così! Intanto Pietro, sempre lui, spera che Gesù abbia detto queste cose per tutti, visto che lui e i suoi sodali hanno molte ragioni per pensare che sono tra i più convinti e generosi discepoli del Maestro; e, quindi, se la parabola è per tutti, loro possono stare tranquilli. Sono già tra i migliori. Sono gli altri che eventualmente devono imparare ad essere più vigilanti e generosi nel compiere i loro doveri. Gesù delude le attese di Pietro. E parla di un amministratore fedele e saggio che è pronto a consegnare al padrone una casa in ordine in qualunque momento il padrone lo chiami a rapporto. Ribadisce la costante vigilanza e mette in evidenza cosa scatena anche il solo pensare che “il padrone tarda a venire”. Esso provoca l’atteggiamento dove il bene divino diventa occasione di tristezza e non di gioia e da cui scaturiscono noia, tristezza, mancanza di concentrazione, ozio, indolenza e continua ricerca di distrazioni. L’amministratore della parabola, investito da questo vizio, continua Gesù, comincia a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi. questo fa l’accidia. Alle nostre latitudini, la spia di questo atteggiamento sono le domande: “chi me lo fa fare? A cosa serve? Ne vale la pena?”. Proprio per non lasciarsi vincere da questo vizio che paralizza lo spirito e intristisce la vita, Gesù esorta ripetutamente alla vigilanza. La fortuna di ogni discepolo, conclude il Vangelo sta proprio nell’avere un padrone così, pieno di fiducia verso i suoi, che non nutre sospetti, che affida la casa, le chiavi, le persone. È la Sua fiducia che conquista, commuove, e chiede una risposta. A ciascuno secondo le sue responsabilità: “a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. Esse non sono per tutti uguali. Non bisogna regolarsi sugli altri per verificare la propria vita cristiana. L’unico criterio valido è rappresentato da Gesù e dal suo vangelo. Vigilanza e generosità sono richieste a tutti, sarà il Signore, poi, a valutare come ciascuno avrà messo a frutto i tanti o i pochi doni ricevuti. Il molto ricevuto non deve essere considerato come un peso o una sfortuna, ma come una grande grazia. Il vangelo è lieta novella che rende la vita bella e piena, e non annuncio triste, deludente e noioso. E, come ogni cosa bella, esige impegno e serietà per poter essere raggiunta ed apprezzata. (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: XVIII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 12,13-21)

28 Luglio 2022 - La pagina del Vangelo di questa domenica, piuttosto diretta, non ha bisogno di interpretazioni: “fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” (…). È necessario arricchirsi davanti a Dio! Nel Vangelo le regole che riguardano la ricchezza si possono ridurre essenzialmente a due soltanto: non accumulare; quello che hai ce l’hai per condividerlo. Ma, visto che conquistare dei beni è un’aspirazione umana fondamentalmente e che i beni sono comunque necessari per una giusta esistenza, Gesù, con la parabola del ricco stolto,  mette in guardia da un atteggiamento che allontana da Dio e dal prossimo e non assicura affatto dalla miseria, dalla vecchiaia e dalla morte. Tutt’altro. L’accumulo delle ricchezze è il contrario del Padre Nostro. In quella preghiera non si dice mai ‘io’, ‘mio’, ma sempre ‘tu e tuo; noi e nostro’: la radice del mondo nuovo, inaugurato da Gesù. L’uomo ricco della parabola, invece, è tutto un ‘io-mio’ ed è solo al centro del suo deserto di relazioni: “i miei beni, i miei raccolti, i miei magazzini, me stesso, anima mia; demolirò, costruirò, raccoglierò...”. Non ha un nome proprio, perché il denaro ha mangiato la sua anima, si è impossessato di lui, è diventato la sua stessa identità: è ‘un ricco’ senza identità visto che nessuno entra nel suo orizzonte e non c’è alcun ‘tu’ a cui rivolgersi. Uomo senza aperture, senza brecce e senza abbracci.  Questa non è vita. E, non a caso, Gesù la mette in correlazione con la sorte di tutti: la morte. “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta indietro la tua vita”; ma quell'uomo ha già allevato e nutrito la morte dentro di sé con le sue scelte. È già morto agli altri, e gli altri per lui. La morte ha già fatto il nido nella sua casa. Perché, sottolinea la parabola, la sua vita non dipende dai suoi beni, non dipende da ciò che uno ha, ma da ciò che uno dà. La vera ricchezza e la vera vita sono solo di ciò che si dà via. Alla fine dei giorni, sulla colonna dell’avere resta soltanto ciò che avremo avuto il coraggio di mettere nella colonna del dare. Chi accumula ‘per sé’, invece, lentamente muore. Arricchire davanti a Dio significa ricevere vita in cambio dell’amore donato. Prendersi cura della felicità di qualcuno, aiuta Dio a prendersi cura della propria. (p. Gaetano Saracino)    

Vangelo Migrante: XVII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 11,1-13)

21 Luglio 2022 - Gesù dedicava tempi prolungati alla preghiera. I discepoli lo ammiravano ma allo stesso tempo constatavano la loro incapacità di pregare. Di qui il desiderio di imparare a pregare: “Signore, insegnaci a pregare”. Gesù accoglie la richiesta e insegna loro il Padre nostro. Non tanto la ripetizione di una formula (i discepoli ne conoscevano già molte) ma innanzitutto l’atteggiamento indispensabile ad ogni preghiera, il modo autentico per stare dinanzi a Dio; quello da cui scaturiscono tutte le forme di preghiera: l’ascolto, la richiesta di perdono, il ringraziamento e la lode, la domanda. Padre: immette nel clima del rapporto tra padre e figlio. Padre è la parola che ci fa riconoscere Suoi figli e fratelli tra noi; libera dalla paura, dalla solitudine, dal rimorso, dal peccato, dal fallimento; è la certezza di essere amati anche quando crolla tutto il mondo attorno a noi, anche quando siamo noi a crollare. Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno sono le cose più importanti da cercare e praticare. L’opera di santificazione del suo nome e la costruzione del suo regno, producono un atteggiamento interiore di grande serenità e, al contempo, la disponibilità a fare la propria parte, ad offrire una piccola ma importante collaborazione. Il Padre non abbandonerà mai questo suo compito: è all’altezza ed è sempre all’opera. Sappiamo già che il suo regno è destinato a compiersi in pienezza. Ma vuole farlo con chi prega! Il pane, il perdono, le prove: Le tre domande che seguono danno concretezza alla fiducia nel Padre e all’impegno di collaborazione da parte dell’orante. Il pane indica tutte le realtà indispensabili per vivere: il cibo, il vestito, la casa, ma anche il rispetto, l’amicizia, la stima… Chiederlo a Dio vuol dire riconoscere che il creato, la vita, la nostra esistenza dipendono da lui. Chiedere a Dio il pane vuol dire anche assumere le nostre responsabilità per guadagnarci, attraverso le nostre capacità e il nostro lavoro, il cibo e quanto serve per vivere in modo dignitoso. Per se stessi e per i fratelli. I torti, le liti, le offese inevitabilmente avvelenano le relazioni tra gli uomini. Inutile sognare su questa terra un regno perfetto, dove tutto questo possa essere definitivamente superato. Esiste solo la strada del perdono per ristabilire la fraternità. La domanda di non abbandonarci alla tentazione, di renderci forti nel tempo della prova indica soprattutto il pericolo di non fidarsi di Gesù nelle vicende della vita per lasciarsi guidare dai desideri superficiali e in apparenza capaci di promettere un grande piacere. L’interesse personale e il benessere immediato rischiano di diventare i criteri fondamentali che guidano l’esistenza: il ‘pane’ solo per sé e l’incapacità di perdonare sono in concreto le forme più comuni della tentazione. Dopo le parole e gli atteggiamenti della preghiera, Gesù segnala con fermezza, attraverso due brevi parabole, la necessità di essere insistenti nella preghiera. La fiducia ostinata con la quale Gesù ci chiede di rivolgerci a Dio, ci ricorda che la preghiera non serve tanto per cambiare la realtà, ma per cambiare noi stessi. Bussare, chiedere, cercare, insistere non serve per spiegare meglio a Dio quello di cui abbiamo bisogno, ma per imparare a guardare la realtà con gli occhi di Dio. Ecco spiegata la preghiera e la sua necessità: l’esercizio continuo della nostra conversione alla volontà di Dio. Una pratica laboriosa e faticosa. Ma non impossibile. Dinanzi a un Dio che non sta certo a guardare e basta! (p. Gaetano Saracino)      

Vangelo Migrante: XVI Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 10,38-42)

15 Luglio 2022 - La storia del Vangelo di questa domenica la conosciamo bene: è quella di Marta e Maria. Gesù e i suoi discepoli sono in viaggio e Marta lo ospitò. Marta ha una sorella di nome Maria ma lei è la primogenita, la generosa ma anche la pratica, l’operativa e, se vogliamo, la servizievole. Lei ospita Gesù, e sua sorella non si mette a collaborare con lei. Dal dialogo che segue con Gesù, comprendiamo che Marta ha un problema: è arrabbiata e, per questo, rimprovera il Signore perché nelle cose che sta dicendo non si interessa di quella ingiustizia domestica. E interviene sulla Sua predica borbottando: “dille che mi aiuti!” Ha ospitato il Signore ma resta nel suo mondo: il Signore deve fare (e dire) quello che dice lei. Gesù le dà una risposta pungente e profonda allo stesso tempo: ci sono altre cose che contano; quelle a cui lei dà importanza, sono ‘a termine’ e, per questo, secondarie. Prima o poi le saranno tolte. Come Marta, anche per noi un Signore che non risponde ai nostri schemi, compreso il nostro senso di giustizia, … sta sbagliando. In chi non vede altro, questo fa rabbia. Tanta. Ma questo non è lo schema del Vangelo. Non è l’assoluto per la vita eterna. Con Gesù i conti non tornano mai. Gesù non è venuto a portare giustizia (un tanto ciascuno) ma è venuto a portare la parte migliore di ogni cosa, a tutti. Le aspettative di Marta sono deluse. Ma ciò che è più grave è che con il suo gesto non accoglie il Signore. Lo alloggia. Accogliere è anche ascoltare; e lei, invece, continua a parlare … È un rischio: si può dare spazio al Signore, essere operativi per Lui ma non lasciarlo parlare. Quando il Signore arriva può chiedere anche qualcosa di diverso da quello che noi pensiamo; qualcosa che potremmo non ritenere importante. Il Signore può visitarci anche come accade con alcune ‘prove’: quante volte ci accorgiamo che potevano essere un’opportunità per cambiare il nostro cuore e, invece, essendoci concentrati sulle soluzioni, non abbiamo permesso che ci parlassero e ci cambiassero. È un Vangelo che mette in crisi uno stile efficentista ed efficace, anche nell’accoglienza. Un’ospitalità solo organizzativa che non prevede l’ascolto … oltre a non esser accogliente rischia anche di essere dannosa. Il problema quel giorno non era preparare il pranzo o fare bella figura ma era accogliere e ascoltare Gesù.  Forse Marta se n’è accorta solo dopo che Gesù se n’è andato! Ma per fortuna Gesù tornerà. Perché torna sempre. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XIV Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 10,1-12.17-20)

30 Giugno 2022 - Continua il viaggio alla sequela di Gesù, iniziato domenica scorsa. Il rapporto con Gesù è quello di un discepolo che si lascia guidare ad una vita che non ha e non può darsi da solo. Come arriva questa vita? è necessario qualcuno che la porti, qualcuno che la annunci e qualcuno che la accolga. A portarla è Gesù. Nel Vangelo di questa domenica Egli dà le istruzioni ad altri 72 discepoli inviati “davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”. In esse sono contenute le condizioni dell’annuncio che, a loro volta, sono anche le caratteristiche di chi annuncia. Gli operai chiamati, sono mandati come agnelli in mezzo ai lupi, sono istruiti a non portare con sé né borsa, né sacca, né sandali e a non fermarsi a salutare nessuno lungo la strada. Il loro ingresso in ogni casa sia fatta solo con il saluto della ‘pace’… E i discepoli partono. Vivono questa esperienza e tornano entusiasti perché hanno visto l’efficacia di questa parola. Ma Gesù sembra smontare il loro ‘successo’ perché non è quello il punto. Come a dire: “anche se avete dovuto combattere contro il demonio e avete vinto, non è questa la cosa più importante che avete fatto. Il punto è che voi siete per il cielo: il vostro nome è scritto nei cieli”. È lì la fonte della missione ed è da lì che si riceve la grazia necessaria per compierla. Si è mandati. La trasparenza del discepolo è necessaria perché si possa riconoscere, attraverso di lui, ovunque, la persona di Gesù. Questo è quello che vede e che serve a chi riceve l’annuncio, la vita da Gesù: il discepolo non è un lupo ma un agnello; non è un vincente ma un fragile. Non è un comunicatore che si impone rispondendo all’impulso del fascino delle cose terrene. Quell’annuncio non lo prevede. I discepoli sono addirittura persone ‘rifiutabili’. La loro forza non sono le cose materiali: non hanno soldi (la borsa) non hanno pane (sacca) ed hanno una sola strada da compiere (non hanno sandali). Sono persone che rinunciano ai propri progetti e non portano progetti alternativi. Stupisce il fatto che Gesù non raccomanda gesti d’amore. Perché? Perché non serve essere uomini di Cristo per farlo. Aiutare è lo specifico di tutti gli uomini e non ‘solo’ dei discepoli. Ogni uomo sa a priori, comunque, di doversi occupare dei problemi materiali e dei bisogni degli altri. Il problema è che questo non basta. L’uomo ha bisogno di qualcosa che è oltre i soldi e il pane; qualcosa che è prioritario. La semplicità, l’essenzialità e l’unitarietà dell’annuncio sono il segno che chi porta il Vangelo non viene per le futilità. Una sola è la parola che Gesù mette sulla loro bocca, all’ingresso in una casa: “pace!” Il loro saluto non è un convenevole ma la ‘pace’. Parola usata e abusata: la si chiede a chi non ce l’ha o la si intende come un insieme di accordi e compromessi, una ‘non guerra; e, invece la pace è di Dio, viene dal cielo e solo Lui può darla. Ed è tutto quello di cui gli uomini hanno bisogno. Se il Vangelo ci semplifica su quello che conta veramente, il primo frutto è la pace. Per chi la offre e per chi la riceve! (P. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: Santissimo Corpo e Sangue di Cristo | Vangelo (Lc 9,11-17)

16 Giugno 2022 - Né a noi né a Dio è bastato darci solo la sua Parola. L’uomo ha così tanta fame che ha bisogno anche della Sua carne e del Suo sangue. E Dio non ha tenuto per sé né il Suo corpo “prendete e mangiate”; nè il Suo sangue “prendete e bevete”; e nemmeno il Suo futuro: “ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. La festa del Corpo e Sangue del Signore, questa domenica è raccontata dal Vangelo attraverso il segno del pane che non finisce. I dodici sono appena tornati dalla missione, Gesù li accoglie e li porta in disparte. Ma la gente di Betsaida li vede, accorre da loro e li stringe in un assedio che Gesù non può e non vuole congedare, diversamente da come i discepoli gli chiedono di fare. Allora è Lui a riprendere la missione dei Dodici: “prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”. In queste parole c’è tutto l’uomo: creatura che ha bisogno di Dio, di assoluto, di cure … e di pane; c’è tutta la missione di Gesù e della Sua Chiesa: insegnare, guarire, nutrire. E c’è il nome di Dio: Colui che si prende cura di tutti e di ciascuno. Anche di ciascuno di noi, una di quelle cinquemila persone in una sera sospesa, la sera della vita, il tempo in cui si finalizza tutta l’esistenza: “il giorno cominciava a declinare”.  Gli apostoli hanno a cuore la situazione, si preoccupano della gente e di Gesù, ma non hanno soluzioni da offrire: che ognuno si risolva i suoi problemi da solo. Il loro cuore, che pure è buono, non vede oltre l’ognuno per sé, oltre la solitudine. Ma Gesù non li ascolta, Lui non ha mai mandato via nessuno. Vuole fare di quei bisogni e di quel luogo deserto, e di ogni deserto, una casa, dove si condividono pane e sogni. Per questo risponde: “voi stessi date loro da mangiare”. Gli apostoli non possono, non sono in grado, hanno soltanto cinque pani e due pesciolini. Ma a Gesù non interessa la quantità, e passa subito a un’altra logica: sposta l’attenzione da che cosa mangiare a come mangiare: “fateli sedere a gruppi”; come a dire: fate tavolate, create mense comuni, comunità dove ognuno possa ascoltare la fame dell’altro e faccia circolare il pane che avrà fra le mani. Infatti non sarà lui a distribuire, ma i discepoli e, a sua volta, l’intera comunità. Il gioco divino, al quale in quella sera tutti partecipano, non è la moltiplicazione, ma la condivisione. In questo quel pane è una benedizione e non una guerra. Il mistero della Sua presenza reale nel pane Eucaristico, da accogliere ed adorare, non può fare a meno di una mensa dove spezzarlo, condividerlo e distribuirlo. Solo così ci sarà dato di vedere anche i miracoli che fa. Il primo: sazia tutti! Non finisce mai! Il secondo: avanza! Il popolo di Dio li vede e non smette di adorare e ringraziare! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: Santissima Trinità | Vangelo (Gv 16,12-15)

9 Giugno 2022 - La Pentecoste porta a termine la rivelazione di Dio Padre, Figlio e Spirito santo. Oggi il mistero della Trinità ci dice che quella ‘sequenza’ non è separata ma unita. Una questione, si sa, non di primissima comprensione, forse perché è necessaria un’operazione di astrazione per far coincidere l’uno e il tre … È il Vangelo che, come sempre, ci apre la strada al mistero di Dio. Innanzitutto dice che esiste una verità tutta intera sulla nostra vita e va imparata a partire dalla meta: “lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. Quali sono queste cose future? Nella vita, tutti aneliamo alla relazione, allo stare con gli altri ed essere uniti: mi sento veramente uomo quando amo e sono amato, quando accolgo e sono accolto. È la stessa verità della Vita del Padre e del Figlio, consegnata allo Spirito perché la annunci. Il sogno di Dio per l’uomo fatto a sua immagine e somiglianza e la Vita stessa di Dio-Trinità, coincidono. Se guardiamo bene, Adamo non è stato fatto a immagine del Dio che crea, né a immagine del Verbo che era da principio presso Dio; e non fu fatto nemmeno ad immagine dello Spirito che si librava sulle acque. Molto di più, Adamo ed Eva sono stati fatti a immagine della comunione, del legame d’amore e di condivisione del Padre, del Figlio e dello Spirito. C’è un cromosoma divino in noi ed è la nostra identità più profonda: la relazione, un legame oltre ogni solitudine. Se viene meno, la vita pesa e fa paura perché è contro la nostra vera natura. Se Dio è Dio solo in questa comunione, allora anche l’uomo sarà uomo solo in una analoga relazione d’amore. E questa è la verità tutta intera. È intera non perché ci dice solo come stanno le cose ma perché nelle cose ci mette qualcuno. La verità, infatti, non è solo un insieme di cose misurabili o fattuali. Perché sia compresa è necessario entrare in relazione con il reaale a cui essa si riferisce. Un conto è conoscere i dati biometrici di una persona, un conto è entrare in relazione con essa (stringerla, abbracciarla). Per questo lo Spirito non insegna un contenuto ma un modo di essere. Camminare verso un concetto è diverso dal camminare verso qualcuno. Perché? Perché comporta essere qualcuno. Questo scambio di relazioni necessarie per esistere e per comprendere il reale, sono il riflesso della Trinità: non un circuito chiuso, ma un flusso aperto che riversa continuamente amore, verità, intelligenza. Mi disse una volta un monaco: al termine di una giornata puoi anche non aver mai pensato a Dio, mai pronunciato il suo nome. Ma se hai creato legami, se hai procurato gioia a qualcuno, se hai portato il tuo mattone di comunione, tu hai fatto la più bella professione di fede nella Trinità. Se Dio è Trinità, noi ne siamo la copia più autentica. Ci ha fatti così! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: Ascensione del Signore | Vangelo (Lc 24,46-53)

26 Maggio 2022 - Ascensione è la navigazione del cuore, che conduce dalla chiusura in te, all’amore che abbraccia l’universo. Così papa Benedetto definisce questo mistero a cui Gesù chiama gli apostoli, un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e ogni fedele. Li spinge a pensare in grande, a guardare lontano, ad essere il racconto di Dio “a tutti i popoli”. La liturgia della parola di questa domenica propone un duplice racconto dell’Ascensione attinto dall’unica opera dell’evangelista Luca divisa in due parti: il Vangelo e gli Atti degli Apostoli. “Mentre lo guardavano, fu elevato in alto”. E ancora: “Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. I racconti, pur con particolari diversi, non si contraddicono. Entrambi non considerano l’Ascensione come l’addio di Gesù ai suoi discepoli ma come sigillo del compimento del Suo ministero in mezzo a loro. Terminata la missione di Gesù, comincia quella degli apostoli e dei discepoli: “di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra”. L’Ascensione è il passaggio dalla missione di Gesù alla missione della Chiesa. Sono i discepoli in prima persona che devono farsi carico dell’evangelizzazione. Eloquente è quello che si legge nel racconto degli Atti: “uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Nell’Ascensione si stampa nella mente e nel cuore del discepolo la meta ultima della sua fede e della vita della Chiesa: l’avvento, il ritorno di Gesù, fonte di gioia e sostegno di speranza. Ma allo stesso tempo gli viene consegnato un monito: non lasciarsi incantare in una vana contemplazione del cielo. Vana è la contemplazione che non porta ad impegnarsi per vivere quotidiane relazioni di fraternità e di comunione. Vana è la contemplazione che non si occupa del bene comune. Vana è anche la contemplazione di chi pretende che questa terra sia già il cielo. La vicinanza di Dio, attraverso l’azione dello Spirito Santo, non si sostituisce all’azione dei discepoli, ma contribuisce in maniera essenziale a renderla efficace. Essa è presente nel profondo delle cose. Nel mondo non esiste solo la forza di gravità verso il basso, ma anche una forza di gravità verso l’alto: siamo eretti noi, lo sono gli alberi, i fiori, la fiamma, sale l’acqua delle maree e la lava dei vulcani. Una nostalgia di cielo. L’Ascensione annuncia un ‘oltre’: la realtà non è solo quello che si vede; in ogni cosa, anche nel patire, Dio ha immesso scintille di risurrezione, squarci di luce nel buio, crepe nei muri delle prigioni. Ed è con noi. Sempre e per sempre! (p. Gaetano Saracino)