10 Novembre 2020 - Francoforte - All’inizio di marzo è morto un mio cugino sacerdote per il Corona-virus. Ogni giorno poi chiamavo mio fratello Marco a Piacenza, anche lui malato per sapere come stava. Il 21 marzo si è fatto ricoverare perché la sua situazione respiratoria era peggiorata. A quel punto anche mia cognata era positiva. Entrambi si occupavano di mia mamma. Intanto i giorni passavano e in Germania eravamo nel blocco delle attività con le chiese chiuse. Ho detto alle mie consorelle “se va in ospedale anche mia cognata, la mia mamma a novant’anni rimane sola. Devo fare qualcosa, devo uscire da qui”. L’unico modo per arrivare da mia madre a Piacenza era prendere l’auto. Il 25 marzo dopo aver parlato con tutti, sacerdoti, superiori, comunità eccetera sono partita. Sono arrivata senza problemi alle frontiere ma a casa mi sono subito accorta che mia mamma non stava bene. Io mi sono messa in quella parte della casa con mia mamma un po’ più riservata e isolata. Abbiamo provveduto alla cura di mia cognata che aveva febbre e tanta tosse. I miei nipoti dicevano “zia, sei l’unica che può guidare la macchina per favore vai a fare la spesa”. E un giorno a far spesa, un giorno dal medico, un giorno in farmacia, le situazioni erano varie e mi prendevo cura un po’ di tutto questo. Il 31 marzo ho cominciato ad avvertire febbre e lì ho capito che potevo essere positiva anch’io e da quel giorno non solo più uscita di casa. Il 2 aprile la mia mamma venne ricoverata in geriatria a Piacenza, era positiva e cominciava ad aggravarsi. Intanto io a casa andavo avanti con Tachipirina e antibiotici, i medici ci curavano per telefono finché la situazione si è aggravata ed è venuta la dottoressa Rapacioli e un collega che mi hanno subito fatto una lastra al torace e hanno detto “Ha la polmonite, sorella, dobbiamo passare all’antivirale”. Mi hanno dato sette pastiglie rosa antivirali, grandi come confetti e mi sono detta “beh, sono sette, passerà presto” ma il terzo giorno non respiravo più, mi hanno ricoverata. In una giornata il mio polmone è peggiorato, dal 40% è sceso all’20% di attività, quindi il mio lettino è passato dalla medicina d’urgenza alla rianimazione, era il 10 aprile, Venerdì santo.
Mentre mi trasportavano in rianimazione vedevo dalle vetrate la Cupola della Basilica di Santa Maria di Campania e ho detto “Maria, va avanti tu”, non sapevo in che condizioni fossi, che cosa mi stavano facendo. Il virus lavora sul polmone in modo devastante e molto velocemente. Arrivata in rianimazione la dottoressa Savi mi guardò e disse: “Lei non ha alternative che essere intubata. Si tolga gli anelli e si prepari, in tre minuti deve essere intubata”. Ed è stata una seconda consegna, la prima l’ho fatta alla Madonna e la seconda l’ho fatta a questa dottoressa che è stata molto autorevole e precisa. Ed era il pomeriggio del venerdì santo. Mi hanno messo in coma farmacologico per nove giorni, poi hanno cominciato a ridurre la somministrazione del farmaco per il risveglio. E quella mattina aprendo gli occhi vedevo sulla parete di fronte al mio letto l’immagine di una madonnina e dicevo “Maria, come andiamo a finire qua? Non ho la forza di battere ciglio”. Dopo tutti questi giorni non sapevo dove mi trovavo, vedevo solo questa madonnina e dialogavo con lei e con Gesù. Ho dato la vita a Gesù e non la voglio ritirare – “Gesù, la vita è tua e me la stai prendendo”. Mi sembrava davvero che la mia vita fosse un gradino in discesa. Poi proseguendo nella preghiera e nella riflessione guardavo la madonnina “Maria, solo tu puoi andare avanti, solo tu mi puoi salvare da queste acque, troppo grave è la mia situazione”. Mi venne in mente un’immagine che una famiglia mi mostrò tornando dalla Terrasanta, quella della piscina di Betzaeta, vedendo quella foto, allora, scoppiai a piangere. La famiglia mi regalò la foto che mi ricordava l’episodio del Vangelo dove chiede al paralitico “Vuoi guarire?”.
Cominciavo a essere consapevole che la grazia della guarigione che avvenne a quell’uomo vicino alla piscina di Siloe in quel momento poteva avvenire anche per me, in quel momento ero io la paralitica. “Gesù, ascolta, chi mi può salvare, chi mi può immergere in questa acqua di guarigione?”. Ho sentito che Maria avrebbe interceduto! Così ho promesso che se fossi guarita sarei andata a Loreto a piedi per ringraziare. Immediatamente nella mia mente è risuonato questo versetto biblico: “e sulle alture mi fa camminare” (Ab 3, 16). Ho capito di avercela fatta, di aver ricevuto la grazia della guarigione. Verso le otto di sera sento la voce di un’infermiera che dice “Suor Giuliana, sono l’infermiera incaricata del risveglio, mi sente?”. La sentivo ma non capivo dov’ero. “Si ricorda che è stata intubata, che è in rianimazione, si ricorda?”. Cominciavo a ricordare. “Ha male?” mi chiedeva. Avevo male ma non potevo parlare, mi toccava le mani per chiedere un segno convenzionale e capìi che mi facevano male i lacci che tenevano le braccia legate alle spranghe del letto. Tutti i ricoverati in rianimazione venivano legati al letto per evitare che si strappassero i tubi. L’infermiera allora disse “slegatela”.
Su quel lettino, ero il numero nove della rianimazione, avevo davanti al mio letto, grandissimo l’orologio, e vedevo scattare minuto per minuto senza capire se era notte o giorno perché avevamo sempre una luce artificiale, essendo un reparto sotterraneo, e cercando di capire dal saluto che davano gli infermieri se eravamo di mattina presto, di pomeriggio; avendo dormito tanto al risveglio sono stata con gli occhi sbarrati per giorni e giorni e questo mi ha aiutata a considerare tante cose, il valore del tempo, il valore delle relazioni, a considerare il valore della preghiera e la certezza che molte persone pregavano per me, molti amici laici. Era come se un po’ in giro per il mondo ci fossero delle forze che si univano per sganciare me da quella situazione di immobilità. Ne ero così certa che mi sembrava di sentire la loro presenza lì. In particolare una signora di Napoli, Rosaria che abita vicino a Pompei, non so perché, mi sembrava che la sua mano fosse veramente stretta alla mia destra.
Riportata in medicina d’urgenza dove era rimasta tutta la mia roba ho fatto delle telefonate. La prima con la superiora di Piacenza che mi disse “Eravamo in ottocentosettanta su facebook alle tre e mezza ogni giorno unite nella preghiera per chiedere la tua guarigione”. C’erano le amiche di Padova, di Piacenza, le persone della Germania, le mie suore del Brasile, degli Stati Uniti e dell’India, appena incontrate a Roma per il Capitolo generale, sapevo che la preghiera di tutte loro era in quel momento una forza per me. Questa cosa è rimasta nel mio cuore. In tante situazioni non è la nostra forza che ci innalza che ci fa fare, che ci fa essere; è veramente la grazia della preghiera e io l’ho sentita tanto. Dopo quella telefonata mi arrivò la telefonata di Rosaria di Pompei – “Suor Giuliana, ma tu hai sentito la mia mano?” – “Rosaria, non mi dire così” – “Ma hai sentito la mia mano? Io ti ho voluta stringere forte per dirti che non ti lascio un istante”.
Il 21 aprile mi fanno uscire dalla rianimazione e spunta la dottoressa che mi ha intubato e mi disse “Si ricordi che Lei è un ottimo risultato per noi, risultato non scontato. Preghi per noi”
Mentre io uscivo dal pericolo la mia mamma moriva nell’altro ospedale. Il 25 aprile mi hanno detto che ero fuori pericolo. Il 27 io e il mio compagno di camera, Giuseppe, un vigile urbano, che anche lui ha perso la mamma mentre era in coma, siamo stati portati all’ospedale di Castel San Giovanni, dove il giorno prima era morta la mia mamma. E non ci siamo viste.
Non dovevo buttare via niente di questo dolore e del dolore di tanti altri, dovevo trasformare questo dolore in una nuova forma di evangelizzazione e così pensando durante il rientro in Germania in auto, che mi è costato fatica guidare otto ore. Ho chiesto a Gesù di farmi capire quale diversità dovevo porre nel mio ritornare in guarigione, cosa si attendeva da me, quale nuovo slancio. Non lo so ma mi sembra di percepire a distanza di riqualificare la parola di Dio che salva che rigenera. Passando in mezzo a queste prove ti accorgi che tutto non è come prima, la vita la si dona, ma in un batter d’occhio può volar via e la vita vale molto. Mi sembrava di voler cancellare ogni forma di frettolosità e di porre al centro la persona perché la persona è un tesoro così alto, così straordinario, dato da Dio, fatta a sua immagine. In assoluto la persona al primo posto, questo è ciò che mi è rimasto, cercare un equilibrio fra le richieste della missione e la qualità dell’annuncio che voglio dare che sento di dover dare alla nostra gente. (Corriere d'Italia)