8 Febbraio 2023 - Milano - Violenza e riscatto, sofferenza e speranza, solitudine e comunità: l’avventura umana e spirituale di santa Giuseppina Bakhita, suora canossiana morta a Schio (Vicenza) nel 1947, è una di quelle vicende che ci dimostrano come il Vangelo riesca a mettere insieme gli opposti e tracciare così la via della pace. I primi anni della sua esi-
stenza - era nata nel 1868 in Darfur - furono segnati dalla schiavitù: tra il 1877 e il 1882 passò da un padrone all’altro, tra atroci sofferenze e umiliazioni. Venne poi comprata dal console italiano di Karthoum, Callisto Legnani, che, una volta tornata in Italia la affidò a una famiglia di amici di Mirano (Venezia), i Michieli. Divenuta la bambinaia della loro figlia, Alice, Bakhita per un periodo – mentre i genitori si erano dovuti spostare sul Mar Rosso – venne inviata assieme alla bimba nel collegio retto dalle Canossiane a Venezia. Qui conobbe Cristo, che donò una nuova luce alla sua vita. Cominciò così per lei un nuovo cammino che l’avrebbe portato alla consacrazione. Nel
1890, dopo essere riuscita a farsi riconoscere libera cittadina italiana, ricevette il Battesimo e nel 1896 emise i voti. Visse poi il suo ministero da religiosa a Schio, dove per
50 anni, dopo un inizio non facile anche a causa del colore della sua pelle e dei pregiudizi, fu un esempio di santità umile e quotidiana. Alla fine «suor Moretta» lasciò un
segno profondo tra la gente: la vittima della violenza era diventata una testimone dell’amore e della pace di Dio. (Matteo Liut)