4 Marzo 2021 - Loreto - Fonte Avellana nelle Marche: un monastero immerso nel verde, pietre antiche intagliate a mano, una comunità silenziosa di monaci, uno spirito fondatore, quello di Pier Damiani. Ma la sua ispirazione, lui la trovava in un eremo lontano: a Gamogna, nell’Appennino tosco-emiliano.
L’antico eremo è appollaiato su un crinale, a mille metri di altezza, circondato, anzi protetto, come un tesoro da cime di montagne tutt’intorno. Quasi un nido d’aquila. Emerge dai boschi soffici, estesi, di castagni rigogliosi. Il silenzio è perfetto, verdissimo. Il silenzio, infatti, prende il colore del luogo che lo accoglie e lo sposa. Prima di arrivare, una scritta vi invita: Entrate nel silenzio. Eremo di Gamogna.
Fare silenzio è sempre un dolce invito. Non si può imporlo urlando, per non entrare in contraddizione. È un invito calmo, seducente perché è entrare in un regno: quello dell’ascolto. E il primo a mettersi in ascolto sarà proprio colui che invita gli altri a farlo. Un cammino che si fa sempre in tre fasi: la prima, quando si entra. Poi, quando lo si abita e si resta nella pace. Infine, quando si esce. Per prendere dimora nel silenzio, è vero, c’è sempre una soglia da varcare. E il cammino è verso la tua interiorità.
Nella chiesetta dell’eremo la preghiera procede solenne, regolare, melodiosa, accompagnata fuori, spesso, dal cadere precipitoso dell’acqua e da folate di vento tormentate. Splendida immagine simbolica della vita di san Pier Damiani: monaco, abate a Fonte Avellana, fondatore di quest’eremo nel 1053. Poi, cardinale, diplomatico inviato dal Papa a Milano, a Ravenna, a Faenza, per dirimere controversie o conflitti. In tempi difficili, una forza tranquilla di riforma. Parola e scritti fecondi e profondi, radicati nella preghiera e nella sete di deserto di qui. In tempi duri e tempestosi.
A qualche passo dall’eremo, un cartello in legno, vicino al bosco, in bella calligrafia, recita: San Pier Damiani, dimmi una parola. Curioso modo di interpellare un santo che nacque mille anni fa. «Ma mille anni sono come il giorno di ieri che è passato...», riecheggia qui un salmo (89,4), cantato con leggerezza invidiabile. Più avanti, un altro cartello, quasi in risposta: Beata colei che ha creduto (Lc 1,45).
Per continuare è necessario inerpicarsi per un sentiero ripidissimo. Sì, la fede è un cammino in salita, con il fiato corto, dove resistenza e fiducia sono ingredienti indispensabili. Lo comprendi qui, salendo. Alla sommità, una splendida statua di Madonna sorridente col Bambino, seduta quasi sul vuoto del dirupo: altro aspetto che parla ancora della nostra fede di credenti. Costruire sul vuoto o, meglio, sul poco. Quale immagine più vera dell’opera di Dio?
Trovarsi, così, in pieno deserto, seppure fra verdissimi Appennini dove solitudine, pioggia, vento e sole erodono ogni aspetto fugace nel corso dei tempi. Dove camminare per sentieri solitari è incontrare l’essenza delle cose. Dei tuoi sentimenti. Ma, in fondo, quest’eremo lo senti stranamente ancora abitato e avverti la presenza invisibile di una infinita processione: una moltitudine di santi eremiti, di pellegrini e di penitenti. Si snoda lungo secoli interminabili di digiuno, di ascesi e di preghiera. Corteo immenso, che coltivava quell’amore al creato, che ritrovi ancora qui, nelle pietre lavorate al cesello. Un amore ancora più grande per il Creatore, che impregna le pareti annerite della chiesa. E una passione per la semplicità, la bellezza, l’interiorità. A loro tutto serviva per affinarsi lentamente e in lunghissimi anni prepararsi all’incontro con Dio. Trasformando questo monastero solitario in una lampada di spiritualità. O una città luminosa, posta sul monte.
Un cimitero piccolo e discreto accanto all’eremo, circondato da un alto muro sbrecciato, si stende in fondo a un dolce avvallamento. Visto dall’alto, ti sembra di intuire la pietà di queste cime tutt’intorno, quasi per cullare con cura quello che resta di uomini, costruiti dal silenzio e da una lunga preghiera. Soli e abbandonati all’Assoluto. In fondo, era il loro più profondo desiderio. Riposare, un bel giorno, in pace. Respirare, finalmente, l’amore di Dio. Raggiungere il mistero dell’essere umano e del suo Creatore. Ed è sempre vero ciò che si dice: «Quello che desideri più profondamente, un giorno, avverrà...»
Ripenso, allora, alle prime parole del Libro di vita, aperto su un tavolo, in quest’eremo, quassù. «Accogli con tutto te stesso l’amore che Dio ti dona per primo. Rimani sempre ancorato a questa certezza, la sola a dare senso, forza e gioia alla tua vita. Non si allontanerà mai da te il suo amore, non verrà mai meno la sua alleanza di pace con te. Egli ha impresso il tuo nome sulle palme delle sue mani».
Parole che mi incamminano sulle orme di san Pier Damiani, che ricordava ai suoi monaci: «Se tutta la tua vita sarà un’accoglienza libera e gioiosa del suo amore, una ricerca laboriosa e paziente del suo volto, solo con il Solo, sarai come un figlio davanti a Lui».
A sera, in silenzio, questo complesso monastico mi lascia intravedere una misteriosa bellezza. Mi domando da dove provenga questo fascino segreto, se non dall’ordine morale, spirituale dei monaci. Ma l’ordine delle cose non è tanto una risposta a un comando, quanto una risposta concreta a un amore. Lo vedi, quando si ripone un oggetto, si chiude una porta. La delicatezza esprime un mettere in pratica una fratellanza e una complicità nascosta con ogni creatura. Essa fa parte di un creato, di un ordine, opera di Dio. Lo vedi dalla cura ai dettagli, alle cose, che si riflette nell’opera delle loro mani. Un amore coltivato per Dio che qui si incarna e passa dall’animo al volto, dallo spirito al corpo. Il cuore di un monaco si rivela così.
Il silenzio, poi, nella notte è sovrano. Accarezzato da una luna piena, protegge tutte le cime attorno e le vallate, che discendono con un chiarore delicato e generoso. Enormi pieghe boscose, soffici, scendono digradando verso il basso, con dense ombre nere, lunghissime. Quassù, sulla vetta, arriva qualche fruscio, ogni tanto, uno stridio isolato, un lamento di uccello notturno... E non fa che rendere, di notte, il silenzio ancora più grande. Lo sottolinea, quasi.
Poi, assistere alla nascita del sole. Oggi, una vera battaglia. Nuvole grandi, nere, distese su tutto il cielo, un vento pauroso e tremendo. Tutto fremeva sulla montagna. Quasi con forza, la luce si faceva avanti ed era un vero dramma, scritto sulle pagine immense del cielo verso levante. Il sole si mostrò, infine, più forte, con sprazzi di luci laceranti e sguainati come spade accecanti. Là dove imperavano le tenebre, la luce, finalmente! «Dove è abbondante la colpa, sovrabbonda la grazia» (Rm 5,20). Consolante verità dello sguardo di Dio per ogni vita, pur miserabile o perduta che sia.
Quest’alba tormentata, però, mi ricorda una certezza. Nascere, in fondo, è sempre una conquista. Anche quando si tratta di idee nuove, di intuizioni o di progetti che sorgono in te. «Sono nato, per nascere…» scriveva Pablo Neruda. La libertà di esistere non ti è mai regalata: è un vero combattimento. E se condotto con la forza tranquilla e misteriosa di Dio, sarà vittorioso. Sì, ancora un insegnamento di vita dall’eremo, quassù.
In fondo, tutto questo, nel nostro deserto di oggi, la pandemia, per un eremo sperduto tra i monti, resterà la sua lezione più grande. Il cuore della sua missione. (Renato Zilio – Migrantes Marche)