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Mons. Russo: “chiese sono aperte”. Per le messe “valutare situazioni”

28 Febbraio 2020 - Roma - “Bisogna valutare situazione per situazione, non si può generalizzare”. Mons. Stefano Russo, Segretario generale della CEI, ha risposto così alle domande dei giornalisti sul disagio espresso da alcuni sacerdoti e vescovi del Nord Italia per il fatto di non poter celebrare la messa, a causa delle misure precauzionali imposte dall’emergenza Coronavirus. A margine della presentazione del volume “Dio non abita più qui? Dismissione dei luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici”, in corso alla Pontificia Università Gregoriana, Mons. Russo ha precisato che “le chiese sono aperte in Italia, tranne alcune situazioni particolari dove l’emergenza sanitaria sembrerebbe aver invaso di più il territorio. In quei luoghi, particolarmente quelli dove c’è il focolaio, ci si sta attivando per attenersi alle indicazioni, c’è collaborazione con le autorità”. “L’epidemia sembra risultare meno invasiva di quanto inizialmente si pensasse, speriamo che si arrivi al più presto ad aprire tutte le chiese per le messe, almeno quelle feriali”, l’auspicio del Segretario generale della CEI. “Tenere un rapporto attivo con le autorità pubbliche e utilizzare gli spazi che ci sono per favorire la partecipazione della popolazione alla preghiera”, l’indicazione della Chiesa italiana, valutando la situazione caso per caso e utilizzando, laddove è necessario, cautele come quella di “evitare le celebrazioni nei luoghi e nei momenti più affollati”.  

Mons. Russo: “custodia e silenzio per curare l’autoreferenzialità”

19 Dicembre 2019 - Roma - “La custodia e il silenzio sono la cura perfetta per i malanni dell’autoreferenzialità”. Lo ha detto il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, questa mattina nella Messa con i giornalisti in vista del Natale. Per mons. Russo “il custode è il primo responsabile di ciò che gli viene affidato . E quindi non è tanto preoccupato della velocità con la quale dare le notizie, non è impensierito semplicemente dell’audience che queste notizie possono ottenere, ma è attento alle persone”. Una condizione in base alla quale “la comunicazione e l’informazione diventano costruttrici di ponti di umanità e di dialogo, favoriscono una comprensione a servizio anche di quanti non hanno voce, sanno porsi alla ricerca delle cause reali che tante volte sono dietro ai conflitti”. “Sanno far capire, sanno entrare nelle cause, nei contesti – ha aggiunto – e in questo modo aiutano probabilmente a costruire percorsi di pace”. Soffermandosi sul “silenzio che si fa comunicazione”, il segretario generale della Cei ha citato il messaggio di Benedetto XVI per la 46ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, sul tema “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”. “Il silenzio è la chiave di volta della comunicazione. È la radice ultima”. La via indicata è quella di “un’informazione fondata sul silenzio e sull’ascolto”. “Sono atti necessari allo svolgersi della comunicazione e prevedono, per prima cosa, quell’apertura di animo per ricevere ogni parola pronunciata e coglierne il giusto significato”. “L’ascolto e il silenzio, fondamentali per la comunicazione – ha concluso il presule -, sono fonte di relazioni vere, sempre nuove e diverse. In queste relazioni, che diventano incontro con gli altri, si sviluppa un’informazione autentica, che non è semplice trasmissione di notizie, ma soprattutto disponibilità, arricchimento reciproco, relazione”.    

Mons. Russo: i giornali cattolici “portatori di una ricchezza propria”

21 Novembre 2019 - Roma - “Presidi non contrapposti ai media nazionali, ma portatori di una ricchezza propria che qualifica e impreziosisce l’informazione di tutto ciò che, purtroppo, il più delle volte rimane ai margini”. Questo i sono oggi i settimanali cattolici secondo il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo che ha portato il suo saluto ai partecipanti alla XIX assemblea elettiva della Federazione dei Settimanali Cattolici a Roma oggi pomeriggio sul tema “Libertà di stampa e presidi di libertà”. Per mons. Russo anche il giornalismo, come ripete Papa Francesco, contribuisce alla “cultura dello scarto”. Quanto è “prezioso contro queste logiche dominanti il contributo di quella stampa che, a torto, viene considerata minore! Nella ricchezza di significati del termine ‘presidio’ – ha quindi spiegato - c’è proprio quello di ausilio in una terapia o nell’assistenza di un paziente. Piace pensare che la vostra informazione – la nostra informazione – possa contribuire a curare le ‘malattie’, spesso infettive, che alle volte privano di quei tratti indispensabili di libertà. È questione di democrazia!”. Gli “approfondimenti tematici, l’attenzione alle periferie geografiche ed esistenziali, la professionalità, la qualità dell’informazione, la vicinanza alla gente, sono gli ingredienti che rendono ciascuna testata unica, perché portatrice di una originalità propria”, ha evidenziato mons. Russo sottolineando che Non si tratta “di semplici fogli o bollettini, ma di giornali veri e propri, chiamati a integrare alla funzione informativa anche quella formativa. Queste testate hanno una prospettiva propria e originale attraverso cui assolvere la missione di organo informativo. Ciò non significa che, in quanto strumento di comunicazione, non abbiano obiettivi comuni e caratteristiche analoghe a tutti gli altri media; vuol dire piuttosto che si distinguono da essi per lo «spirito» che le anima”. Mons. Russo ha quindi parlato dei problemi e delle difficoltà che oggi vivono queste testate: “a rischio c’è la sopravvivenza dell’esperienza come per altre realtà editoriali; inutile negare una certa fatica nel trovare ricette utili. E, d’altronde, questi presidi territoriali stanno diminuendo sempre più. Non si tratta di un dato ascrivibile alle sole nostre realtà. C’è un elemento, però, che non va trascurato: l’informazione è innovazione. I settimanali, in sé e per sé, sono innovazione. E la storia ne è testimone. Ma non bisogna fermarsi al passato. Avremo futuro se saremo innovativi dentro! Anche nell’ambiente comunicativo vale il principio educativo: il soggetto è colui che dev’essere formato e insieme il più grande formatore di se stesso. La storia insegna e apre vie al futuro. La vita, anche per i media cattolici, è fatta di stagioni che sono unite dal filo rosso della speranza. Alcune si sono chiuse, altre si stanno aprendo. E certamente, nonostante le difficoltà del momento presente, non si può rinunciare alle caratteristiche essenziali del vostro essere: passione, perseveranza, professionalità, qualità”. La passione, per “continuare a ricomporre in unità ciò che è diverso, riconoscendo ad ogni diversità un suo valore che non va annullato”; la “perseveranza, perché c’è ancora un compito da svolgere e non dovranno essere le difficoltà, anche ‘interne’, a spegnere entusiasmi, idee, progetti e iniziative”; la professionalità, “patrimonio prezioso che i giornali cattolici hanno seminato, in oltre un secolo, accogliendo migliaia di giovani, preti e laici, e facendone dei giornalisti e la qualità, “per proporre un contributo serio e specifico alla completezza dell’informazione. La strada della qualità è stata da sempre segnalata da due indicazioni principali: essenzialità e fondatezza di ciò che si scrive. Quella della qualità non è una pagina già scritta, ma un impegno che continua quotidianamente!”. Verso queste testate l’attenzione della Cei è stata “costante”, “portata avanti anche nel dialogo con le Istituzioni. I Vescovi italiani non possono non sostenere e supportare la voce di coloro che, con la FISC, chiedono che venga mantenuto il sostegno a favore di questi presidi. È in gioco il pluralismo dell’informazione!”. Mons. Russo ha quindi sottolineato che l’obiettivo, come ricordava ieri il Presidente Matterella ricevendo al Quirinale il Consiglio nazionale della Federazione, è “contribuire a mantenere la formazione di coscienze libere e consapevoli di cittadini che abbiano spirito critico e capacità di valutazione, offrendo loro fatti e parametri per interpretarli in maniera tale che siano consapevolmente partecipi della vita democratica. Questo è il vero presidio della democrazia, questo è il fondamento e l’obiettivo dell’art. 21”. Parole queste che – ha detto il segretario generale della cei “non possiamo non fare nostre” e “rilanciarle con fermezza”. Da qui l’invito a “continuare a lavorare insieme per la comunità, raccontando il bene, valorizzando le opportunità offerte da questo nostro tempo, in condivisione di valori e di esperienze” non e l’esortazione ad “andare avanti con fiducia con il passo di una Chiesa in uscita che testimonia la sua bellezza e la sua passione per l’umanità”. (Raffaele Iaria)

Mons. Russo: “aprirsi alle differenze”

18 Novembre 2019 - Roma - “Migranti e religioni è un tema di grande attualità ma bisogna uscire fuori da una lettura demagogica della realtà. I fatti di questi ultimi tempi chiedono alle Chiese cristiane di rendere ragione del Vangelo e camminare fianco a fianco”. Lo ha detto oggi pomeriggio mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, aprendo a Roma il convegno “Migranti e religioni”, organizzato dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, in corso fino al 20 novembre. “Come Chiesa italiana – ha ricordato – siamo felici di favorire, supportare, sostenere e incoraggiare processi di dialogo con tutti i fratelli e sorelle delle Chiese cristiane e favorendo passi concreti”. Mons. Russo ha citato come esempio di impegno ecumenico sul tema migranti la visita di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo nei campi profughi nell’isola di Lesbo e l’appello comune del 2018 per aprire vie sicure e regolari di ingresso e corridoi umanitari, un “ecumenismo della carità” riconosciuto di recente con il Premio Nansen. I corridoi umanitari, ha precisato mons. Russo, sono “un modo sicuro per tutti, un progetto di accoglienza  e di integrazione per favorire l’incontro vero tra le persone”. “I migranti – ha detto – ci costringono a tornare alla chiamata di ogni uomo, alla vocazione” perché le “differenze non sono più significative davanti a Dio anzi diventano elemento di ricchezza. Possiamo essere noi stessi ed essere autenticamente ecumenici ed interreligiosi”. “Perpetuare la distinzione tra noi e loro non ha più senso – ha sottolineato -. I migranti sono soprattutto persone ma sono anche la parte più evidente del grande iceberg della cultura dello scarto”. A questo atteggiamento bisogna opporre una “cultura nuova fatta di incontro e lotta condivisa ad ogni emarginazione”. Perciò, bisogna “investire sull’impegno educativo per comprendere le migrazioni secondo umanità” ed evitare la “strumentalizzazione delle migrazioni” oggi evidente.  “Qualsiasi migrante – ha concluso – va considerato persona migrante e quindi va accolto, protetto, promosso e integrato. Le comunità religiose siano aperte alle differenze”.  

Mons. Russo: “razzismo e istigazione all’odio non devono trovare spazio”

31 Ottobre 2019 - Roma - “Ogni forma di razzismo e istigazione all’odio razziale non deve trovare spazio”. Lo dichiara mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, in merito all’istituzione di una Commissione monocamerale di cui è prima formatrice la senatrice a vita Liliana Segre: “Nessuna società libera e democratica può accettare di restare indifferente di fronte a episodi di antisemitismo e odio. Non solo nella Rete, dove registriamo manifestazioni sempre più diffuse di hate speech, ma anche nella vita sociale”. “È lo stesso Papa Francesco ad aver chiesto a più riprese di bandire l’antisemitismo dalla comunità umana, come ha fatto giusto un anno fa incontrando una delegazione di rabbini del Caucaso. ‘Senza una memoria viva non ci sarà futuro’, disse in quell’occasione. E di memoria viva – conclude mons. Russo – è interprete la senatrice Segre, che è stata testimone del baratro in cui l’uomo può condurre i suoi fratelli”. “Ben vengano, dunque, iniziative volte alla giustizia e alla pace sociale”, conclude il segretario generale.  

Rapporto Italiani nel Mondo. Mons. Russo: lavorare insieme contro i pregiudizi

25 Ottobre 2019 - Roma - “Interrogarsi con onestà e riflettere con rigore sulla percezione e la conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano” serve “non solo a fare memoria di sé, ma diventa motivo di migliore comprensione di chi siamo oggi e di chi vogliamo essere”. Lo ha affermato mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, intervenendo alla presentazione della XIV edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes che quest’anno contiene il focus: “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiu-dizi all’amore per il made in Italy”. “Sorprende, amareggia, incupisce – ha osservato – leggere dei tanti episodi di denigrazione ai quali gli italiani sono stati sottoposti in passato come migranti, ma amareggia ancora di più trovare episodi e appellativi oggi, rendersi conto che ancora, a volte, persistono questi atteggiamenti di discriminazione o, addirittura, ne sono nati di nuovi come nel caso della cooperazione internazionale”. A volte, ha aggiunto mons. Russo, “è la stessa Chiesa ad essere stata oggetto di tali accuse” e “oggi è al centro delle discussioni più animate proprio per il tema della mobilità”. Secondo il segretario generale della Cei, invece, “siamo chiamati a volgere il nostro sguardo e il nostro impegno verso tutti in modo uguale ricercando nuovi strumenti per guardare al migrante come soggetto in movimento all’interno di uno spazio comune che è la Madre Terra, che è di tutti e non di alcuni solamente, madre quando accoglie e matrigna quando costringe ad andare via”. “Qualsiasi sia il tipo di migrazione oggi, qualsiasi migrante si prenda in considerazione da qualsiasi angolo della Terra arrivi e in qualsiasi luogo lui voglia andare, va considerato persona migrante e, quindi, va accolto, protetto, promosso e integrato”, ha ribadito mons. Russo per il quale occorre “non calare dall’alto programmi assistenziali, ma costruire comunità che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperte alle differenze e sappiano valorizzarle”. Si tratta cioè di impegnarsi a creare “comunità radiali e circolari, dove il senso di appartenenza viene modificato e giammai cancellato, dove ogni persona possa sentirsi di appartenere non in modo esclusivo, ma possa poter dare un contributo e, allo stesso tempo, ricevere collaborazione”.

Mons. Russo al Rapporto Italiani nel Mondo: la missione della Chiesa è vivere con la gente e tra la gente

25 Ottobre 2019 - Roma – Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento di mons. Stefano Russo, Segretario Generale della CEI intervenuto questa mattina alla presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes. Se dovessi riassumere il Rapporto Italiani nel Mondo con una semplice frase direi che è un volume di domande per le quali troviamo anche le risposte. E non capita sempre, anzi succede raramente. È più semplice lanciare le situazioni problematiche e lasciarle prive della parte propositiva e costruttiva attraverso la quale si prova a superarle. Condivido con voi, perciò, alcuni degli interrogativi e relative risposte che ho rintracciato probabilmente spinto dal mio servizio quotidiano alla Conferenza Episcopale Italiana, ma sicuramente anche dal mio essere cittadino di questo Stato e di questo continente. Perché la Chiesa si interessa della mobilità umana e italiana in particolare? La missione della Chiesa è vivere con la gente e tra la gente. Un posto particolare nel cuore della Chiesa lo hanno i migranti di ogni nazionalità, al di là dei paesi da cui partono e delle terre in cui arrivano, dei percorsi migratori che compiono. Siano essi migranti economici, richiedenti asilo o rifugiati, altamente qualificati o senza qualifica che vivono da protagonisti la transnazionalità, chi oggi è attore di mobilità dà alla Chiesa l’opportunità di vivere il segno più peculiare della sua natura e cioè la "cattolicità", contribuendo efficacemente alla comunione tra i popoli e alla fraternità. L’Italia è storicamente terra di partenze. Lo era ieri e continua ad esserlo oggi. Lo vediamo dai numeri del Rapporto Italiani nel Mondo. Numeri importanti certamente, ma soprattutto, e lo abbiamo sentito, profili diversi che spronano a far di più e meglio come studiosi e operatori. Chi parte oggi tra gli italiani ha motivazioni differenti rispetto a chi partiva nel passato e a chi parte oggi, nello stesso momento storico, da altre parti del mondo. Siamo chiamati a volgere il nostro sguardo e il nostro impegno verso tutti in modo uguale ricercando nuovi strumenti per guardare al migrante come soggetto in movimento all’interno di uno spazio comune che è la Madre Terra, che è di tutti e non di alcuni solamente, madre quando accoglie e matrigna quando costringe ad andare via. «A me non piace dire “migranti” – ha detto a braccio il Papa ai fedeli durante l’Udienza generale dello scorso aprile – a me piace più dire “persone migranti” […] Migranti è un aggettivo, le persone sono sostantivi. […] Noi siamo caduti nella cultura dell’aggettivo, usiamo tanti aggettivi e dimentichiamo tante volte i sostantivi, cioè la sostanza» L’aggettivo, ha continuato il Pontefice, va legato indissolubilmente al soggetto e quindi alla persona per cui papa Francesco esorta a dire “la persona migrante” per dare dignità al racconto di una vita in cammino alla ricerca di uno stare meglio. Parlando di migranti, quindi, a qualsiasi latitudine e a partire da qualsiasi motivazione, il pensiero deve andare alla persona e dalla persona alle comunità chiamate, come indicato dal Santo Padre, ad accogliere i migranti, a proteggerli, a promuoverli e a integrarli. Erroneamente si potrebbe pensare che i quattro verbi promossi da papa Francesco riguardino solo chi arriva dalle zone più arretrate o dai paesi in conflitto, quelli che fuggono da guerre e persecuzioni o da disastri ambientali, i richiedenti asilo e protezione, i perseguitati per cause politiche o religiose. L’appello del Papa – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – si rivolge, invece, a tutti coloro che sono impegnati nella mobilità umana a favore di tutti i migranti di oggi, compresi gli italiani da tempo in emigrazione o partiti di recente. Quanto detto è diventato più chiaro con il Messaggio per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2019 scandito dal tema Non si tratta solo di migranti: qualsiasi sia il tipo di migrazione oggi, qualsiasi migrante si prenda in considerazione da qualsiasi angolo della Terra arrivi e in qualsiasi luogo lui voglia andare, va considerato persona migrante e, quindi, va accolto, protetto, promosso e integrato. Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di costruire comunità che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperte alle differenze e sappiano valorizzarle. Si tratta, nello specifico, di comunità radiali e circolari, dove il senso di appartenenza viene modificato e giammai cancellato, dove ogni persona possa sentirsi di appartenere non in modo esclusivo, ma possa poter dare un contributo e, allo stesso tempo, ricevere collaborazione. Uno scambio reciproco, dunque, nella logica del mettere a disposizione degli altri i propri carismi. Che ruolo ha la Chiesa di fronte alla sfida europea? «A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà». È questo l’incipit dell’Appello ai Liberi e forti, la pietra miliare donataci da don Luigi Sturzo cento anni fa (1919) e che ritorna prepotentemente di attualità nel nostro tempo in cui il richiamo alla necessità di un nuovo patto sociale che impegni uomini e donne che hanno a cuore il destino dell’Italia (e dell’Europa) sembra una via di uscita auspicabile e praticabile. All’interno delle pagine del volume trovate un saggio che inizia proprio citando questa ricorrenza e il Convegno internazionale tenutosi a Caltagirone a giugno u.s. dal titolo L’attualità di un impegno nuovo. Certamente don Sturzo dava priorità agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, ma la sua attualità di fronte alla sfida della nuova questione sociale che ci troviamo ad affrontare è che il suo messaggio è profondamente, intrinsecamente laico ovvero rivolto alla difesa dell’umanità in quanto incalpestabile, sacra nella sua dignità e indiscutibile nei suoi diritti per cui oggi come ieri “essere liberi e forti significa andare controcorrente, farsi difensori coraggiosi della dignità umana in ogni momento dell’esistenza: dalla maternità al lavoro, dalla scuola alla cura dei migranti” (citazione dall’intervento al Convegno del Card. Gualtiero Bassetti). Credere ancora nel progetto europeo, dunque, è vincente. Non è una questione solo sociale, ma anche economica, politica, demografica, di visione lungimirante del futuro. E poiché è del domani che si parla sono proprio i protagonisti, ovvero i giovani, a far capire quale sia, oggi, la questione. L’idea iniziale dell’Unione Europea è oggi superata nella concretezza del vivere ma non nell’ideale primigenio: le nuove generazioni, infatti, non credono e non vogliono l’Europa legata prioritariamente al piano politico e a quello finanziario. Consapevoli e complici delle reali opportunità date dalla globalizzazione, essi spingono per la realizzazione di quelli che il demografo Alessandro Rosina definisce gli Stati Uniti d’Europa dove la parte da leone è giocata, contestualmente, dalla cultura, dalla libertà e dalla centralità della persona. I giovani chiedono un’Europa migliore, più lungimirante e orientata al futuro non del solo continente europeo, ma allargato all’intero pianeta coinvolto dalla globalizzazione dei problemi e delle relative soluzioni. Faccio riferimento non solo alla questione migratoria, ma anche a quella climatica, demografica, economica. Perché un tale processo di mondializzazione sia realizzato occorre condividerlo e costruirlo insieme ai giovani e alle nuove generazioni forti dell’esperienza degli anziani sicuramente ma prestando attenzione ai guizzi di novità, alla spensieratezza e perché no? Anche alla buona e giusta dose di rischio che solo l’essere giovani sa prendersi e portarsi con sé. Quanto contano cultura e ricerca nella vita quotidiana? Sia questa la giornata da cui emerge quanto sia importante dedicare tempo, risorse, creatività allo studio. Troppe volte ascoltiamo che l’Italia è, per la ricerca, una Cenerentola rispetto ad altre nazioni europee e rispetto all’intero panorama internazionale. Pochi fondi ma non poche idee né tantomeno poco impegno. Lo riscontriamo dai tanti talenti italiani impegnati nella ricerca su tutti i campi ma fuori dei confini nazionali. E lo vediamo dalle ricerche che vengono portate avanti nonostante i più diversi ostacoli dalle accademie italiane e dagli altri luoghi preposti a questo compito. Sia questa giornata l’occasione per ribadire che un paese che cura la ricerca e lo studio, che solo una nazione che studia se stessa, la propria storia è destinata a progredire nella “corsa” alla comprensione di ciò che accade ma soprattutto a mettere a frutto le strategie migliori per superare le crisi vissute. In questa linea, proprio ieri il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricordava che “la ricerca è un motore di solidarietà e della società, un motore sempre più importante in ogni ambito della vita civile” ed anche “un aiuto concreto alle persone e alle famiglie”. Da troppi anni ormai anche dalle pagine del Rapporto Italiani nel Mondo viene posto l’accento sulle problematiche costanti e divenute più che strutturali per l’Italia: la pregnante disoccupazione; l’invecchiamento della popolazione; la grave denatalità; la mancanza di politiche d'integrazione e di sostegno alle famiglie e ai giovani che, sempre più demotivati e per troppo tempo tagliati fuori dal mondo del lavoro e dal welfare, si rivolgono all’estero; la regressione culturale che ha portato a rigurgiti xenofobi e all’individualismo più sfrenato. Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019 ci ricorda quanto lo “stare sul pezzo” sia la giusta strategia. Ogni anno si tratta di studi che non sono mai ripetitivi, perché il fenomeno migratorio come e più di ogni altro fenomeno sociale, è costretto dal mutamento, dal cambiamento, dalla trasformazione. Da sempre la Chiesa è, quindi, luogo di cultura ed è chiamata a stimolare a nuove conoscenze, chiare e corrette informazioni sui fenomeni sociali troppe volte preda di opinioni disturbate, distorte e strumentalizzate. Viviamo un tempo paradossale: gli strumenti a nostra disposizione hanno reso il mondo a portata di un click. Abbiamo sicuramente tutti molta più possibilità di conoscere la realtà, ma finiamo col lasciarci influenzare, molto più che in passato, dal sentito dire, dalle fake news a volte strumentalmente costruite per distorcere quanto vediamo intorno a noi. La Chiesa continua a studiare. Siano la multidisciplinarietà, l’apertura all’incontro con altri studiosi, il lavorare insieme i segreti del lavoro del domani su cui puntare, un metodo che non solo arricchisce il confronto teorico, ma la crescita umana al di là delle appartenenze e delle identità di ciascuno. Scopro da queste pagine cosa è il “laboratorio multiculturale professionale”, questa redazione transnazionale tra l’Italia e l’estero che si è impegnata a donarci questo lavoro. Possiamo davvero lavorare insieme per un fine comune? Diventi questo l’impegno primario per il nostro futuro. Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy è il titolo dato allo speciale di quest’anno del Rapporto Italiani nel Mondo e non poteva essere trovato tema più attuale. Interrogarsi con onestà e riflettere con rigore sulla percezione e la conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano serve non solo a fare memoria di sé, ma diventa motivo di migliore comprensione di chi siamo oggi e, auspichiamo con la lettura e i ragionamenti a partire dalle pagine qui presentate, di chi vogliamo essere. Sorprende, amareggia, incupisce leggere dei tanti episodi di denigrazione ai quali gli italiani sono stati sottoposti in passato come migranti, ma amareggia ancora di più trovare episodi e appellativi oggi, rendersi conto che ancora, a volte, persistono questi atteggiamenti di discriminazione o, addirittura, ne sono nati di nuovi come nel caso della cooperazione internazionale ad esempio. A volte è la stessa Chiesa ad essere stata oggetto di tali accuse. Oggi, non lo nascondo, è al centro delle discussioni più animate proprio per il tema della mobilità. Intervenendo a un convegno a marzo scorso dal titolo “Una strategia per l’Italia” ho ringraziato Piero Schiavazzi per la sottolineatura che ha dato della Chiesa che per lo Stato italiano “più che un ‘vincolo’ è uno ‘svincolo’, un accesso preferenziale all’autostrada della mondialità, una risorsa disponibile in casa”. «Aggiungo che a tale risorsa si può attingere con fiducia, nella consapevolezza che come Chiesa non perseguiamo né privilegi di bottega, né ambizioni velleitarie con cui sostituirci alla responsabilità delle istituzioni politiche: se a volte ci troviamo a svolgere determinati compiti è piuttosto per spirito di supplenza e non per mancanza di rispetto per la laicità dello Stato, nei confronti del quale esprimiamo la nostra piena collaborazione a sostegno dei diritti fondamentali dell’uomo e della costruzione del bene comune» (citazione presa dal discorso tenuto al convegno Limes del marzo 2019).