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Mons. Russo: “gli ostacoli verso un noi sempre più grande” possano essere “superati attraverso il riconoscimento dell’altro e del valore dell’accoglienza”

14 Dicembre 2021 - Roma - Questo Rapporto "entra nel merito della mobilità forzata, cioè quella delle persone che si confrontano sia nel loro Paese di origine sia durante il tragitto con privazioni, torture e violazioni dei diritti. Queste purtroppo sempre più spesso non cessano neanche alle porte o dentro l’Unione Europea. Mai come quest’anno c’è una contraddizione (uno scandalo) stridente e conclamata tra le parole di Papa Francesco e le immagini che ci arrivano dalla diverse frontiere marine e terrestri del nostro Continente: da un lato, l’enciclica Fratelli Tutti, il Messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato del 2021 che ispira il rapporto e i discorsi durante il recente pellegrinaggio a Cipro e in Grecia; dall’altro lato, le violenze e le umiliazioni lungo la rotta balcanica, i campi di confinamento, le navi con le persone appena salvate in mare tenute fuori dai porti, i migranti e i rifugiati bloccati al confine tra Bielorussa e Polonia tenuti a distanza con idranti e lacrimogeni". Lo ha detto questa mattina mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei in apertura della presentazione del Rapporto "Il Diritto D'Asilo" della Fondazione Migrantes. Il presule ha invitato a "non dimenticare" le numerose crisi internazionali che "generano insicurezza e costringono le persone a fuggire. Sono ancora vive nella nostra memoria le drammatiche immagini dello scorso agosto quando migliaia di cittadini afghani si accalcavano all’ingresso dell’aeroporto di Kabul nella speranza di lasciare il Paese per mettersi in salvo". Papa Francesco "ci  invita con forza a camminare insieme per raggiungere pace e giustizia e individua, proprio nell’abbattimento dei muri e nella capacità di costruire legami e ponti due degli strumenti più efficaci per edificare un futuro che non lasci indietro o nella marginalità sempre più persone e che non condanni la parte che non esclude a un male interiore che non lascia scampo: l’indifferenza" e ricorda inoltre che "proprio i muri e i fili spinati sembrano essere la cifra di questo tempo a cui però non bisogna né abituarsi né rassegnarsi. Occorre invece continuare a denunciare e provare a trovare una strada diversa". Per la Chiesa che è in Italia "stare accanto ai più deboli è una scelta che si rinnova ogni giorno nella verità e nella carità". A questo proposito mons., Russo - ricorda l’impegno nel rispondere alle grandi sfide contemporanee che coinvolgono centinaia di migliaia di rifugiati. Negli ultimi anni la Chiesa che è in Italia ha garantito oltre 700 posti di accoglienza per i profughi giunti da Kabul con i ponti aerei e, recentemente, la CEI firmato un nuovo protocollo con il Governo italiano per l’apertura di un corridoio umanitario da Iran e Pakistan per trasferire in Italia, in modo legale e sicuro, rifugiati afghani. Il segretario della cei ha concluso auspicando che “gli ostacoli verso un noi sempre più grande” possano essere "superati attraverso il riconoscimento dell’altro e del valore dell’accoglienza".  

Mons. Russo : “Chiesa italiana preoccupata per nuove emigrazioni giovanili, sia priorità”

9 Novembre 2021 -
ROMA - “La Chiesa in Italia ha in questo momento una priorità che è allo stesso tempo una preoccupazione pastorale: le nuove emigrazioni giovanili. Gli italiani emigrano oggi massicciamente e i giovani sono i protagonisti principali. Cosa siamo chiamati a fare per i tanti fedeli di lingua italiana che arrivano all’estero oggi spinti dalla necessità di trovare una realizzazione personale e lavorativa? Non basta la sola assistenza morale e spirituale. La Chiesa deve essere compagna di vita per ciascuno di loro, la parrocchia una casa”. Lo ha sottolineato oggi a Roma mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, aprendo la presentazione della XVI edizione del Rapporto italiani nel mondo 2021 curato dalla Fondazione Migrantes. “C’è un’altra Italia che non va dimenticata, della quale dobbiamo sentirci responsabili tutti, la Chiesa in Italia ma non solo – ha proseguito -. Mi riferisco agli italiani che sono all’estero da più tempo, magari in età avanzata e di quelle generazioni nate e/o cresciute all’estero ma che continuano ad avere legami profondi con il nostro Paese. Parlo delle comunità di lingua italiana più strutturate, da tempo ormai insediate in territori fuori dei confini italiani, ma che sentono forte la necessità di rinvigorire i legami rinnovando sentimenti di amicizia e affetto reciproci” . Ha perciò invitato a “lavorare per una Chiesa sinodale, preparata all’incontro, ma anche al transito del migrante perché solo una parte resta nel primo luogo raggiunto con il percorso di mobilità, molti altri continuano nella loro ‘ricerca della felicità’”. La presentazione del Rapporto “Italiani nel mondo” è quindi “occasione di incontro, dialogo e confronto anche con le istituzioni”. “Per noi è un impegno a essere pienamente in dialogo con le istituzioni, nazionali, europee e internazionali, per il benessere comune precedentemente richiamato”, ha precisato, richiamando la necessità del “riconoscimento del primato della persona sulle strutture. Un riconoscimento che si deve tradurre in agire istituzionale, in linguaggio inclusivo e non divisivo, in capacità di comunicare dando alle parole il peso che meritano”. “La persona al centro del pensiero e del nostro agire sempre – ha sottolineato -. Nonostante la pandemia, le emergenze inaspettate e le nuove sofferenze, viene sempre valorizzata la persona, in questo specifico caso, italiane e italiani in mobilità”.

Mons. Russo al corso Migrantes: rimanere con lo sguardo sulla vita delle persone

7 Luglio 2021 - Roma - "Bisogna imparare a vedere, ad andare a fondo alle cose, a non morire di superficialità e rimanere con lo sguardo sulla vita delle persone". Lo ha detto ieri sera il segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Stefano Russo, celebrando la liturgia a conclusione della seconda giornata dei lavori del corso di formazione “Linee di pastorale migratoria“ promosso dalla Fondazione Migrantes e al quale partecipano circa 50 persone tra nuovi direttori diocesani Migrantes, nuovi cappellani etnici e sacerdoti che si preparano a svolgere il proprio ministero di accompagnamento con gli italiani che vivono all’estero. Per mons, Russo fin quando tutti noi, nei nostri servizi ecclesiali, "sapremo guardare e vedere le folle, i loro bisogni, le loro stanchezze, il loro fiato grosso, allora l'azione ecclesiale  avrà un senso, altrimenti tutto rischia di essere una specie di cerimonia fredda e lontana dalla vita di tutti".  Il presule ha voluto anche sottolineare che l’Eucaristia celebrata dentro convegni o all’interno di corsi di formazione dice “lo stile dei nostri incontri. Ci muoviamo, organizziamo assemblee dei corsi di formazione dando lo specifico taglio di credenti in Gesù. Lasciamo - ha quindi aggiunto - le nostre case le nostre cose, anche le nostre piccole comodità, per dare spazio nella nostra vita all’azione di Gesù. Non sia questo corso di formazione solo una specie di aggiornamento sulle cose da fare ma diventi per voi, per tutti  un luogo dove conoscere e servire Gesù in modo nuovo, più appassionato, alimentato anche dalle testimonianze e dalle tante cose che avete sentito fino a questo momento e che sentirete nei prossimi giorni. Tutti noi abbiamo imparato qualcosa non solo perché qualcuno ce le ha spiegate ma perché abbiamo visto e sperimentato che quelle stesse cose dette, ripetute, spiegate, potevano essere poi realmente fatte". Mons. Russo ha sottolineato anche l’importanza delle parole nuove, di parole “mai dett: riuscire a dare parole perché tutti possono capire. Portare l'annuncio del Vangelo con le parole del vostro gruppo etnico perché tutti possono accoglierlo". (Raffaele Iaria)

CEI, Mons. Russo: “Ripartiamo dall’ascolto”

24 Maggio 2021 - Roma - La stagione sinodale, la sfida educativa, la crisi prodotta dal Covid, il Pnrr. Mons. Stefano Russo, Segretario generale della CEI, in dialogo con i direttori dei media Cei: è il momento di mettere alla prova l’unità del Paese in una prospettiva di comunione: “Va reso ancora più chiaro che la Chiesa annuncia prendendosi cura delle persone. Parlare con parresia e ascoltare con umiltà sono le coordinate per evitare il rischio che il Sinodo si trasformi in ‘un bel Parlamento cattolico’”. E aggiunge: “Sono convinto che il laicato cattolico può dare un contributo straordinario anche in questa stagione particolare. Riferirsi sempre a un passato che non c’è più, rischia di farci perdere di vista la necessità di un protagonismo oggi”. Eccellenza, i vescovi italiani tornano a incontrarsi di persona in assemblea generale dopo la pausa forzata dovuta al Covid. Con quale spirito e con quali attese? È con gioia che ci ritroviamo dopo così tanto tempo. Portiamo con noi le sofferenze e le istanze delle comunità dopo un anno terribile segnato da una pandemia che, in questo momento, sembra allentare la sua morsa. Portiamo in Assemblea le attese di chi non ha smesso di sperare, di chi ha guardato alla Chiesa come a un sostegno e a una luce, di chi ci interpella sulle nuove sfide dell’evangelizzazione. Allo stesso tempo noi Vescovi arriviamo con un mandato preciso, conferitoci dal Papa: avviare un cammino sinodale. Un impegno che è responsabilità e che ci motiva ancora di più in questa occasione di confronto senza mediazioni digitali. L’assemblea ha come tema “Annunciare il Vangelo in un tempo di rinascita. Per avviare un cammino sinodale”. Partiamo dalla prima parte: quali sono le coordinate indispensabili dell’annuncio in un periodo come il nostro segnato dalla pandemia? Si tratta di tornare a tessere la trama delle relazioni personali. Il Vangelo che annunciamo non è semplicemente un contenuto, ma è una relazione che salva. È necessario rendere ancora più chiaro che la Chiesa annuncia prendendosi cura delle persone, proiettandosi al di fuori di sé soprattutto verso quelle che il Papa chiama le “periferie esistenziali”. La questione degli strumenti dell’annuncio viene dopo: in questo senso è importante anche saper utilizzare con sapienza i nuovi mezzi di comunicazione, di cui la pandemia ha messo in evidenza la particolare utilità. Vedo in questo un riferimento a quel processo di riforma cui il Papa, in diverse occasioni, ha invitato tutta la Chiesa: è un ritorno all’essenziale, ossia all’annuncio di Cristo e all’incontro con la sua Persona. La riforma, allora, non è solo richiesta per reagire alle difficoltà del tempo presente ma per essere sempre più fedeli al mandato del Signore. Queste coordinate andranno declinate nel cammino sinodale. Il Papa, nel recente discorso all’Azione Cattolica ha già offerto alcune indicazioni concrete. Come va tradotto, ad esempio, l’accento posto su un cammino che deve cominciare dal basso? Il Papa sottolinea una dinamica che fa parte dell’esperienza della Chiesa primitiva e che il Vaticano II ci ha riconsegnato quando ha parlato della Chiesa come popolo di Dio. Il “cammino dal basso” di cui parla Francesco si pone in questo solco e fa emergere la natura più vera della comunità cristiana. È necessario, cioè, partire dall’ascolto della comunità in tutte le sue componenti. Questa dinamica dà modo di recuperare il senso più vero della Chiesa come grande famiglia. Ne è conferma la Nota del Sinodo dei Vescovi per la XVI Assemblea Generale Ordinaria, sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. La prima fase di questa Assemblea ha come scopo la consultazione del popolo di Dio nelle Chiese particolari. Si avvia un processo “dal basso”. Il cammino, dunque, percorre un sentiero condiviso. Francesco ha anche detto che il cammino sinodale non deve diventare “un bel parlamento cattolico”. Come si può evitare questo rischio? Vale la pena ricordare le parole del Papa ai padri sinodali durante la I Congregazione generale della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi. Era il 6 ottobre 2014 e si celebrava il Sinodo Straordinario sulla Famiglia. Queste le parole di Francesco: “Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresia. Dopo l’ultimo Concistoro (febbraio 2014), nel quale si è parlato della famiglia, un Cardinale mi ha scritto dicendo: peccato che alcuni Cardinali non hanno avuto il coraggio di dire alcune cose per rispetto del Papa, ritenendo forse che il Papa pensasse qualcosa di diverso. Questo non va bene, questo non è sinodalità, perché bisogna dire tutto quello che nel Signore si sente di dover dire: senza rispetto umano, senza pavidità. E, al tempo stesso, si deve ascoltare con umiltà e accogliere con cuore aperto quello che dicono i fratelli. Con questi due atteggiamenti si esercita la sinodalità”. Parlare con parresia e ascoltare con umiltà sono due coordinate per evitare il rischio del “parlamento cattolico”. La Chiesa in Italia ha alle spalle un lungo cammino che, se vogliamo limitarci agli ultimi 60 anni, prende spunto dal Concilio Vaticano II e si è via via sviluppato anche attraverso i Convegni nazionali decennali. In che rapporto stanno tra loro Sinodo e Convegni? Il primo sostituirà i secondi? La storia del cattolicesimo post-conciliare in Italia è segnata dai documenti del magistero del Papa e anche della CEI. I Convegni ecclesiali nazionali, che si sono tenuti con cadenza decennale, hanno costituito delle tappe altrettanto importanti per verificare il cammino sino ad allora condotto e per rilanciare un nuovo percorso. Adesso il cammino sinodale che si sta per inaugurare si concentrerà sull’ascolto delle Chiese locali. Non c’è fretta di elaborare un documento comune: verrà dato il giusto tempo per ascoltare, vedere e capire prima di sviluppare una sintesi che dia ragione del cammino condiviso. E come armonizzare il cammino sinodale della Chiesa in Italia con i Sinodi già in corso in diverse diocesi italiane? I Sinodi che alcune Chiese locali hanno avviato non si sovrappongono né contrastano con il cammino sinodale nazionale. Anzitutto perché il cammino sinodale parte sì dalla realtà diocesana, ma è proiettato verso una sintesi regionale e nazionale: ogni diocesi avrà bisogno di raccontare se stessa, nella consapevolezza di fornire un contributo essenziale a una comunità più grande. Inoltre, chi ha già sperimentato il processo sinodale potrà aiutare le Chiese sorelle, a partire dalla propria esperienza, fornendo suggerimenti sui processi che si sono rivelati più efficaci. Il Papa insiste sempre su una Chiesa non clericale e non autoreferenziale. E invoca un maggior protagonismo dei laici. Il cammino sinodale sarà anche l’inizio di una nuova stagione del laicato cattolico in Italia? La Chiesa non è fatta solo dai sacerdoti, dalle religiose o dai religiosi. Papa Francesco più volte ci ha messo in guardia dal clericalismo e in una bella immagine ha ribadito che: “Nessuno di noi è stato battezzato prete né vescovo: siamo stati tutti battezzati come laici e laiche. I laici sono protagonisti della Chiesa”. La Chiesa quindi è composta da tutto il popolo di Dio e, insieme – ciascuno secondo le sue specificità, i suoi talenti –, si partecipa alla vita della comunità e alla forza della Chiesa. I laici hanno attraversato stagioni diverse, connesse a tempi in evoluzione e alle difficoltà di quegli stessi tempi. Siamo chiamati a ravvivare la sinodalità che non può che nascere dall’ascolto di ogni componente della famiglia di Dio, per mettere vino nuovo in otri nuovi. Dopo la fine della Democrazia Cristiana, si ha la sensazione che il peso specifico della presenza cattolica in politica si sia progressivamente affievolito. Lei condivide questa impressione? E qual è il modo più idoneo oggi per contribuire al bene comune da parte della Chiesa nel suo complesso e dei laici in particolare? A volte ho l’impressione che questo continuo riferirsi a un passato che non c’è più rischi di farci perdere di vista la necessità di un impegno dei cristiani corrispondente alla stagione che stiamo vivendo. Ci sono valori che il cristianesimo porta con sé e che dobbiamo sempre più saper mettere in campo a servizio del bene comune. Anche se spesso si fa fatica a evidenziarli, ci sono davanti a noi tanti frutti buoni che sono espressione della dottrina sociale della Chiesa. Da questo punto di vista sono convinto che il laicato cattolico può portare un contributo straordinario anche in questa stagione particolare. È necessario riscoprire e saper testimoniare sempre più la bellezza di appartenere a un progetto di vita comune. In questo senso c’è anche un’incarnazione del percorso vissuto nei dieci anni appena trascorsi sul tema dell’educazione. “Educare alla vita buona del Vangelo” era il titolo degli Orientamenti pastorali dello scorso decennio. La pandemia ha fatto emergere, ancora di più, la valenza sociale dell’educazione. Ormai è chiaro – e la cronaca continua a ricordarlo – che la questione educativa non è passeggera. L’educazione coinvolge le famiglie e tutta la società. E su questo punto non ci possono essere ambiguità. Siamo tutti chiamati in causa. E lo siamo in misura maggiore ora: la crisi pandemica ha generato una serie di gravi conseguenze negli adolescenti e nei giovani. La loro età è fortemente bisognosa di relazioni: esse non sono solo desiderio d’incontro, ma sono anche luogo di messa alla prova per imparare ad abitare la vita e il mondo, per capire qualcosa di se stessi e degli altri, per scoprire, attraverso i legami, le questioni di senso più importanti. In particolare gli adolescenti, che vivono il delicato passaggio dall’infanzia alla giovinezza, hanno sofferto molto la didattica a distanza: si sono scavate solitudini fino a riconoscere, tardi, un malessere che li sta costringendo a una situazione nuova tanto per loro, quanto per i loro genitori e tutte le figure educative. L’esperienza dell’ultimo anno ci ri-consegna, in qualche modo, l’impegno educativo. Il Covid ha anche creato danni e situazioni di bisogno anche sotto il profilo economico. Che cosa chiedono i vescovi italiani al governo a nome della gente? Il Covid ha messo in discussione tutta la nostra società e ha minato fortemente la tenuta delle comunità. L’economia è determinante, certo, e ogni tipo di sostegno finanziario deve essere messo in campo, ma molto è necessario fare soprattutto per rinsaldare le fratture sociali che hanno visto contrapporsi le persone per fasce di età, gruppi sociali, aree di impiego e disimpiego. L’inverno demografico che ci assedia, ben ricordato dagli Stati generali della natalità, è la conseguenza della mancanza di speranza, della conflittualità, dell’incertezza. Il Pnrr, così come è stato presentato, è in grado di raggiungere gli obiettivi di un rilancio della crescita e dell’attenzione alle fasce più deboli della popolazione? Auspichiamo che il Piano possa dare spazio e opportunità di crescita ai giovani, ricostruire il tessuto sfilacciato di una società che ha perso la fiducia nel futuro, intervenire in aiuto di tutti coloro che sono rimasti ai margini, ridare fiato alle imprese e alle famiglie. È essenziale che non vi siano sprechi di risorse o distorsioni a vantaggio di pochi: questo è il momento di mettere alla prova l’unità di un Paese in una prospettiva di comunione e di crescita collettiva. In queste settimane la ripresa degli approdi ha riportato in primo piano il dibattito sull’immigrazione. Stante anche la situazione creata dal Covid, qual è la posizione dei vescovi italiani? Ogni volta in cui vediamo uomini, donne, bambini arrivare su imbarcazioni di fortuna chiediamoci cosa faremmo se ci trovassimo nella loro situazione. Non possiamo pensare di vivere in un mondo in cui ci sono persone che devono sottostare alla legge della sopraffazione e a cui vengono negati i diritti essenziali. Siamo tutti chiamati alla fraternità. La Commissaria europea Ylva Johansson ha correttamente ribadito la necessità di rafforzare il dialogo con i Paesi di origine e di transito dei migranti. Il mio auspicio è che da questi colloqui nasca una collaborazione che, prima di ogni cosa, abbia a cuore il destino dei migranti e la loro difficile condizione. Mi attendo anche una maggiore solidarietà dagli altri Paesi europei nell’implementazione del meccanismo di redistribuzione volontaria, necessario per aiutare i Paesi di primo approdo come l’Italia. Durante l’Assemblea si procederà, come di consueto, alla destinazione dell’8xmille tra le finalità previste dalla legge. Lo scorso anno ci sono stati stanziamenti cospicui per far fronte all’emergenza Covid. Ci sarà qualcosa di simile anche quest’anno? Ne parleremo in Assemblea, che delibererà nel merito. Nel 2020 – va ricordato – sono stati stanziati, dai fondi otto per mille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, 200 milioni di euro (recuperati dalla finalità di edilizia di culto a cui erano destinati) a beneficio delle Chiese locali e di diverse associazioni e organizzazioni, espressione del volontariato e della solidarietà in Italia. Inoltre sono stati stanziati 25 milioni di euro quali sostegno economico alle famiglie in difficoltà attraverso sussidi di studio per studenti iscritti all’anno scolastico 2020/2021 presso una scuola paritaria di I o II grado (cattolica e non cattolica); 9 milioni per i Paesi africani e altri Paesi poveri; 8,800 milioni a favore di strutture sanitarie. In un tempo di prova e difficoltà causate dalla pandemia, la Chiesa che è in Italia, dunque, anche attraverso un supporto economico, è stata vicina alle persone e continua a esserlo con numerose iniziative volte a dare speranza e aiuto concreto. (Vincenzo Morgante, Marco Tarquinio, Amerigo Vecchiarelli)   ​  

Migranti. Mons. Russo: storie, non numeri

8 Ottobre 2020 -

Roma - Questa mattina, Giovedì 8 ottobre, mons. Stefano Russo, Segretario generale della CEI, è intervenuto alla presentazione del  Rapporto Immigrazione redatto da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes dal titolo “Conoscere per comprendere”.

Ecco il testo del suo saluto.

Buongiorno a tutti! Senatore Di Piazza, carissimi amici di Caritas e Fondazione Migrantes, accogliamo con grande attenzione, che si rinnova di anno in anno – ormai siamo al 29° -, la pubblicazione del Rapporto Immigrazione, curato da due organismi della Chiesa italiana (Caritas e Fondazione Migrantes). Il volume di quest’anno concentra le riflessioni attorno al tema Conoscere per comprendere, una delle sei coppie di verbi proposte dal Santo Padre nel suo messaggio per la 106a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, celebrata pochi giorni fa. Si tratta di un impegno reso ancora più necessario dalla complessa congiuntura che stiamo vivendo, determinata dalla pandemia, che ha posto nuove difficoltà, aggravato tante problematiche già esistenti e ulteriormente indebolito le già precarie condizioni economiche e relazionali della società. In questo senso si stanno recependo le ultime modifiche normative che stanno portando una serie di previsioni in discontinuità con il recente passato. Queste sono una prima risposta alle situazioni di crisi registrate nel tempo. La pandemia ha precarizzato ancora di più la condizione di tanti migranti e di tanti italiani. Pertanto, oggi più che mai sono necessarie risposte immediate che mettano al centro l’umanità che ci unisce. Le incessanti statistiche che si sono susseguite negli ultimi mesi hanno reso evidente come nessuno possa essere considerato semplicemente un numero – lo abbiamo più volte ribadito – ma una persona con una dignità, dei legami affettivi, una storia e uno sguardo al futuro che talvolta rischia di rimanere inespresso o addirittura d’interrompersi precocemente. Questo è vero anche per le persone migranti, che alla propria storia personale aggiungono l’esperienza del viaggio e della permanenza in territori estranei, per cambiare la propria vita e spesso quelle dei propri cari. Il Rapporto Immigrazione ci aiuta a mettere a fuoco le coordinate fondamentali delle migrazioni, un fenomeno che attraversa pressoché il mondo intero e tutti gli ambiti del vivere sociale, e che papa Francesco, nell’enciclica firmata pochi giorni fa ad Assisi, Fratelli tutti, definisce «un elemento fondante del futuro del mondo» (n. 40). Una caratteristica di questa pubblicazione è l’interconnessione esistente fra i diversi contributi che la compongono, che restituisce la complessità degli attuali fenomeni migratori. «Il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta – scrive il Santo Padre nell’enciclica Fratelli tutti, al n. 96 – rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri». È un richiamo importante. Non sarebbe possibile, infatti, realizzare un’efficace accoglienza dei migranti – né, tantomeno, la loro protezione, promozione e integrazione – se si curassero solo gli aspetti economici o lavorativi, ignorando la dimensioni antropologiche, sociali e relazionali. Né, ancora, si darebbe una risposta adeguata – vale a dire integrale – ai bisogni di ogni persona se si ricercasse esclusivamente una soluzione ai problemi abitativi o alimentari, senza prestare un’eguale attenzione agli aspetti culturali e religiosi, che costituiscono dimensioni essenziali nella vita di ogni persona. Qualsiasi concezione di accoglienza che la concepisse soltanto come impegno materiale sarebbe una pericolosa riduzione. Anche per questo, la visione fornita dal Rapporto Immigrazione si spinge a considerare l’intimo legame fra i diversi ambiti che caratterizzano la vita di ogni persona, senza i quali essa non potrebbe esprimere appieno il proprio essere e la propria personalità. Solo così, fra l’altro, si può realizzare quell’autentica integrazione della persona migrante nel nuovo contesto sociale, la quale può dirsi compiuta quando, da ospiti, coloro che sono stati accolti diventano soggetti partecipi e attivi, offrendo un contributo personale alla crescita del tessuto sociale, del quale ormai sono divenuti parte. Tale obiettivo rappresenta un’autentica sfida e una scommessa per l’Europa, per il nostro Paese e per i singoli territori che lo compongono, chiamati a vedere in coloro che chiedono ospitalità non un peso, bensì una ricchezza dal punto di vista umano, lavorativo, culturale e, non ultimo, spirituale. Certo, «quando il prossimo è una persona migrante si aggiungono sfide complesse», come scrive con realismo il Santo Padre in Fratelli tutti (n. 129). È evidente, però, come uno sguardo interessato a conoscere l’altro, a incontrarlo, pur con tutte le difficoltà e gli ostacoli che questo implica, dia vita a una prospettiva che si colloca a grande distanza dall’opinione, diffusa a più livelli, che vede nel migrante solo un’insidia, e nell’opera di coloro che lo soccorrono un pericolo. Si tratta di sentimenti contrari alla vita cristiana, che nella fede ci spinge invece ad avere il coraggio di riconoscere in chi è bisognoso del nostro aiuto un fratello, e, nel più piccolo di essi, il Cristo stesso. La fragilità non caratterizza solo gli “altri”, ma ognuno di noi: ognuno di noi può essere quel “piccolo”. Raggiungere una simile consapevolezza è segno di speranza, poiché contribuisce allo sviluppo di una cultura più matura e meno portata ad essere sviata dai preconcetti, più aperta a quanto di buono può esserci nell’altro e meno incline a difendersi pregiudizialmente, più consapevole della necessità e delle opportunità dell’incontro, più disposta a fare autocritica e a condividere. Il Signore guidi i nostri passi in questo cammino di pace e di convivenza, che ci vede tutti fratelli e sorelle. Un ringraziamento a Caritas e Fondazione Migrantes per la cura che, ogni anno, mettono in questa pubblicazione. Ripeto: non è una semplice raccolta dati, ma una narrazione di storie. Grazie!  

Mons. Stefano Russo - Segretario generale della CEI

Mons. Russo: su migranti “significativo che l’Europa si stia muovendo, è inizio di un percorso”

24 Settembre 2020 -
Roma - “È significativo che la Commissione europea si stia muovendo”. Così mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, durante la conferenza stampa a chiusura del Consiglio permanente dei vescovi italiani, svoltosi a Roma in questi giorni, ha risposto alle domande dei giornalisti in materia di immigrazione, e in particolare alla proposta del superamento del regolamento di Dublino. “È una cosa buona che il tema dell’accoglienza dei migranti venga affrontato non solo in via di principio, ma con cose concrete”, ha proseguito Russo: “È necessario che sia l’Europa intera a prendersi cura dei migranti. Il superamento di Dublino è interessante, può essere migliorato. La cosa importante è che è un percorso che continua e che ci sia la volontà di arrivare soluzioni condivise”. Secondo il segretario generale della Cei, inoltre, “è importante l’affermazione di principio per cui le persone che vanno per mare vanno comunque accolte. Quello dell’accoglienza responsabile è un tema da approfondire, così come i tempi giusti per valutare le diverse situazioni”. Riguardo alla proposta di togliere le sanzioni a quelle Ong che soccorrono le persone in mare, Russo ha commentato: “Anche le Ong svolgono un ruolo importante, se partecipano all’interno di un progetto e di un programma, così come tutti coloro che accolgono responsabilmente. Se alcune deviazioni ci sono state, e ci sono, sono legate a interessi e vanno attenzionate e risolte, se ci si prende cura in modo condiviso dell’accoglienza, e non solo da parte dei Paesi più prossimi”.

Mons. Russo: “con governo dialogo continuo”

7 Maggio 2020 - Roma - “Con la presidenza del Consiglio dei ministri c'è stato un dialogo continuo. Anche con il Comitato tecnico-scientifico è stato fatto un lavoro molto importante che ci ha permesso di arrivare a questo protocollo condiviso che contiene degli elementi che permettono di tornare a celebrare le messe”. Lo ha detto il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, in un'intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei, commentando la firma di stamane a Palazzo Chigi del protocollo che permetterà la ripresa delle messe con il popolo dal 18 maggio. “È stato importante – ha aggiunto mons. Russo - aver definito adesso questo protocollo con un certo anticipo. Questo permette alle comunità di prepararsi e di verificare la propria situazione. E' stato importante anche aver dato come data d'inizio un giorno feriale in modo tale da permettere alle comunità di fare una verifica”. “L'attenzione alla salute delle persone – ha spiegato mons. Russo a InBlu Radio - non deve mai venire meno perché stiamo ancora vivendo un'emergenza planetaria che richiede a tutti l'attenzione all'altro. E siccome la Chiesa è esperta in questo con senso di responsabilità anche le comunità cristiane possono tornare a celebrare l'eucarestia. Penso sia un segno bello il fatto di essere arrivati a questo protocollo”. “In questo tempo – ha concluso mons. Russo a InBlu Radio - abbiamo visto una Chiesa che è scesa in campo sul fronte della prossimità in tante dimensioni: quello della carità, dell'attenzione all'altro e all'ultimo. Ma anche una prossimità che si è concretizzata in modo significativo attraverso le possibilità offerte dai media e dai social. In un tempo in cui siamo stati costretti all'isolamento lo scendere in campo della Chiesa ha messo in evidenza una valenza straordinaria che questi mezzi hanno di poter mettere in dialogo tantissime persone”.

Mons. Russo: le iniziative della Chiesa Italia

1 Aprile 2020 - Roma - “In questo momento vorrei rivolgere un pensiero grato a tutti i nostri media che, in forme diverse e secondo le specificità di ciascuno, stanno tessendo il filo delle comunità. Porto nel cuore quanto mi hanno scritto diversi settimanali diocesani in questi giorni: le nostre pagine sono diventate un necrologio continuo. Avverto la sofferenza che arriva dai territori, a tutti assicuro la vicinanza della Chiesa italiana. Grazie!”. A parlare è mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, nei giorni che precedono la Settimana Santa che quest’anno sarà vissuta da un intero Paese in quarantena: “Ricordo che la prossimità della Chiesa in Italia si esprime ugualmente attraverso segni concreti. In particolare, abbiamo promosso due sottoscrizioni di raccolta fondi: Sostegno alla sanità ed Emergenza coronavirus, con Caritas italiana”. Eccellenza, la Chiesa italiana si è mossa fin dai primi momenti per fronteggiare la pandemia anche sul piano dell’assistenza caritativa e solidale stanziando oltre 16 milioni di euro. Decine di diocesi in tutta Italia stanno mettendo a disposizione le loro strutture per la Protezione civile, i medici e le persone in quarantena… È una geografia della carità in continuo aggiornamento. Le diverse iniziative sul piano dell’assistenza caritativa e solidale sono tutte mosse dalla certezza che nel volto sofferente dei nostri fratelli è presente Cristo. È una certezza che viene dal Vangelo di Matteo: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…”. Parole che sono riferimento imprescindibile per le nostre azioni. Nella situazione attuale, in cui sono messe a nudo tutte le nostre certezze, riscopriamo il senso e il valore della prossimità, della cura, della relazione… In una parola: della carità, sempre silenziosa, ma operosa. La Chiesa, senza rumore e megafono, continua a sostenere in maniera corresponsabile medici, operatori sanitari e malati. È un ritorno dell’attenzione e generosità che tanti cittadini, ogni anno, rivolgono con la destinazione dell’otto per mille alla Chiesa cattolica. Il Sistema sanitario è in forte difficoltà e anche la sanità cattolica sta facendo la sua parte. La Cei sostiene le strutture sanitarie in vari modi. In risposta ad alcune delle tante situazioni di necessità in sanità, la Conferenza episcopale italiana – raccogliendo il suggerimento della Commissione episcopale per la carità e la salute – ha stanziato finora 6 milioni di euro, in due tranche da 3 milioni, provenienti dall’otto per mille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica. Il primo contributo, del 24 marzo, raggiunge la Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo di Torino, l’Azienda ospedaliera “Cardinale Giovanni Panico” di Tricase, l’Associazione Oasi Maria Santissima di Troina, nei pressi di Enna, e l’Istituto Ospedaliero Poliambulanza di Brescia. Il secondo, del 30 marzo, va a beneficio della Fondazione Policlinico Gemelli, dell’Ospedale Villa Salus di Mestre, dell’Ospedale Generale Regionale Miulli di Acquaviva delle Fonti in provincia di Bari. È stata inoltre aperta una raccolta fondi, che sarà puntualmente rendicontata e che potrà aiutare altre realtà. Con la sospensione delle attività scolastiche, anche le scuole paritarie attraversano una fase di crisi. Cosa si aspetta dalla politica? La Segreteria Generale della Cei ha rappresentato più volte al ministero dell’Istruzione la situazione drammatica vissuta dalle scuole paritarie. A nome di tante famiglie, di insegnanti che sono senza stipendio e di strutture che, stante così le cose, a settembre difficilmente potranno riaprire – con un danno oggettivo per il bene comune – si sono presentate alcune richieste essenziali, chiedendo a voce e per iscritto che l’appello venga raccolto. Ci aspettiamo che questo passo possa essere fatto. Sono tanti i sacerdoti che hanno perso la vita, molti di loro per adempiere a pieno i doveri del ministero. Cosa si sente di dire per tutti loro? Tutti i nostri sacerdoti sono sempre vicini alla gente, fedeli alla vocazione fino alla fine, vivono con le proprie pecore, come ripete spesso Papa Francesco. Lo sono così tanto che, proprio in questa circostanza, hanno condiviso anche la malattia e, purtroppo, in molti casi, la morte. Li ricordiamo prima di tutto per fare memoria della loro vita, delle loro opere, di quanto hanno lasciato nei cuori di chi li ha conosciuti. I media cattolici, e non solo, hanno onorato questi fratelli celebrando esistenze spese per il prossimo. Molti erano missionari, tornati in Italia dopo una vita tra i più poveri del mondo; altri erano preti diocesani, alcuni di questi a riposo – ma un sacerdote va mai veramente in pensione? – dopo aver visto crescere generazioni di fedeli, spesso in parrocchie piccole, dove ci si conosce tutti come una famiglia e dove in tanti li hanno pianti, unendoli ai lutti personali. Anche questo ci dice del prezioso mandato dell’essere comunità; un mandato che ci porta ad interpretare il nuovo che abbiamo davanti e ad assumere quindi anche nuove modalità di essere Chiesa. Ci aspetta una Settimana Santa “senza concorso di popolo”. Che Pasqua sarà? Sarà sicuramente una Pasqua diversa: la storia che stiamo vivendo ci pone dinanzi questa realtà, inedita per tutti. La Settimana Santa apre al cuore della nostra fede; per questo, anche se le ristrettezze del momento presente ci mettono a dura prova, non dimentichiamo che siamo in cammino verso la Resurrezione. Ed è proprio questo orizzonte ad aiutarci a vivere al meglio il tempo pasquale. Siamo a casa, ma non siamo soli! Invito tutti a riscoprire il senso pieno di ciò che, purtroppo, quest’anno non potremo vivere insieme, per fare festa tutti insieme quando sarà possibile. E quella festa, che sarà la Pasqua di tutti noi, sarà anche momento di conforto per quanti ci hanno lasciato e per i loro familiari. Ripeto: non siamo soli! Da Nord a Sud, si moltiplicano le messe in streaming, gli accompagnamenti spirituali a distanza e le persone si incontrano sui social per fare comunità. Tanti sacerdoti sperimentano modalità nuove per le celebrazioni e l’accompagnamento dei fedeli. Come valuta questa inattesa stagione ecclesiale? C’è un grande senso di appartenenza che sta sempre più emergendo. Le varie iniziative sono una risposta a un desiderio profondo di comunità. È alle domande della nostra gente bisogna, in qualche modo, rispondere. È ciò che ci ha mossi, come Segreteria Generale, nel progettare chiciseparera.chiesacattolica.it, un ambiente digitale che rilancia le buone prassi messe in atto dalle diocesi, offre contributi di riflessione – a partire da lettere, messaggi e video dei vescovi -, condivide notizie e materiale pastorale. Viviamo una stagione di grande creatività, che ci permette di guardare oltre l’emergenza. E in quell’oltre non possiamo non essere sostenuti dalla speranza, alimentata dalla fede e dalla carità. Quando tutto sarà finito, avremo modo di riflettere su quanto vissuto, non dimenticando che siamo in una situazione eccezionale. E che non possiamo fare a meno dell’incontro fraterno che da sempre ci caratterizza. (Riccardo Benotti - Sir)

Mons. Russo: “ritrovare fiducia, concordia, condivisione, unità d’intenti”

9 Marzo 2020 - Roma - “Il Signore parla a tutti noi, anche oggi; ci parla nell’afflizione del momento presente; ci invita a quel ‘senso di responsabilità’ che nasce dall’affidamento alla sua misericordia; ci sprona a ritrovare fiducia, concordia, condivisione, unità d’intenti”. Lo ha detto Mons. Stefano Russo, Segretario generale della CEI, nell’omelia della messa della Trasfigurazione nella Basilica dei Santi Quattro Coronati, a Roma, che ha celebrato ieri in diretta tv e senza fedeli presenti per l’emergenza Coronavirus. “Il nostro pensiero va a quanti sono colpiti dal Coronavirus e ai loro familiari; agli anziani, esposti più di altri alla solitudine; ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari, al loro prezioso ed edificante servizio – ha aggiunto il vescovo -; a quanti sono giustamente preoccupati per le pesanti conseguenze di questa crisi sul piano lavorativo ed economico; a chi ha responsabilità scientifiche e politiche di tutela della salute pubblica. E, ancora, alle famiglie e ai bambini che, nella loro fragilità, non devono subire le nostre paure”. Dal presule lo sguardo anche a “tutti ‘i disperati’ della terra costretti ad abbandonare la propria terra a causa dell’assurda violenza di cui spesso l’uomo è capace”. Quindi, l’invito affinché “il tessuto delle nostre comunità non sia sfilacciato dallo sconforto”. “La luce della Trasfigurazione è impegno e testimonianza operosa – ha concluso il vescovo -. Tutto viene vivificato da un’esistenza rinnovata”.  

Coronavirus: per Mons. Russo “serve senso di responsabilità”

6 Marzo 2020 - Roma - L’emergenza coronavirus deve essere affrontata da tutti con “senso di responsabilità”. Lo ha detto il Segretario generale della CEI, Mons. Stefano Russo, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000. “Esprimiamo la vicinanza – ha aggiunto Mons. Russo ai microfoni di Tv2000 - verso coloro che sono stati direttamente colpiti da questa emergenza. E ringraziamo anche tutti coloro che si stanno adoperando per farsi prossimi alle tante situazioni che questa emergenza richiede. Penso ai sacerdoti, ai laici impegnati nelle parrocchie ma anche medici, infermieri e operatori sanitari che si stanno spendendo in modo instancabile dando veramente un bel segno a tutti noi”. “Cercheremo anche noi – ha concluso Mons. Russo a Tv2000 - di fare la nostra parte affinché possiamo farci prossimi gli uni agli altri per affrontare questa situazione imprevista ma che ci richiede senso di responsabilità”.    

Mons. Russo: “chiese sono aperte”. Per le messe “valutare situazioni”

28 Febbraio 2020 - Roma - “Bisogna valutare situazione per situazione, non si può generalizzare”. Mons. Stefano Russo, Segretario generale della CEI, ha risposto così alle domande dei giornalisti sul disagio espresso da alcuni sacerdoti e vescovi del Nord Italia per il fatto di non poter celebrare la messa, a causa delle misure precauzionali imposte dall’emergenza Coronavirus. A margine della presentazione del volume “Dio non abita più qui? Dismissione dei luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici”, in corso alla Pontificia Università Gregoriana, Mons. Russo ha precisato che “le chiese sono aperte in Italia, tranne alcune situazioni particolari dove l’emergenza sanitaria sembrerebbe aver invaso di più il territorio. In quei luoghi, particolarmente quelli dove c’è il focolaio, ci si sta attivando per attenersi alle indicazioni, c’è collaborazione con le autorità”. “L’epidemia sembra risultare meno invasiva di quanto inizialmente si pensasse, speriamo che si arrivi al più presto ad aprire tutte le chiese per le messe, almeno quelle feriali”, l’auspicio del Segretario generale della CEI. “Tenere un rapporto attivo con le autorità pubbliche e utilizzare gli spazi che ci sono per favorire la partecipazione della popolazione alla preghiera”, l’indicazione della Chiesa italiana, valutando la situazione caso per caso e utilizzando, laddove è necessario, cautele come quella di “evitare le celebrazioni nei luoghi e nei momenti più affollati”.  

Mons. Russo: “custodia e silenzio per curare l’autoreferenzialità”

19 Dicembre 2019 - Roma - “La custodia e il silenzio sono la cura perfetta per i malanni dell’autoreferenzialità”. Lo ha detto il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, questa mattina nella Messa con i giornalisti in vista del Natale. Per mons. Russo “il custode è il primo responsabile di ciò che gli viene affidato . E quindi non è tanto preoccupato della velocità con la quale dare le notizie, non è impensierito semplicemente dell’audience che queste notizie possono ottenere, ma è attento alle persone”. Una condizione in base alla quale “la comunicazione e l’informazione diventano costruttrici di ponti di umanità e di dialogo, favoriscono una comprensione a servizio anche di quanti non hanno voce, sanno porsi alla ricerca delle cause reali che tante volte sono dietro ai conflitti”. “Sanno far capire, sanno entrare nelle cause, nei contesti – ha aggiunto – e in questo modo aiutano probabilmente a costruire percorsi di pace”. Soffermandosi sul “silenzio che si fa comunicazione”, il segretario generale della Cei ha citato il messaggio di Benedetto XVI per la 46ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, sul tema “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”. “Il silenzio è la chiave di volta della comunicazione. È la radice ultima”. La via indicata è quella di “un’informazione fondata sul silenzio e sull’ascolto”. “Sono atti necessari allo svolgersi della comunicazione e prevedono, per prima cosa, quell’apertura di animo per ricevere ogni parola pronunciata e coglierne il giusto significato”. “L’ascolto e il silenzio, fondamentali per la comunicazione – ha concluso il presule -, sono fonte di relazioni vere, sempre nuove e diverse. In queste relazioni, che diventano incontro con gli altri, si sviluppa un’informazione autentica, che non è semplice trasmissione di notizie, ma soprattutto disponibilità, arricchimento reciproco, relazione”.    

Mons. Russo: i giornali cattolici “portatori di una ricchezza propria”

21 Novembre 2019 - Roma - “Presidi non contrapposti ai media nazionali, ma portatori di una ricchezza propria che qualifica e impreziosisce l’informazione di tutto ciò che, purtroppo, il più delle volte rimane ai margini”. Questo i sono oggi i settimanali cattolici secondo il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo che ha portato il suo saluto ai partecipanti alla XIX assemblea elettiva della Federazione dei Settimanali Cattolici a Roma oggi pomeriggio sul tema “Libertà di stampa e presidi di libertà”. Per mons. Russo anche il giornalismo, come ripete Papa Francesco, contribuisce alla “cultura dello scarto”. Quanto è “prezioso contro queste logiche dominanti il contributo di quella stampa che, a torto, viene considerata minore! Nella ricchezza di significati del termine ‘presidio’ – ha quindi spiegato - c’è proprio quello di ausilio in una terapia o nell’assistenza di un paziente. Piace pensare che la vostra informazione – la nostra informazione – possa contribuire a curare le ‘malattie’, spesso infettive, che alle volte privano di quei tratti indispensabili di libertà. È questione di democrazia!”. Gli “approfondimenti tematici, l’attenzione alle periferie geografiche ed esistenziali, la professionalità, la qualità dell’informazione, la vicinanza alla gente, sono gli ingredienti che rendono ciascuna testata unica, perché portatrice di una originalità propria”, ha evidenziato mons. Russo sottolineando che Non si tratta “di semplici fogli o bollettini, ma di giornali veri e propri, chiamati a integrare alla funzione informativa anche quella formativa. Queste testate hanno una prospettiva propria e originale attraverso cui assolvere la missione di organo informativo. Ciò non significa che, in quanto strumento di comunicazione, non abbiano obiettivi comuni e caratteristiche analoghe a tutti gli altri media; vuol dire piuttosto che si distinguono da essi per lo «spirito» che le anima”. Mons. Russo ha quindi parlato dei problemi e delle difficoltà che oggi vivono queste testate: “a rischio c’è la sopravvivenza dell’esperienza come per altre realtà editoriali; inutile negare una certa fatica nel trovare ricette utili. E, d’altronde, questi presidi territoriali stanno diminuendo sempre più. Non si tratta di un dato ascrivibile alle sole nostre realtà. C’è un elemento, però, che non va trascurato: l’informazione è innovazione. I settimanali, in sé e per sé, sono innovazione. E la storia ne è testimone. Ma non bisogna fermarsi al passato. Avremo futuro se saremo innovativi dentro! Anche nell’ambiente comunicativo vale il principio educativo: il soggetto è colui che dev’essere formato e insieme il più grande formatore di se stesso. La storia insegna e apre vie al futuro. La vita, anche per i media cattolici, è fatta di stagioni che sono unite dal filo rosso della speranza. Alcune si sono chiuse, altre si stanno aprendo. E certamente, nonostante le difficoltà del momento presente, non si può rinunciare alle caratteristiche essenziali del vostro essere: passione, perseveranza, professionalità, qualità”. La passione, per “continuare a ricomporre in unità ciò che è diverso, riconoscendo ad ogni diversità un suo valore che non va annullato”; la “perseveranza, perché c’è ancora un compito da svolgere e non dovranno essere le difficoltà, anche ‘interne’, a spegnere entusiasmi, idee, progetti e iniziative”; la professionalità, “patrimonio prezioso che i giornali cattolici hanno seminato, in oltre un secolo, accogliendo migliaia di giovani, preti e laici, e facendone dei giornalisti e la qualità, “per proporre un contributo serio e specifico alla completezza dell’informazione. La strada della qualità è stata da sempre segnalata da due indicazioni principali: essenzialità e fondatezza di ciò che si scrive. Quella della qualità non è una pagina già scritta, ma un impegno che continua quotidianamente!”. Verso queste testate l’attenzione della Cei è stata “costante”, “portata avanti anche nel dialogo con le Istituzioni. I Vescovi italiani non possono non sostenere e supportare la voce di coloro che, con la FISC, chiedono che venga mantenuto il sostegno a favore di questi presidi. È in gioco il pluralismo dell’informazione!”. Mons. Russo ha quindi sottolineato che l’obiettivo, come ricordava ieri il Presidente Matterella ricevendo al Quirinale il Consiglio nazionale della Federazione, è “contribuire a mantenere la formazione di coscienze libere e consapevoli di cittadini che abbiano spirito critico e capacità di valutazione, offrendo loro fatti e parametri per interpretarli in maniera tale che siano consapevolmente partecipi della vita democratica. Questo è il vero presidio della democrazia, questo è il fondamento e l’obiettivo dell’art. 21”. Parole queste che – ha detto il segretario generale della cei “non possiamo non fare nostre” e “rilanciarle con fermezza”. Da qui l’invito a “continuare a lavorare insieme per la comunità, raccontando il bene, valorizzando le opportunità offerte da questo nostro tempo, in condivisione di valori e di esperienze” non e l’esortazione ad “andare avanti con fiducia con il passo di una Chiesa in uscita che testimonia la sua bellezza e la sua passione per l’umanità”. (Raffaele Iaria)

Mons. Russo: “aprirsi alle differenze”

18 Novembre 2019 - Roma - “Migranti e religioni è un tema di grande attualità ma bisogna uscire fuori da una lettura demagogica della realtà. I fatti di questi ultimi tempi chiedono alle Chiese cristiane di rendere ragione del Vangelo e camminare fianco a fianco”. Lo ha detto oggi pomeriggio mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, aprendo a Roma il convegno “Migranti e religioni”, organizzato dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, in corso fino al 20 novembre. “Come Chiesa italiana – ha ricordato – siamo felici di favorire, supportare, sostenere e incoraggiare processi di dialogo con tutti i fratelli e sorelle delle Chiese cristiane e favorendo passi concreti”. Mons. Russo ha citato come esempio di impegno ecumenico sul tema migranti la visita di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo nei campi profughi nell’isola di Lesbo e l’appello comune del 2018 per aprire vie sicure e regolari di ingresso e corridoi umanitari, un “ecumenismo della carità” riconosciuto di recente con il Premio Nansen. I corridoi umanitari, ha precisato mons. Russo, sono “un modo sicuro per tutti, un progetto di accoglienza  e di integrazione per favorire l’incontro vero tra le persone”. “I migranti – ha detto – ci costringono a tornare alla chiamata di ogni uomo, alla vocazione” perché le “differenze non sono più significative davanti a Dio anzi diventano elemento di ricchezza. Possiamo essere noi stessi ed essere autenticamente ecumenici ed interreligiosi”. “Perpetuare la distinzione tra noi e loro non ha più senso – ha sottolineato -. I migranti sono soprattutto persone ma sono anche la parte più evidente del grande iceberg della cultura dello scarto”. A questo atteggiamento bisogna opporre una “cultura nuova fatta di incontro e lotta condivisa ad ogni emarginazione”. Perciò, bisogna “investire sull’impegno educativo per comprendere le migrazioni secondo umanità” ed evitare la “strumentalizzazione delle migrazioni” oggi evidente.  “Qualsiasi migrante – ha concluso – va considerato persona migrante e quindi va accolto, protetto, promosso e integrato. Le comunità religiose siano aperte alle differenze”.  

Mons. Russo: “razzismo e istigazione all’odio non devono trovare spazio”

31 Ottobre 2019 - Roma - “Ogni forma di razzismo e istigazione all’odio razziale non deve trovare spazio”. Lo dichiara mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, in merito all’istituzione di una Commissione monocamerale di cui è prima formatrice la senatrice a vita Liliana Segre: “Nessuna società libera e democratica può accettare di restare indifferente di fronte a episodi di antisemitismo e odio. Non solo nella Rete, dove registriamo manifestazioni sempre più diffuse di hate speech, ma anche nella vita sociale”. “È lo stesso Papa Francesco ad aver chiesto a più riprese di bandire l’antisemitismo dalla comunità umana, come ha fatto giusto un anno fa incontrando una delegazione di rabbini del Caucaso. ‘Senza una memoria viva non ci sarà futuro’, disse in quell’occasione. E di memoria viva – conclude mons. Russo – è interprete la senatrice Segre, che è stata testimone del baratro in cui l’uomo può condurre i suoi fratelli”. “Ben vengano, dunque, iniziative volte alla giustizia e alla pace sociale”, conclude il segretario generale.  

Rapporto Italiani nel Mondo. Mons. Russo: lavorare insieme contro i pregiudizi

25 Ottobre 2019 - Roma - “Interrogarsi con onestà e riflettere con rigore sulla percezione e la conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano” serve “non solo a fare memoria di sé, ma diventa motivo di migliore comprensione di chi siamo oggi e di chi vogliamo essere”. Lo ha affermato mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, intervenendo alla presentazione della XIV edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes che quest’anno contiene il focus: “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiu-dizi all’amore per il made in Italy”. “Sorprende, amareggia, incupisce – ha osservato – leggere dei tanti episodi di denigrazione ai quali gli italiani sono stati sottoposti in passato come migranti, ma amareggia ancora di più trovare episodi e appellativi oggi, rendersi conto che ancora, a volte, persistono questi atteggiamenti di discriminazione o, addirittura, ne sono nati di nuovi come nel caso della cooperazione internazionale”. A volte, ha aggiunto mons. Russo, “è la stessa Chiesa ad essere stata oggetto di tali accuse” e “oggi è al centro delle discussioni più animate proprio per il tema della mobilità”. Secondo il segretario generale della Cei, invece, “siamo chiamati a volgere il nostro sguardo e il nostro impegno verso tutti in modo uguale ricercando nuovi strumenti per guardare al migrante come soggetto in movimento all’interno di uno spazio comune che è la Madre Terra, che è di tutti e non di alcuni solamente, madre quando accoglie e matrigna quando costringe ad andare via”. “Qualsiasi sia il tipo di migrazione oggi, qualsiasi migrante si prenda in considerazione da qualsiasi angolo della Terra arrivi e in qualsiasi luogo lui voglia andare, va considerato persona migrante e, quindi, va accolto, protetto, promosso e integrato”, ha ribadito mons. Russo per il quale occorre “non calare dall’alto programmi assistenziali, ma costruire comunità che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperte alle differenze e sappiano valorizzarle”. Si tratta cioè di impegnarsi a creare “comunità radiali e circolari, dove il senso di appartenenza viene modificato e giammai cancellato, dove ogni persona possa sentirsi di appartenere non in modo esclusivo, ma possa poter dare un contributo e, allo stesso tempo, ricevere collaborazione”.

Mons. Russo al Rapporto Italiani nel Mondo: la missione della Chiesa è vivere con la gente e tra la gente

25 Ottobre 2019 - Roma – Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento di mons. Stefano Russo, Segretario Generale della CEI intervenuto questa mattina alla presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes. Se dovessi riassumere il Rapporto Italiani nel Mondo con una semplice frase direi che è un volume di domande per le quali troviamo anche le risposte. E non capita sempre, anzi succede raramente. È più semplice lanciare le situazioni problematiche e lasciarle prive della parte propositiva e costruttiva attraverso la quale si prova a superarle. Condivido con voi, perciò, alcuni degli interrogativi e relative risposte che ho rintracciato probabilmente spinto dal mio servizio quotidiano alla Conferenza Episcopale Italiana, ma sicuramente anche dal mio essere cittadino di questo Stato e di questo continente. Perché la Chiesa si interessa della mobilità umana e italiana in particolare? La missione della Chiesa è vivere con la gente e tra la gente. Un posto particolare nel cuore della Chiesa lo hanno i migranti di ogni nazionalità, al di là dei paesi da cui partono e delle terre in cui arrivano, dei percorsi migratori che compiono. Siano essi migranti economici, richiedenti asilo o rifugiati, altamente qualificati o senza qualifica che vivono da protagonisti la transnazionalità, chi oggi è attore di mobilità dà alla Chiesa l’opportunità di vivere il segno più peculiare della sua natura e cioè la "cattolicità", contribuendo efficacemente alla comunione tra i popoli e alla fraternità. L’Italia è storicamente terra di partenze. Lo era ieri e continua ad esserlo oggi. Lo vediamo dai numeri del Rapporto Italiani nel Mondo. Numeri importanti certamente, ma soprattutto, e lo abbiamo sentito, profili diversi che spronano a far di più e meglio come studiosi e operatori. Chi parte oggi tra gli italiani ha motivazioni differenti rispetto a chi partiva nel passato e a chi parte oggi, nello stesso momento storico, da altre parti del mondo. Siamo chiamati a volgere il nostro sguardo e il nostro impegno verso tutti in modo uguale ricercando nuovi strumenti per guardare al migrante come soggetto in movimento all’interno di uno spazio comune che è la Madre Terra, che è di tutti e non di alcuni solamente, madre quando accoglie e matrigna quando costringe ad andare via. «A me non piace dire “migranti” – ha detto a braccio il Papa ai fedeli durante l’Udienza generale dello scorso aprile – a me piace più dire “persone migranti” […] Migranti è un aggettivo, le persone sono sostantivi. […] Noi siamo caduti nella cultura dell’aggettivo, usiamo tanti aggettivi e dimentichiamo tante volte i sostantivi, cioè la sostanza» L’aggettivo, ha continuato il Pontefice, va legato indissolubilmente al soggetto e quindi alla persona per cui papa Francesco esorta a dire “la persona migrante” per dare dignità al racconto di una vita in cammino alla ricerca di uno stare meglio. Parlando di migranti, quindi, a qualsiasi latitudine e a partire da qualsiasi motivazione, il pensiero deve andare alla persona e dalla persona alle comunità chiamate, come indicato dal Santo Padre, ad accogliere i migranti, a proteggerli, a promuoverli e a integrarli. Erroneamente si potrebbe pensare che i quattro verbi promossi da papa Francesco riguardino solo chi arriva dalle zone più arretrate o dai paesi in conflitto, quelli che fuggono da guerre e persecuzioni o da disastri ambientali, i richiedenti asilo e protezione, i perseguitati per cause politiche o religiose. L’appello del Papa – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – si rivolge, invece, a tutti coloro che sono impegnati nella mobilità umana a favore di tutti i migranti di oggi, compresi gli italiani da tempo in emigrazione o partiti di recente. Quanto detto è diventato più chiaro con il Messaggio per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2019 scandito dal tema Non si tratta solo di migranti: qualsiasi sia il tipo di migrazione oggi, qualsiasi migrante si prenda in considerazione da qualsiasi angolo della Terra arrivi e in qualsiasi luogo lui voglia andare, va considerato persona migrante e, quindi, va accolto, protetto, promosso e integrato. Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di costruire comunità che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperte alle differenze e sappiano valorizzarle. Si tratta, nello specifico, di comunità radiali e circolari, dove il senso di appartenenza viene modificato e giammai cancellato, dove ogni persona possa sentirsi di appartenere non in modo esclusivo, ma possa poter dare un contributo e, allo stesso tempo, ricevere collaborazione. Uno scambio reciproco, dunque, nella logica del mettere a disposizione degli altri i propri carismi. Che ruolo ha la Chiesa di fronte alla sfida europea? «A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà». È questo l’incipit dell’Appello ai Liberi e forti, la pietra miliare donataci da don Luigi Sturzo cento anni fa (1919) e che ritorna prepotentemente di attualità nel nostro tempo in cui il richiamo alla necessità di un nuovo patto sociale che impegni uomini e donne che hanno a cuore il destino dell’Italia (e dell’Europa) sembra una via di uscita auspicabile e praticabile. All’interno delle pagine del volume trovate un saggio che inizia proprio citando questa ricorrenza e il Convegno internazionale tenutosi a Caltagirone a giugno u.s. dal titolo L’attualità di un impegno nuovo. Certamente don Sturzo dava priorità agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, ma la sua attualità di fronte alla sfida della nuova questione sociale che ci troviamo ad affrontare è che il suo messaggio è profondamente, intrinsecamente laico ovvero rivolto alla difesa dell’umanità in quanto incalpestabile, sacra nella sua dignità e indiscutibile nei suoi diritti per cui oggi come ieri “essere liberi e forti significa andare controcorrente, farsi difensori coraggiosi della dignità umana in ogni momento dell’esistenza: dalla maternità al lavoro, dalla scuola alla cura dei migranti” (citazione dall’intervento al Convegno del Card. Gualtiero Bassetti). Credere ancora nel progetto europeo, dunque, è vincente. Non è una questione solo sociale, ma anche economica, politica, demografica, di visione lungimirante del futuro. E poiché è del domani che si parla sono proprio i protagonisti, ovvero i giovani, a far capire quale sia, oggi, la questione. L’idea iniziale dell’Unione Europea è oggi superata nella concretezza del vivere ma non nell’ideale primigenio: le nuove generazioni, infatti, non credono e non vogliono l’Europa legata prioritariamente al piano politico e a quello finanziario. Consapevoli e complici delle reali opportunità date dalla globalizzazione, essi spingono per la realizzazione di quelli che il demografo Alessandro Rosina definisce gli Stati Uniti d’Europa dove la parte da leone è giocata, contestualmente, dalla cultura, dalla libertà e dalla centralità della persona. I giovani chiedono un’Europa migliore, più lungimirante e orientata al futuro non del solo continente europeo, ma allargato all’intero pianeta coinvolto dalla globalizzazione dei problemi e delle relative soluzioni. Faccio riferimento non solo alla questione migratoria, ma anche a quella climatica, demografica, economica. Perché un tale processo di mondializzazione sia realizzato occorre condividerlo e costruirlo insieme ai giovani e alle nuove generazioni forti dell’esperienza degli anziani sicuramente ma prestando attenzione ai guizzi di novità, alla spensieratezza e perché no? Anche alla buona e giusta dose di rischio che solo l’essere giovani sa prendersi e portarsi con sé. Quanto contano cultura e ricerca nella vita quotidiana? Sia questa la giornata da cui emerge quanto sia importante dedicare tempo, risorse, creatività allo studio. Troppe volte ascoltiamo che l’Italia è, per la ricerca, una Cenerentola rispetto ad altre nazioni europee e rispetto all’intero panorama internazionale. Pochi fondi ma non poche idee né tantomeno poco impegno. Lo riscontriamo dai tanti talenti italiani impegnati nella ricerca su tutti i campi ma fuori dei confini nazionali. E lo vediamo dalle ricerche che vengono portate avanti nonostante i più diversi ostacoli dalle accademie italiane e dagli altri luoghi preposti a questo compito. Sia questa giornata l’occasione per ribadire che un paese che cura la ricerca e lo studio, che solo una nazione che studia se stessa, la propria storia è destinata a progredire nella “corsa” alla comprensione di ciò che accade ma soprattutto a mettere a frutto le strategie migliori per superare le crisi vissute. In questa linea, proprio ieri il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricordava che “la ricerca è un motore di solidarietà e della società, un motore sempre più importante in ogni ambito della vita civile” ed anche “un aiuto concreto alle persone e alle famiglie”. Da troppi anni ormai anche dalle pagine del Rapporto Italiani nel Mondo viene posto l’accento sulle problematiche costanti e divenute più che strutturali per l’Italia: la pregnante disoccupazione; l’invecchiamento della popolazione; la grave denatalità; la mancanza di politiche d'integrazione e di sostegno alle famiglie e ai giovani che, sempre più demotivati e per troppo tempo tagliati fuori dal mondo del lavoro e dal welfare, si rivolgono all’estero; la regressione culturale che ha portato a rigurgiti xenofobi e all’individualismo più sfrenato. Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019 ci ricorda quanto lo “stare sul pezzo” sia la giusta strategia. Ogni anno si tratta di studi che non sono mai ripetitivi, perché il fenomeno migratorio come e più di ogni altro fenomeno sociale, è costretto dal mutamento, dal cambiamento, dalla trasformazione. Da sempre la Chiesa è, quindi, luogo di cultura ed è chiamata a stimolare a nuove conoscenze, chiare e corrette informazioni sui fenomeni sociali troppe volte preda di opinioni disturbate, distorte e strumentalizzate. Viviamo un tempo paradossale: gli strumenti a nostra disposizione hanno reso il mondo a portata di un click. Abbiamo sicuramente tutti molta più possibilità di conoscere la realtà, ma finiamo col lasciarci influenzare, molto più che in passato, dal sentito dire, dalle fake news a volte strumentalmente costruite per distorcere quanto vediamo intorno a noi. La Chiesa continua a studiare. Siano la multidisciplinarietà, l’apertura all’incontro con altri studiosi, il lavorare insieme i segreti del lavoro del domani su cui puntare, un metodo che non solo arricchisce il confronto teorico, ma la crescita umana al di là delle appartenenze e delle identità di ciascuno. Scopro da queste pagine cosa è il “laboratorio multiculturale professionale”, questa redazione transnazionale tra l’Italia e l’estero che si è impegnata a donarci questo lavoro. Possiamo davvero lavorare insieme per un fine comune? Diventi questo l’impegno primario per il nostro futuro. Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy è il titolo dato allo speciale di quest’anno del Rapporto Italiani nel Mondo e non poteva essere trovato tema più attuale. Interrogarsi con onestà e riflettere con rigore sulla percezione e la conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano serve non solo a fare memoria di sé, ma diventa motivo di migliore comprensione di chi siamo oggi e, auspichiamo con la lettura e i ragionamenti a partire dalle pagine qui presentate, di chi vogliamo essere. Sorprende, amareggia, incupisce leggere dei tanti episodi di denigrazione ai quali gli italiani sono stati sottoposti in passato come migranti, ma amareggia ancora di più trovare episodi e appellativi oggi, rendersi conto che ancora, a volte, persistono questi atteggiamenti di discriminazione o, addirittura, ne sono nati di nuovi come nel caso della cooperazione internazionale ad esempio. A volte è la stessa Chiesa ad essere stata oggetto di tali accuse. Oggi, non lo nascondo, è al centro delle discussioni più animate proprio per il tema della mobilità. Intervenendo a un convegno a marzo scorso dal titolo “Una strategia per l’Italia” ho ringraziato Piero Schiavazzi per la sottolineatura che ha dato della Chiesa che per lo Stato italiano “più che un ‘vincolo’ è uno ‘svincolo’, un accesso preferenziale all’autostrada della mondialità, una risorsa disponibile in casa”. «Aggiungo che a tale risorsa si può attingere con fiducia, nella consapevolezza che come Chiesa non perseguiamo né privilegi di bottega, né ambizioni velleitarie con cui sostituirci alla responsabilità delle istituzioni politiche: se a volte ci troviamo a svolgere determinati compiti è piuttosto per spirito di supplenza e non per mancanza di rispetto per la laicità dello Stato, nei confronti del quale esprimiamo la nostra piena collaborazione a sostegno dei diritti fondamentali dell’uomo e della costruzione del bene comune» (citazione presa dal discorso tenuto al convegno Limes del marzo 2019).