Nella diocesi sono circa quaranta le comunità di stranieri cattolici: la più rappresentata è quella filippina che, solo a Santo Stefano, parrocchia “personale” dei migranti nella diocesi, conta otto comunità. Secondi per numero i latino-americani, in particolare i salvadoregni. In espansione, per ragioni comprensibili, anche gli ucraini che dopo il trauma iniziale della guerra si stanno stabilizzando nel territorio, mentre la comunità di migranti più antica in diocesi è quella etiope-eritrea, già presente dalla fine degli anni ’70. Le organizzazioni cattoliche di stranieri fanno capo a 24 cappellani che seguono diverse comunità strutturate con differenti tipologie: le parrocchie “personali”, le cappellanie, le missioni “in cura d’anime”. Nella vita delle comunità straniere di fedeli le difficoltà più significative, spiega don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio Migrantes e parroco di Santo Stefano, «sono quelle relative al rapporto generazionale. Tra i giovani c’è chi è nato nel proprio Paese di origine e chi in Italia, non esiste un modello di riferimento univoco. È più rappresentativo, invece, il rapporto tra padri e figli, dove la fatica vera è la differenza culturale anche quando la fede, in maniera sentita, è praticata da parte di entrambi».