Tag: Mobilità umana e migrazioni

Quando la morte parla di vita…

1 Aprile 2021 - «Di buon mattino, le donne si recarono alla tomba portando con sé gli aromi… ma non trovando il corpo del Signore Gesù, corsero a darne l’annuncio». È questo il passaggio del Vangelo, che viene in mente, quando prendo il tempo di contattare per un saluto le famiglie dei nostri missionari defunti. E senti parlare le donne di casa… Sì, parlano di una vita piena, dove «tutto è compiuto». Nel segno dell’amore. Di un vuoto immenso, ma anche di una presenza misteriosa che continua. Parlano dei loro missionari. «Sa, così ho preso il gusto di pregare sempre le lodi, ogni mattino». Ve lo dice con pudore e una piccola gioia nascosta. È la cognata, al termine del suo racconto. Ad Anguillara veneta, paesaggio ispirato dal calmo, maestoso e abbondante scorrere dell’Adige. Con decisione, poi, vi indica un grande fico ombroso, proprio davanti casa. «Ecco, sotto lì, ogni mattina, padre Gino si sedeva d’estate, quando era con noi, per recitare le sue preghiere». La loro vecchia cucina contadina ha preso una strana e nobile aria di pinacoteca: sulle pareti quadri belli, contemplativi, dal tratto un po’ naïf, frutto della vena pittorica del missionario. Nell’aria sono rimaste ancora sospese le sue parole di quando era in America, da dove arriva, ogni tanto, una telefonata per dire grazie, «di averlo conosciuto sul nostro cammino». Sorprendente maniera di esprimersi da un altro continente, che tocca il cuore. Ma, soprattutto, nell’animo dei suoi resta una convinzione. Padre Gino Marzola la ripeteva spesso come un mantra: «L’unica cosa nella vita di cui non ho rimpianti è di essermi fatto missionario scalabriniano». Oh sì, padre Gino, da lassù continua a pregare per i tuoi fratelli scalabriniani. Per una vita intensa, senza rimpianti! Vanda, ancora dopo anni, raccontandovi la storia si emoziona. Era da poco arrivato, entusiasta, padre Angelo, giovane missionario, alla sua missione di Marchienne-au-Pont, in Belgio. E quasi subito dopo, scoppia la tragedia.  Quella di Marcinelle: una delle più gravi tragedie minerarie della storia. Era l’8 agosto 1956. Vi morirono tra i tanti ben 136 italiani. E lui, il giovane missionario, eccolo con la sua moto a fare la spola continuamente tra le famiglie e la miniera. Per informare, consolare, sostenere, benedire. Prendersi cura, insomma, di troppe famiglie italiane emigrate, sprofondate in un mare di disperazione. Un vero trauma anche per lui. Vissuto, però, con altrettanta forza d’animo. Poi, poco dopo, lui stesso si ammala di una malattia rara, che solo al giorno d’oggi potrebbe essere curata. Lourdes lo vede tra i suoi pellegrini. Alla grotta depone la sua foto: un volto bello, spirituale, lineamenti dolci, occhi luminosi, e un cuore da combattente. Muore a 30 anni. A Arco, durante la malattia, qualcuno annota: «È un esempio a tutti per la sua pazienza: mai si lamenta di cose o persone, in completo abbandono alla volontà di Dio». Poi, Vanda, la cognata, riprendendosi dal racconto, riflette e la senti esclamare: «Come sono cambiata quando mi sono sposata, conoscendo questa famiglia così buona, e generosa!» Una sorella del missionario, pure, si fa religiosa, a Bologna. Un giorno, poi, lei, Vanda, con la sorella del missionario (che proveniva, emigrante, dall’Australia) si porta al seminario di Bassano, dove, per caso, al cimitero trovano la tomba aperta per dei lavori in corso. Nella bara scoperchiata se lo guardano a lungo, con emozione… sempre lui, stessi lineamenti, stessa pace. Se lo portano a casa, a Cassola (VI), per averlo vicino. La loro stessa strada prende il suo nome, «via padre Angelo Toniolo». Sì, il suo cuore da combattente batte ancora. «Andare all’aeroporto di Venezia per accoglierlo era per noi sempre una vera gioia». Da qui incominciava la festa. Tornava dal suo Brasile, dove rimase tutta una vita. E Adriana continua: «Con noi ha celebrato il suo 50mo di sacerdozio e poi tutti al ristorante. Così, una volta, il nostro 25.mo di matrimonio e ancora tutti al ristorante. Restava non molto con noi, perché girava di casa in casa, tra tutti i parenti». Sempre una visita, uno scatto di vita, un racconto diverso della sua terra di missione. Con la sua gioia missionaria, padre Francesco Lollato, incendiava il clima abitudinario, stressato e quasi monotono di quel pezzo di Veneto, Rosà e dintorni. Raccontava con mille particolari le iniziative e i miracoli che faceva laggiù, in terra "brasileira", come pastore dinamico e originale. Per esempio, quando domandò ad ogni famiglia di riscrivere una pagina di Bibbia. Sì, su un foglio enorme doveva esprimersi chi con un salmo, chi con un racconto, o chi con un personaggio visto con i propri occhi, mettendovi le proprie cadute, i momenti di fede, di scoraggiamento o di amore per l’altro. Ne era uscita una Bibbia gigante, originale, di varie dita di spessore, scritta dal popolo. E fu portata, una domenica, in processione, in un clima di esultanza comunitaria indescrivibile. Come se Dio stesso, quel giorno, avesse riscritto le sue parole sulle due tavole. Ha voluto, infine, essere sepolto nella «sua Rondinha». Farsi terra con la terra che amava. Il sindaco della città dichiarava allora: “Per la gente padre Francesco è stato un medico, un ingegnere, un professore, un sindaco, un padre ed era sempre consultato nelle decisioni che riguardavano la città». Al suo paese natale rimane vivo il ricordo delle tavolate insieme ad amici e parenti, specie alle vigilie del suo ritorno in Brasile, ogni 4 anni. La convivialità, l’armonia per lui erano regine. E poi, ognuno fece scivolare nelle sue tasche un’offerta, perché continuasse laggiù i suoi miracoli. Così, il Brasile qui - pur senza mai vederlo - è rimasto vivo nel cuore di tutti. Due suoi fratelli erano andati apposta in Australia, per convincerlo. Per portarselo a casa, per sempre. La malattia di padre Nazareno Frattin era grave e avanzata. Tutta la Congregazione scalabriniana, dispersa nei cinque continenti, era in preghiera per lui. Ma lui preferiva semmai morire tra i suoi migranti, in terra australiana. In finibus terrae. Sì, in capo al mondo: qui tutta - ma veramente tutta - la gente lo amava. E lui ricambiava con la sua abituale dolcezza e spiritualità. «Almeno potremo portarti un fiore, se torni a casa, - erano le parole di uno dei fratelli - sarai vicino a noi, solo questo ci potrà consolare!». La promessa del fiore l’aveva commosso e, in fondo, convinto. Così, «come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse bocca» (Isaia)e li seguì. Dopo soli quattro giorni, tutto il popolo del paese era in chiesa, per presentarlo a Dio. Non tanto per piangere. Ma per dirgli grazie di un dono così grande: il loro figlio più bello, missionario lontano, spentosi appena cinquantenne. Amava la vita, ma soprattutto il canto, vi racconta Margherita. Tutti in famiglia, d’altronde, erano cantori o musicisti. E lui già in seminario per i giovani seminaristi era il maestro di musica. Sì, in anticipo si presentava in paradiso. Ansioso, forse, di conoscerne le melodie, e perdersi tra il coro degli angeli, dei patriarchi e dei profeti. Un fiore sempre fresco, intanto, gli tiene compagnia sulla terra, a Casoni. Ce lo assicura la cognata, Margherita, proprio l’altro giorno. Con un sorriso dentro di pace e di nostalgia. «Il Signore è Risorto proprio per dirvi che di fronte a chi decide di ‘amare’, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda, non c’è macigno sepolcrale che non rotoli via» ricorda, in fondo, ad ognuno un vescovo di frontiera. Il suo nome era Tonino Bello. (Migrantes Marche - P. Renato Zilio)  

Modena: domani Via Crucis in ricordo delle vittime di tratta con mons. Castellucci

1 Aprile 2021 - Modena - «Sulle vie della libertà» con le vittime di tratta. Questo il tema della Via Crucis promossa, per Venerdì Santo alle ore 17, dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, dagli Uffici Migrantes di Modena-Nonantola e Carpi, dall’Ufficio Migrantes di Reggio Emilia, dall’Associazione Rabbunì Reggio Emilia, dall’Missio di Modena-Nonantola, con l’adesione di diversi Uffici della stessa diocesi. A presiedere la Via Crucis l’arcivescovo di Modena-Nonantola e Carpi, mons.  Erio Castellucci. La celebrazione si svolgerà nella chiesa di Cittanova e sarà trasmessa in diretta sul canale Youtube “Missio Modena”.  

 

Milano: ragazzi di seconda generazione in prima linea contro il razzismo

23 Marzo 2021 - Milano - Prevenire e combattere il razzismo e la discriminazione attraverso il coinvolgimento attivo di giovani e adolescenti di seconda generazione. E' questo l'obiettivo di “AL.FA.PER L’Altra Faccia della Periferia, oltre le fake news, contro il razzismo e le discriminazioni”, il progetto realizzato da Fondazione ISMU grazie al contributo dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) per sensibilizzare, anche attraverso il coinvolgimento delle associazioni di quartiere, i residenti della zona Molise/Calvairate di Milano nella lotta ai comportamenti discriminatori. Grazie a specifici workshop creativi, un gruppo formato da 12 ragazzi tra i 13 e i 24 anni ha prodotto due video-tutorial su come riconoscere e decostruire le fake news e su come non essere razzista. I prodotti video realizzati dai ragazzi sono diffusi durante e dopo la XVII settimana d’azione contro il razzismo-Keep Racism Out, in programma fino a sabato 27 marzo 2021, tramite i canali di comunicazione web e social della rete dei soggetti coinvolti nel progetto. e saranno presto disponibili sul sito della Fondazione ISMU.  

Roma: di origine rumena il neo vescovo ausiliare

23 Marzo 2021 - Roma - "Ci rallegriamo perché in questa scelta vediamo anche riconosciuto il contributo prezioso alla città e alla Chiesa di Roma da parte di tanti migranti". Così il direttore generale della Fondazione Migrantes, don Giovanni De Robertis, commenta la nomina di don Benoni Ambarus a vescovo ausiliare di Roma, assegnandogli la sede titolare di Tronto. Il nuovo presule, attualmente direttore della Caritas diocesana di Roma è originario della Romania. È infatti nato, il 22 settembre 1974, a Somusca-Bacau. In Italia è arrivato nel 1996 per gli studi ed è stato ordinato sacerdote a Iasi (Romania) nell'anno 2000. L'anno successivo è di nuovo a Roma. Due anni fa la nomina a direttore della Caritas romana in sostituzione di mons. Enrico Feroci, oggi cardinale. «Non è facile per nessuno – ha sottolineato il card. Angelo De Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma annunciando la nomina - incarnarsi in una realtà umana ed ecclesiale diversa dal proprio Paese d’origine. L’esperienza personale ha reso don Ben molto sensibile alle condizioni di chi vive in mezzo a noi da immigrato in una terra straniera, alla ricerca di un lavoro e di una condizione stabile. Stiamo parlando di una porzione enorme degli abitanti di questa città: oltre mezzo milione di persone, il 12,8% della popolazione romana». L’episcopato del nuovo vescovo è «segno concreto - ha aggiunto - dell’attenzione di Papa Francesco verso questa realtà umana, in particolare verso le tante comunità cristiane cattoliche (sono più di 150) che ogni domenica si riuniscono con il loro cappellano per la celebrazione dell’Eucarestia».  

Padre e madre, insieme perché insostituibili

23 Marzo 2021 - L’amore alla sposa diventata madre e l’amore ai figli sono per l’uomo la strada naturale per la comprensione e la realizzazione della sua paternità. Soprattutto là dove le condizioni sociali e culturali spingono facilmente il padre ad un certo disimpegno rispetto alla famiglia o comunque ad una sua minor presenza nell’opera educativa, è necessario adoperarsi perché si recuperi socialmente la convinzione che il posto e il compito del padre nella e per la famiglia sono di un’importanza unica e insostituibile. (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.25, 22 novembre 1981) Anche riguardo alla figura dell’uomo quale sposo e padre, Giovanni Paolo II ha parole profetiche che anche oggi risultano particolarmente attuali. La sposa è carne dalla sua carne e ossa dalle sue ossa e da questo riconoscimento, che risale alla Genesi, deriva l’eguale dignità della donna rispetto all’uomo. Sposo e sposa vivono “una forma tutta speciale di amicizia personale”, ma ancora di più l’amore che lo sposo ha per la propria sposa è, in virtù del sacramento, la stessa carità che Cristo ha per la Chiesa. Una dimensione che talvolta fa mancare il fiato per quanto è alta, eppure è a questo che i coniugi cristiani sono chiamati. Una complicità fatta di sostegno reciproco ma uno di fronte all’altro con piena e integrale dignità. Per vivere in questo modo, con questa intensità, la relazione di coppia, ci vuole coraggio, prima di tutto il coraggio di saper andare controcorrente rispetto ad un contesto culturale che ancora considera normale, per esempio, che i padri siano più disimpegnati rispetto all’accudimento dei figli e alla loro educazione. Nonostante i proclami di parità fra i sessi, bisogna riconoscere che se sono stati fatti tanti passi in avanti, rispetto al 1981, ancora c’è da impegnarsi perché non sia considerato strano, per esempio, che i padri prendano congedo parentale per assistere moglie e figlio subito dopo il parto; è bello vedere padri che si occupano dei loro figli piccoli, li cambiano, li nutrono, giocano con loro. Si tratta di abitudini che i genitori di oggi hanno assunto con sempre maggiore convinzione, differenziandosi dalle generazioni precedenti in cui le mamme erano sostanzialmente le uniche gestrici della prole. Ormai sulla carta è assolutamente conclamato che la presenza del padre in casa sia fondamentale per la crescita armonica dei figli. Il Papa stigmatizza anche il fenomeno del “machismo”, una deriva che vede nell’uomo un “cacciatore” alla ricerca spasmodica di soddisfazione e che vorrebbe riconoscere al maschio una superiorità che, invece, oggi non ha più alcuna ragion d’essere. Quanto è più benefico, invece, che gli uomini si dedichino alle loro mogli e ai loro figli sapendo differenziare le loro azioni, rispetto alla sola attività lavorativa. Spesso si dice che i padri recuperano la mancanza di tempo passato coi propri figli con piccoli momenti “di qualità”, ma è una teoria fragile e nulla può compensare davvero l’assenza, soprattutto quando i figli chiedono ascolto, comprensione, sostegno. Oggi non possiamo più permetterci di credere che sia sano competere fra i coniugi su chi sia più gratificato dal proprio lavoro: è tempo di orientare la vita della famiglia dando alle professioni il giusto posto. Non viviamo per lavorare, ma lavoriamo per vivere e dobbiamo riconoscere che questo cambia le cose, vuol dire assumersi come prima responsabilità non quella di portare a casa lo stipendio ma quella di essere uno sposo tenero ed affettuoso, un padre accogliente perché niente come questo cementa la famiglia. Si può pensare che la roccia su cui costruire la propria casa siano le risorse economiche, ma non è così. Ai fidanzati non si finirà mai di trasmettere la convinzione che prima viene il riconoscimento del dono che si è l’uno per l’altro e come questo dono non possa essere mai dato per scontato, ma vada alimentato quotidianamente. Uomini e donne coraggiosi sono quelli che sanno riscoprirsi ogni giorno e hanno l’acume affettuoso di accogliere quello che l’altro è prima di quello che l’altro fa. (Giovanni M. Capetta)    

Con Cuore di Padre: l’editoriale di Migranti-Press

19 Marzo 2021 - Roma - Lo scorso 8 dicembre, festa di Maria Immacolata, Papa Francesco ha promulgato una lettera apostolica sulla figura di San Giuseppe, in occasione del 150° anniversario del decreto “Quemadmodum Deus” con cui Pio IX dichiarava Giuseppe patrono della Chiesa Universale. Le prime parole del nuovo documento, che secondo l’usanza ne sono divenute il titolo, sono “Patris corde”: “con cuore di padre”. Con la parola “padre” iniziano tutti e sette i paragrafi del documento, in ognuno dei quali viene evidenziato un particolare aspetto della figura dello Sposo di Maria: padre amato, padre nella tenerezza, padre nell’obbedienza, padre nell’accoglienza, padre dal coraggio creativo, padre lavoratore e padre nell’ombra. Oggi, 19 marzo, festeggiamo San Giuseppe in circostanze fino a poco tempo fa inimmaginabili. Da un anno gran parte dell’umanità vive nell’angoscia causata dalla pandemia da Covid-19, sia pure nell’alternarsi di periodi in cui l’emergenza è più pressante e di altri di relativa tregua. Ormai molti cominciano a vedere il futuro in maniera sempre più cupa, e hanno quasi perso la speranza di superare questa situazione mai vista prima. In un certo senso, esiste un’analogia tra il tempo che stiamo vivendo e la situazione che aveva di fronte a sé Pio IX nel 1870, quando la modernità e le sue ideologie di tipo nuovo stavano cominciando a modificare profondamente la mentalità non solo delle élites ma delle persone di ogni ceto, facendo crollare le certezze sulle quali si erano sempre rette la società e la Chiesa. Questa situazione causava angoscia in molti, ed anche nel Papa. Poteva sembrare che la Chiesa si trovasse in pericolo mortale; oggi sappiamo che anche quella prova fu superata, ma, come scriveva Pio IX, molti uomini empi immaginavano che le porte degli Inferi stessero per prevalere. In quel momento di grande difficoltà Pio IX e Leone XIII vollero affidarsi al patrocinio di un Santo che fino ad allora la Chiesa nel suo insieme aveva preferito tenere un po’ da parte, con l’eccezione di alcune figure come Santa Teresa d’Avila e altri. La figura di San Giuseppe è quella di un uomo del tutto comune, almeno in apparenza, ma al tempo stesso è molto difficile da spiegare alla gente; per certi aspetti si può dire che è un uomo che agli occhi del mondo resta assolutamente incomprensibile. Pio IX ha scelto di parlarne tracciando un paragone con il Giuseppe dell’Antico Testamento, colui che procurò il pane per un popolo ormai senza speranza a causa della fame, e per il quale la Genesi usa le stesse parole del racconto evangelico delle Nozze di Cana: “Fate quello che lui vi dirà”. È un modo molto profondo di farci capire la specialissima relazione tra Giuseppe di Nazaret e il Bambino per cui egli ebbe “cuore di Padre”. Il paragone ci serve anche a ricordare sempre la relazione che lega la Chiesa di Cristo agli afflitti, agli scacciati, ai sofferenti, ai forestieri, agli esuli e ai carcerati. Questo elenco, però, non viene dal testo di Pio IX; è invece preso dalla “Patris corde”, in cui fra l’altro vengono anche esplicitamente citate le tribolazioni di “molti nostri fratelli migranti”. Lo stile pastorale di papa Francesco è naturalmente diverso da quello del XIX secolo, e molto più diretto, a costo di rischiare l’accusa di fare del “semplice” catechismo. Sono note a tutti la “predilezione” dell’attuale pontefice per le persone umili e poco appariscenti, e la sua diffidenza verso la mentalità “moderna”, che mette sempre al centro il calcolo economico e l’autoaffermazione ad ogni costo. Tutto ciò emerge con chiarezza anche nelle riflessioni sulla figura di San Giuseppe, del quale si mettono in evidenza soprattutto l’assoluto disinteresse che ne caratterizzò la vita e la gratuità del suo amore per Gesù e Maria, ad imitazione del “cuore di Padre” con cui Dio guarda l’umanità intera.  

FOCSIV: “A Scuola per una società senza discriminazioni”

18 Marzo 2021 - Roma - In occasione della prossima XVII Settimana di azione contro il razzismo, prevista dal 21 al 27 marzo 2021, è stato avviato il progetto FOCSIV “A scuola per una società senza discriminazioni”, con la collaborazione di Comi – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo, socio romano della Federazione, e finanziato da UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, l’ufficio deputato dallo Stato italiano a garantire il diritto alla parità di trattamento di tutte le persone, indipendentemente dalla origine etnica o razziale, dalla loro età, dal loro credo religioso, dal loro orientamento sessuale, dalla loro identità di genere o dal fatto di essere persone con disabilità. Il progetto - spiegano i promotori - vuole essere una risposta concreta ai fenomeni di razzismo e alle situazioni di discriminazione che si verificano in Italia e che non favoriscono lo sviluppo e la crescita di comunità e società inclusive, giuste e pacifiche permeate da una cultura etica e di valori sociali positivi. Il coinvolgimento dei ragazzi delle scuole sul territorio nazionale e la realizzazione di progetti ed iniziative culturali volte all’informazione e sensibilizzazione contraddistinguono l’impegno di FOCSIV e di Comi, «consapevoli della necessità strategica di rispondere con attività concrete ai bisogni immediati, ponendo, nello stesso tempo, le basi per cambiamenti sostenibili di lungo periodo». Il coinvolgimento delle scuole, luogo di formazione e di incontro per eccellenza, caratterizza l’azione della Federazione per educare e responsabilizzare i cittadini di oggi e di domani al cambiamento, verso una società che riconosca e garantisca i diritti altrui e nella quale la diversità sia un valore aggiunto di crescita personale. I giovani studenti ed i docenti saranno coinvolti, in modo partecipativo, in percorsi didattici ed educativi trasversali e interdisciplinari che proseguiranno altresì oltre la XVII Settimana contro il razzismo. Grazie anche alle associazioni della diaspora straniera in Italia, con le quali i promotori collaborano da tempo, sarà promosso l’avvio di un rapporto virtuoso di interconnessione tra le scuole e gli attori sociali dei territori coinvolti, attuando un approccio integrato all’accoglienza e all’integrazione. Sono, inoltre, previste attività di divulgazione, diffusione e visibilità dei contenuti dell’iniziativa come, ad esempio, una Campagna di comunicazione sui social, la realizzazione di un Caffè letterario digitale ed un evento finale in diretta su Facebook sabato 27 marzo 2021.      

Covid 19: oltre 200 i sacerdoti scomparsi. Tra questi alcuni impegnati nella pastorale migratoria

18 Marzo 2021 - Roma – Oggi è la Giornata del Ricordo delle Vittime del Covid 19. In tutto il Paese bandiere a mezz’asta sugli uffici pubblici e un minuto di silenzio, alle 11, in corrispondenza dell’arrivo del premier Mario Draghi a Bergamo, città martire della pandemia. Il momento più solenne sarà la cerimonia che si svolgerà nel capoluogo orobico alla presenza del Presidente del Consiglio. Alle 11 verrà deposta una corona di fiori al Cimitero monumentale della città. Alle 11.15, al Parco Martin Lutero alla Trucca, si svolgerà l’inaugurazione del Bosco della Memoria con la messa a dimora dei primi 100 alberi. Oltre 103mila i morti finora e tra questo molti i sacerdoti che per il loro impegno fianco dei fedeli si sono ammalati ed hanno perso la vita. Dal 1° marzo al 30 novembre scorso – come ricorda Riccardo Benotti nel volume “Covid19: preti in prima linea” edito da San Paolo - sono stati 206 i sacerdoti diocesani italiani che sono morti a causa diretta o meno dell’azione del Covid-19. A essere coinvolto nella strage silenziosa è quasi un terzo delle diocesi: 64 su 225.La concentrazione delle vittime è nell’Italia settentrionale (80%), con un picco in Lombardia (38%), Emilia Romagna (13%), Trentino-Alto Adige (12%) e Piemonte (10%). Segue il Centro (11%) e il Sud (9%). Il mese di marzo 2020 è stato quello che ha registrato il numero più alto di decessi (99). Tra questi alcuni sacerdoti impegnati nella pastorale della mobilità umana. Don Giancarlo Quadri, 76 anni, è stato uno dei primi (è morto il 22 marzo scorso), per anni a fianco degli immigrati in Italia e degli italiani all’estero: dal 1989 al 1993 è stato cappellano Migrantes in Gran Bretagna, dal 1993 al 1996 in Marocco, dal 1996 al 2001 collaboratore di Curia a Milano nell’Ufficio Segreteria per gli Esteri. Cappellano delle Comunità di lingua straniera di Milano dal 2000 al 2014, responsabile di Curia per l’Ufficio Migrantes dal 2001 al 2014, cappellano del Centro pastorale per i fedeli di lingua italiana a Bruxelles dal 2014 al 2017. Per la pastorale accanto ai migranti don Quadri era stato chiamato dal card. Carlo Maria Martini. Grazie a lui – ricorda Benotti nel volume - la chiesa di Santo Stefano diviene il punto di riferimento per le comunità straniere presenti in città, prime fra tutte quelle sudamericane e filippine. A Pero, in provincia di Milano, fa esperienza fa esperienza dell’immigrazione interna dall’Italia meridionale. Durate il suo ministero promuove numerose occasioni di dialogo con i musulmani nel nome dell’integrazione e della convivenza. Impegnato nella pastorale con gli italiani in Belgio mons. Achille Belotti (83 anni), originario della diocesi di Bergamo dal 1974 al 1978 prima di far ritorno in diocesi. Mons. Belotti è morto l’11 marzo 2020 dopo un ricovero di poche ore all’ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo. E ancora don Antonio Audisio, 80 anni, della diocesi di Saluzzo, che, dopo essere stato missionario in Africa, al rientro in diocesi ha seguito la catechesi dei migranti albanesi presenti sul territorio. Don Leonello Birettoni, di 79 anni, originario di Perugia, per tanti anni a fianco dei più bisognosi come i migranti. E tanti altri. «Nei mesi di pandemia da Covid-19, sono tornato spesso con la memoria agli incontri che ho avuto la fortuna di vivere con i futuri preti», scrive nella prefazione al volume il card. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI: «soprattutto nelle settimane di ricovero, perché anch’io ammalato di Covid, gli “appuntamenti” con le mie esperienze passate sono diventati frequenti. D’altronde, in una stanza di terapia intensiva si è anche agevolati da questa sorta d’introspezione. Ho pensato tanto al nostro donarci come sacerdoti; all’amore ricevuto e a quello donato; a tutte le opportunità di fare del bene non sfruttate. Ho pregato per tutti i malati, ho invocato il perdono per tutte le volte che non sono stato all’altezza». Questi sacerdoti sono stati “pellegrini”, come diceva don Mazzolari, “per vocazione e offerta”. Tanti di loro – aggiunge il porporato - «erano ancora in servizio, altri anziani; erano parroci di paesi, figure di riferimento per le nostre comunità, che hanno contribuito a costruire negli anni. Questo pellegrinare nella storia del loro ministero incrocia lo sviluppo sociale, civile e culturale del nostro Paese. Molto spesso si ha poca coscienza della capillarità delle nostre Chiese locali, nelle grandi aree urbane, ma soprattutto nei piccoli centri. Nelle une e negli altri, il pellegrinaggio di tanti sacerdoti sosta nelle vicende gioiose e sofferte degli uomini e delle donne, fino a diventarne tessuto connettivo. È il filo della memoria che si rinnova nell’umanità». (Raffaele Iaria)  

Rispondere “bene” all’odio online

18 Marzo 2021 - Roma – Quali sono le possibili risposte per contrastare l’hate speech, il linguaggio d’odio online, oggi sempre più diffuso e pericoloso? Molto spesso si parla di contro-narrazione, in cui quel contro non indica ostilità o contrasto, ma rifiuto di ogni forma di disprezzo verso l’altro. È qui che si gioca la progettazione di una possibile “rinascita comunicativa”. Tra le proposte di formazione promosse dall’Ufficio nazionale segnaliamo il webinar “Discorsi d’odio online. Le risposte”, che si terrà venerdì 26 marzo (ore 16.00-18.00; Piattaforma Cisco Webex). L’incontro è organizzato dall’Osservatorio sull’odio online MEDIAVOX dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e aperto agli operatori della comunicazione, agli studenti, ai membri delle associazioni ecclesiali che si occupano dei social media. Comunicare e informare bene, rispettando l’etica e la deontologia, è il primo passo da compiere. (Vincenzo Corrado)

Educare al rispetto

16 Marzo 2021 - Della donna è da rilevare, anzitutto, l'eguale dignità e responsabilità rispetto all'uomo: tale uguaglianza trova una singolare forma di realizzazione nella reciproca donazione di sé all'altro e di ambedue ai figli, propria del matrimonio e della famiglia. Quanto la stessa ragione umana intuisce e riconosce, viene rivelato in pienezza dalla Parola di Dio: la storia della salvezza, infatti, è una continua e luminosa testimonianza della dignità della donna. […]. Purtroppo il messaggio cristiano sulla dignità della donna viene contraddetto da quella persistente mentalità che considera l'essere umano non come persona, ma come cosa, come oggetto di compravendita, al servizio dell'interesse egoistico e del solo piacere: e prima vittima di tale mentalità è la donna. (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, dai nn. 22 e 24, 22 novembre 1981)   La terza parte dell’esortazione apostolica Familiaris Consortio si apre con un monito che è stato da molti giustamente ripreso: “Famiglia, diventa ciò che sei!”. Un monito che è anche un auspicio secondo il quale la famiglia nel disegno di Dio Creatore e Redentore può davvero trovare la sua piena identità ed anche la sua missione. Come si organizzano i compiti della famiglia cristiana? Prima di tutto nella formazione di una comunità di persone, poi nel servizio alla vita; con la partecipazione allo sviluppo della società e con la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa. Nell’ambito del primo gruppo di compiti, dopo alcuni paragrafi che il Papa dedica alla natura indissolubile della comunione di amore che si instaura fra i coniugi, l’esortazione si sofferma sui diritti e compiti della donna. Una privilegiata attenzione che il Sinodo ha voluto rimarcare con spirito profetico richiamando l’eguale dignità e responsabilità della donna rispetto all’uomo. Fondare questa uguaglianza di maschio e femmina nel disegno della Creazione è di vitale importanza per riconoscere alla donna dei diritti che la storia ha spesso negato. Donna è Maria Vergine attraverso cui il Verbo si fa carne, donna è Maddalena a cui per prima si rivolge Cristo risorto. La Parola di Dio è una fucina di donne che hanno inciso profondamente nella società a cui appartenevano e la Chiesa non può che riconoscere il pieno diritto delle donne di accedere ai compiti pubblici e vedere nel contempo riconosciuto l’onore e l’onere – spesso affidato loro in esclusiva – del lavoro domestico e dell’accudimento della prole. Se da un lato le donne non dovrebbero essere costrette al lavoro fuori casa e dovrebbero, se lo vogliono, potersi occupare solo della casa senza perdere in rispetto e dignità da parte degli uomini; così le donne oggi devono poter competere con gli uomini in ogni ambito del sapere e del lavoro umano. C’è da sviluppare un’attenzione più che alla parità, alla complementarietà, in un progetto organico che vede uomini e donne cooperare per lo sviluppo della società e nel contempo una crescita armonica delle famiglie. Purtroppo come nel passato le donne sono state vittime di una sottomissione indebita, ancora oggi subiscono discriminazioni che non hanno fondamento alcuno e sono da condannare con determinazione. Dalla strumentalizzazione della persona come cosa derivano tante forme di iniquità come la schiavitù, l’oppressione dei deboli, la prostituzione e la pornografia. Ci sono, poi, alcune categorie di donne che più di altre subiscono le discriminazioni che derivano da una visione materialista della realtà: sono le spose senza figli, le vedove, le separate, le divorziate, le madri nubili. A tutte queste persone il Papa rivolge un’attenzione speciale. Sono ormai passati quarant’anni da questa presa di posizione di Giovanni Paolo II, ma da allora la Chiesa non ha mai abbassato la guardia nei confronti della fragilità con cui spesso il genere femminile deve confrontarsi nel suo approccio al mondo. Non più tardi di una settimana fa, in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, così ha scritto l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini: “L’uomo senza la donna, la donna senza l’uomo cantano la malinconica elegia dell’incompiuto. Contro la viltà del prepotente, contro la violenza ottusa che colpisce, contro la pretesa aggressiva di possedere, contro la perfidia dell’umiliare, alzerò il grido della protesta. E sarò la voce di ogni donna ferita, di ogni giovinezza negata, di ogni bellezza sfruttata, di ogni fedeltà tradita”. Se la contemporaneità non ha fatto tanti passi in avanti in questo senso, compito della comunità cristiana non è in prima istanza quello di produrre leggi a protezione della donna – onere che va alle istituzioni – quanto quello di educare le coscienze ad un rispetto che dovrebbe essere naturale, ma spesso non si dà come dovrebbe. È vitale per la crescita armonica delle nostre famiglie che le donne si sentano libere di essere professioniste, mogli e madri in un contesto sociale che valorizzi sempre il loro ruolo senza approfittarsi di esse o sminuirne gli sforzi. Al di là di decreti e quote rosa, sono le anime che devono essere educate e questo, ancora una volta, è in famiglia che avviene fin dai primi anni di vita. Una convivenza fra maschi e femmine che si alimenta di rispetto, accoglienza e comprensione in un cammino lungo e a tratti faticoso ma in cui non ci si può fermare. (Giovanni M. Capetta​)  

Osservatorio Migranti: webinar sulle condizioni lavorative delle donne migranti

15 Marzo 2021 - Modena - "Le condizioni lavorative delle donne migranti: norme, prassi e casi dal territorio modenese". Questo il titolo del webinar online promosso dall’Osservatorio Migranti del CRID dell'Università di Modena e Reggio Emilia, in collaborazione con il Centro “Adir - L’altro diritto” dell’Università di Firenze, all'interno delle iniziative post Festival della Migrazione. All'incontri - che si svolgerà il 26 marzo alle ore 11, interverranno Francesco De Vanna, Letizia Palumbo e Thomas Casadei del CRID e vi saranno le testimonianze di Soumaya Bakkali, Shyrelin Diaz, Lucica Dumbrava.  

Per un « noi » sempre più grande…

12 Marzo 2021 - Loreto - Ho preso in mano il telefono, giorni fa, per salutare qualche famiglia dei nostri missionari. Quelli partiti - e seppure abituati ai viaggi - per quel «lungo viaggio senza valigie» e senza ritorno… Vivono, ormai, nel mistero dell’abbraccio di Dio. Far sentire, così, ai loro familiari come siano parte, essi stessi, della nostra famiglia scalabriniana. E farlo da Loreto. Dove si venera non un’apparizione, nè un’immagine della Madonna, ma una «casa». La casa di Maria : una vera icona. Perchè parlare di casa, di trovare casa, di sentirsi a casa là, dove il destino vi porta,… è il sogno più grande di un migrante. E «casa» dice sempre famiglia e il suo tesoro, lo spirito di famiglia. Spirito inclusivo, per eccellenza. Spirito del «noi». Al telefono, la voce di Giovanni Miazzi, il fratello di padre Antonio. Era tornando a casa dall’Australia, un giorno, che il missionario perdeva la vita in India, in un incidente aereo. Aveva solo 30 anni. Il ritratto, fatto dal Superiore generale, Larcher, non poteva essere più bello: «ottimo sacerdote e religioso, vero missionario, egli ci lascia esempio di vita piena, austera, sacrificata, degna del più vero ideale scalabriniano». Giovanni, ora come allora, ha sempre un nodo alla gola, un’amarezza dentro, pensando a quel funerale di Antonio, nel seminario di Bassano. Proprio là, dove era cresciuto, giovane seminarista, carico di speranza e di promesse. Parlarne gli fa tanto bene. Le ferite profonde vanno sempre accarezzate. A Angelo Ferrari, in Piacenza, fratello di padre Amerio, pare sempre di rivederne il volto dappertutto. Con quel mezzo sorriso sornione negli occhi, un carattere amabile e frizzante. Sì, assomigliava al vino di queste terre, il rosso Gutturnio, fresco e pétillant. I ricordi, allora, spumeggiano, il cuore si apre… A un certo punto, la voce al telefono non si ode più. L’emozione ha preso ormai il sopravvento. Della famiglia di padre Pietro Celotto un nipote si mostra fiero del loro missionario, per le sue tante peripezie e il coraggio dato a piene mani. Come quando, a sessant’anni suonati, approda nella metropoli londinese, senza sapere una sola parola di inglese. Lui stesso ne restava ammirato, come il viverci per tanti anni. Poi, dal cimitero del paese il giovane invia il giorno stesso la foto della sua tomba. Ordinata, pulita, fiorita di rosso perfino in pieno inverno (per la cura di due donne)… proprio come era padre Pietro. Sicut in vita, sic in morte. Liberato Properzi si affretta a comunicarvelo, dopo esserci stato di persona. A Boston, nel quartiere Sommerville, c’è «Properzi way», una via dedicata allo zio, padre Nazareno, da Corridonia, borgo antico delle Marche. Ne è  fiero, respira mondo. Ma i suoi confratelli ne avevano fatto già un monumento, eleggendolo provinciale per una dozzina d’anni, capitolare, economo, e dandogli responsabilità di parroco fino all’ultimo giorno. Superiore prudente e illuminato, spirito dolce e talento  pittorico, un vero riflesso dell’animus delle Marche, regione dal paesaggio invidiabile, tutto colline, antichi borghi e sapore d’infinito. Lamberto Minchiatti, invece, dalla terra umbra ricorda le tante volte che fu in America per visitare padre Francesco, lo zio. Occasioni straordinarie per aprirsi a un altro mondo. Lo ha voluto accanto, poi, nella sua tomba di famiglia, riportato da laggiù. Perchè padre Francesco adorava la sua terra. Quando era qui in vacanza, si metteva in giardino, con un paesaggio incantevole, lasciandosi sfuggire: «Deve essere proprio così il paradiso ! Anche se, per me prete, non è una certezza, ma una speranza…» Da qui, «Checchino» era stato strappato a undici anni dal parroco stesso, convinto della sua chiamata, per accompagnarlo in un lunghissimo viaggio in treno all’Istituto dei missionari scalabriniani di Bassano (Vi), appena aperto. Il seminario di Perugia chiedeva una retta, cosa impossibile per la famiglia. Sognava di terminare i suoi anni a Loreto, all’ombra del santuario. Ritornare, finalmente, cosí, alla sua terra e alla sua pace. Donato Cogo vi parlerebbe per ore del loro «Bepi», come lo chiamavano tout court. A cominciare da quando padre Giuseppe tornava dall’America in clergyman, mentre la mamma, contrariata, pretendeva la veste talare. Arrivava, facendo felici i fratelli con la prima radiolina o il primo rasoio elettrico, portato da oltreoceano. Se lo ricordano ancora da ragazzi, quando bisognava andare a pescare i «marsoni» nei fossi, che in casa, poi, si cucinava per mettere qualcosa sotto i denti. Ma anche quando fece di tutto per imbarcare papà e mamma in aereo e portarseli a Roma in udienza, davanti a Paolo VI. Masterpiece, un colpo da maestro ! Il suo segreto? «Essere allegro, evitare e superare i conflitti» confessa Donato, sintetico. Arte appresa in famiglia, da piccolo, con tanti fratelli, altrettante baruffe. «Ora, è andato avanti !» conclude da vero alpino. Luigino Crevani vi racconterà come il piccolo borgo di Romagnese (Pavia) -  settecento anime in tutto - entrava in fibrillazione, alla sola notizia del prossimo arrivo di padre Decimo dall’America. Allora, ognuno aveva una santa messa da fargli dire. Ma lui non voleva offerte. Solo un caffè, che spesso diventava una cena. La convivialità, é vero, non ha prezzo. A Vergiate, nel lombardo, Antonio, il nipote di padre Silvano Guglielmi vi dirà il piacere di andare a prenderlo, immancabilmente, alla stazione ogni volta che capitasse. La chiesa, allora, di domenica si riempiva, piena zeppa. Perchè lui portava sempre novità: era come un’ondata di vento fresco. Le cose le sapeva presentare con garbo e freschezza, da professore puntiglioso, direbbero i suoi alunni in seminario. E con quel taglio sociale - aggiunge il nipote - che spesso altri preti non hanno per nulla! Allo zio muratore, che non andava a messa, assicurava già il paradiso, guadagnato dal suo duro lavoro… Flavia Zanotto a Nove, attende i suoi 90 anni per maggio. Ma, intanto, accennarle del fratello Padre Francesco la fa sognare. Pensa a quella sua imperturbabile saggezza che sapeva mostrare a tutti, quasi dall’alto di un pulpito. Signorilmente. E quella dolce calma spirituale, che sapeva sempre trasmettere. Dote di un capitano di transatlantico come quello ormeggiato in riva al Brenta - rettore a Bassano - con cui noi, battaglione di seminaristi degli anni ‘60 faceva conoscenza, già dalla verde età di 11 anni. Dove l’avesse preso questo talento resta ancora un mistero. (p. Renato Zilio)   Forse, in fondo, tra le opere di misericordia corporale o spirituale c’è anche questa, per noi. Quella di coltivare i contatti con le famiglie dei nostri missionari defunti. Ne provano una gioia incredibile. Anche per questo li sentono ancora vivi. Con emozione.  

Elogio del tempo

11 Marzo 2021 - Roma - In queste settimane sta emergendo un’esigenza che accomuna un po' tutte le persone: recuperare il senso del tempo. Ne ha scritto Adriano Fabris su Avvenire del 9 marzo: “Il tempo all’epoca del coronavirus si è fatto uniforme e indifferente. Ha perso continuità, si è concentrato nell’attimo”. La riflessione sul tempo rimanda a un certo senso di ordine e, anche, di calma, di lentezza necessaria per vivere con pienezza le singole esperienze e collocarle nel giusto posto. Il tempo, in questo modo, si espande rafforzando i legami e dando ritmo alla comprensione di sé stessi. Per gli operatori della comunicazione questo elogio del tempo è invito a un dialogo interiore per avvertire la responsabilità di porre in relazione l’attimo con l’eternità, il frammento con l’insieme, il provvisorio con il definitivo. Recuperiamo il senso del tempo! (Vincenzo Corrado)  

Visto per 320.000 venezuelani fuggiti negli Stati Uniti

10 Marzo 2021 - Washington - Trecentoventimila venezuelani riparati negli Stati Uniti da un Paese sconvolto da una profonda crisi economica e politica, potranno richiedere la legale residenza per «straordinarie e temporanee condizioni». Un portavoce della Casa Bianca ha annunciato, riferisce l'Osservatore Romano, che l’amministrazione Biden considera queste persone in fuga da fame, malnutrizione, dall’insicurezza determinata dalla presenza crescente in Venezuela di gruppi armati non statali e da infrastrutture al collasso. Tutte premesse perché «il ritorno sia per loro non sicuro». Essere rimandati in patria, è la premessa di questa sanatoria, equivarrebbe a mettere a rischio le loro vite. Per fare richiesta di un visto di 18 mesi basterà dimostrare la presenza continuativa negli Stati Uniti alla data dell’8 marzo. La mossa tiene fede ad una promessa elettorale di Joe Biden: offrire protezione e riparo ai venezuelani fuggiti negli Usa lasciandosi alle spalle il Paese. Un conflitto politico si consuma nello scenario di una catastrofe umanitaria ed economica, sulla quale pesano an che le sanzioni internazionali che accerchiano il Venezuela. Strette limitazioni sono state imposte al commercio di petrolio, fra le principali risorse venezuelane. Anche qui Biden ha ribaltato l’atteggiamento della precedente amministrazione, ma non è disposto però a rimuovere le sanzioni, quanto piuttosto «mirarle» per non infliggere «punizioni non necessarie al popolo venezuelano», come ha spiegato il portavoce dell’amministrazione. La richiesta degli Usa è che si consentano nuove elezioni in Venezuela.  

Migranti: in 59 scavalcano la barriera tra Melilla e Marocco

9 Marzo 2021 - Roma - Circa 150 migranti hanno tentato oggi di superare poco prima dell’alba la barriera che separa il Marocco dalla città di Melilla, situata sulla costa nordafricana. Almeno 59 persone sono riuscite a scavalcare ed entrare in territorio spagnolo, secondo i media spagnoli. Secondo le autorità locali, gran parte del gruppo è stata trasferita in un centro anticovid, dove si realizzeranno test e i migranti verranno sottoposti a quarantena. Due migranti e tre agenti hanno accusato ferite lievi.  

Matrimonio, sacramento d’amore

9 Marzo 2021 - Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati. L'amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce. […] In virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l'uno all'altra nella maniera più profondamente indissolubile. La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.13 – 22 novembre 1981)   La seconda parte dell’esortazione apostolica Familiaris Consortio è molto densa perché è quella dedicata alla esplicitazione del fondamento teologico del sacramento del matrimonio. Ancora una volta il Papa riparte dal “principio” e spiega come essere creato a immagine e somiglianza di Dio che è Amore significa per l’uomo e la donna essere chiamati alla fondamentale vocazione di amare ed essere amati. La Rivelazione cristiana conosce due strade per rispondere a questa chiamata: il matrimonio e la verginità, due strade che si illuminano reciprocamente. In questa ottica la sessualità, la donazione totale dei corpi non può dirsi qualcosa di puramente biologico ma riguarda l’intimità più profonda della persona ed è per questo che l’unico luogo in cui si può esplicitare in pienezza è il matrimonio. Questo sacramento è l’immagine e il simbolo dell’alleanza fra Dio e il suo popolo. Il culmine di questa alleanza si ha con Cristo che si dona sulla croce e gli sposi partecipano proprio di questa natura della carità. Lo Spirito Santo li abilita a questo tipo di amore. Ecco allora il principio dell’indissolubilità, non da viversi come un vincolo ma come la partecipazione piena alla fedeltà di Dio che mai può venire meno. È la stessa partecipazione che attraverso il sacramento rende gli sposi capaci di vivere la fecondità come manifestazione dell’amore di Dio per gli uomini. Gli sposi che diventano genitori sono abilitati ad amare i propri figli e il loro amore è il segno visibile dello stesso amore di Dio.  «Non si deve, tuttavia, dimenticare – scrive il Papa - che anche quando la procreazione non è possibile, non per questo la vita coniugale perde il suo valore». Molte sono le vie per esercitare un servizio alla vita della persona e superare l’ostacolo, pur doloroso, della sterilità, prima fra tutte quella dell’adozione. Quella che il matrimonio crea è la famiglia umana che si inserisce nella famiglia di Dio che è la Chiesa, in un rapporto di reciproca edificazione. La famiglia, chiesa domestica fa crescere uomini e donne che attraverso il battesimo entrano a far parte della Chiesa e questa condivide con la famiglia umana il beneficio della redenzione di Cristo, morto e risorto per essa. Infine il documento papale torna sul rapporto fra matrimonio e verginità. Le due realtà non sono in contrapposizione, ma anzi confermano reciprocamente il valore delle due strade che si offrono all’uomo e alla donna per l’edificazione del Regno dei Cieli. «La verginità tiene viva nella Chiesa la coscienza del mistero del matrimonio e lo difende da ogni riduzione e da ogni impoverimento». Quello formulato da Giovanni Paolo II è un impianto dottrinale ricco ed esaustivo, supportato dalla sapienza di padri della Chiesa come Tertulliano e San Giovanni Crisostomo. Forte del magistero del Concilio Vaticano II e dell’approfondimento di esso già compiuto da Paolo VI, papa Wojtyla elabora una teologia del matrimonio che non aveva ancora ricevuto una tale sistematizzazione. In essa gli sposi possono ritrovare la traccia sicura per la loro vocazione e i riferimenti saldi nella Scrittura e nel Magistero. Il matrimonio che, in quegli anni, ancora non viveva così forte la crisi che oggi sperimentiamo, non può più essere considerato un sacramento di valore inferiore rispetto all’ordine o rispetto alla consacrazione religiosa, ma anzi assume una dignità altissima nell’economia della Chiesa e per questo l’Esortazione Apostolica prosegue con la sua parte più ampia dedicata ai compiti della famiglia cristiana. (Giovanni M. Capetta - Sir)    

I migranti: trent’anni fa la Chiesa salentina era già “in uscita”

8 Marzo 2021 - Lecce - Sino al ’91 a sbarcare su queste coste, di notte e di nascosto, erano soltanto i contrabbandieri. Quasi sempre italiani che trafficavano con le sigarette. E non venivano mai dall’Albania che era uno stato impenetrabile. Poi, improvvisamente, giunse qualche barca malandata, carica di persone prive di tutto. Ci si rese subito conto che si trattava di fuggiaschi che scappavano da una società in disfacimento. Si capì che erano disperati in cerca di fortuna. Avevano bisogno di tutto e guardavano con occhi stupiti e rispettosi. Non chiedevano niente, eppure avevano bisogno di tutto. Molti riuscivano a dire qualche parola in italiano. Conoscevano i nomi dei calciatori e delle squadre di calcio. Sapevano dire “Vecchia Romagna etichetta nera”, ma erano soltanto incuriositi dal caminetto acceso nell’angolo di una casa accogliente.  Sì, perché in Albania, di nascosto dal regime, vedevano la televisione italiana. Si affollavano attorno ai pochi televisori disponibili e con occhi sognanti raccoglievano e sintetizzavano l’intero Occidente negli spot pubblicitari trasmessi dalla televisione italiana, l’unica che si potesse ricevere al di là del Canale d’Otranto. Nei primi giorni di marzo fu come un’improvvisa esplosione: approdavano dappertutto lungo tutta la costa, con vecchi pescherecci o piccole navi in disarmo, da abbandonare dopo l’arrivo. Ripiene all’inverosimile. E con un gran numero di giovani, anche giovanissimi, persino ragazzi, spinti all’imbarco da genitori che osavano sperare in un futuro dignitoso per i loro figlioli. Nella settimana fra il 3 e il 9 marzo di quell’anno, in provincia di Lecce si contarono 900 minori non accompagnati. Un problema nel problema. Lo Stato faceva fatica a trovare ricoveri e luoghi di accoglienza. Mancavano le direttive. Nessuno sapeva che cosa fare. I Salentini, invece, capirono ed agirono. L’Episcopato salentino inventò - già allora - la Chiesa in uscita e la mise in atto. In una sola serata il Tribunale dei minori affidò circa 500 minori ad una sola persona: a mons. Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo di Lecce. E dalla redazione de L’Ora del Salento partì un tam tam che in tanti ripresero ed amplificarono. In pochi giorni i minori riuscirono a trovare una casa o un istituto, e comunque un letto, un pasto caldo, una comunità di accoglienza. E quando una nave ancora più grande riversò sulla banchina del porto di Brindisi una fiumana di persone infreddolite, coperte a malapena da un grande foglio di plastica tirato fuori da un privato, nel gesto disperato di proteggere dalla pioggia, allora partì la famosa telefonata dell’arcivescovo Settimio Todisco al prefetto di Brindisi: “O trova lei la soluzione, o io apro la cattedrale ed ospito tutti in chiesa. Questa gente non può rimanere qui”. Fu uno slancio di solidarietà corale, che coinvolse tutti. Come dimenticare l’invito del parroco don Michele Gentile, dei Salesiani, durante l’omelia della domenica: “Vi prego cari fratelli, non portateci più generi alimentari: abbiamo i depositi intasati e i frigoriferi stracolmi. Piuttosto fateci avere saponi, pannolini, indumenti per bambini piccoli. Aiutateci dandoci una mano. Grazie”. Mons. Ruppi raccomandò ai suoi collaboratori: rendetevi conto che arriveranno anche stasera e poi domani sera e poi ancora. Andateli ad aspettare lungo le spiagge. E un funzionario della Prefettura scrutava continuamente il cielo: stasera tira troppo vento - diceva - forse possiamo andare a dormire, con questo vento è difficile che possano sbarcare. Fu un momento straordinario, che si prolungò nel tempo. Molti volontari scoprirono nuovi bisogni e impararono sul campo a dare le dovute risposte. Qual era il bisogno più urgente dei migranti? Non chiedevano né scarpe né vestiti e neppure cibo e bevande; desideravano invece comunicare con le famiglie rimaste in Albania o con i parenti che potevano essere in Italia, ma chissà dove. Si riuscì a riunire tantissime famiglie, con sforzi inenarrabili. Nella concitazione dello sbarco e dei soccorsi, era accaduto di tutto: ed era grande la disperazione di chi non sapeva dove fosse il figlio, il marito, il parente, la mamma o il papà con cui aveva compiuto la traversata del Canale d’Otranto. Si organizzò l’accesso alla scuola e si offrirono servizi educativi integrativi, si riuscì ad inserire nel mondo del lavoro... Si fecero grandi cose. Quei migranti sono oggi cittadini pienamente integrati nella società civile italiana, talvolta con ruoli di rilievo; molti hanno studiato, qualcuno si è laureato. Alcuni sono tornati in Albania. Oggi alcuni Italiani vanno a lavorare in Albania e fra le due sponde dell’Adriatico c’è uno scambio fraterno. I migranti del marzo del 1991 hanno segnato un’esperienza più unica che rara. E la comunità salentina ha dimostrato che la via della integrazione e della pacifica convivenza è possibile. Il segreto? Riconoscersi fratelli ed agire con massima lealtà. Se questo è accaduto, significa che è possibile. Ed allora giova farne memoria, per proseguire con fiducia e speranza. (Nicola Paparella – Portalecce)  ​    

C’è un oltre l’8 marzo

8 Marzo 2021 - Roma - In prima pagina quattro immagini di donne: Ann Nu Thawng, la suora birmana inginocchiata davanti alla polizia, dietro le sbarre il volto della giornalista bielorussa Katerina Borisevich in lotta contro le menzogne del presidente Lukashenko, la regista cinese Chloe Zhao che ha destinato il prestigioso premio cinematografico Golden Globe ai nomadi, Hatice Cengiz compagna del giornalista Jamal Khashoggi massacrato il 2 ottobre 2018 nella sede del consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul. Alle quattro immagini apparse sui giornali nella prima settimana di marzo si è affiancata quella della diciannovenne Angel ritratta poco prima di venire uccisa dagli agenti birmani: indossava una maglietta con la scritta “Andrà tutto bene”. Donne in prima linea nella difesa e nella promozione dei diritti umani, i diritti di tutti. Con loro altre donne che nelle loro terre hanno cambiato e stanno cambiando la direzione della storia. Donne che contestano con la forza della non violenza e sfidano in ginocchio o in carcere la stessa violenza. Le donne, di cui parlano le immagini di questi giorni, sapevano e sanno di avere di fronte un potere dato per incrollabile. Non si sono arrese, sono vissute e vivono l’attesa di un “oltre”, un’attesa fatta di custodia di un sogno in piccola parte diventato realtà e in gran parte da realizzare. Le radici del sogno sono nell’accoglienza, dentro sé stesse, di una vita nuova. Sono dentro un’esperienza che suscita uno sguardo lucido sul presente e sul futuro. «La lucidità - si legge nel mensile di marzo “Donne Chiesa Mondo” de L’Osservatore Romano - è quella capacità di vedere chiaramente la realtà, alla luce della verità, non di ragionare per emozioni, sotto il giogo di percezioni errate. Si può dedurre che le donne hanno questa qualità in dotazione, fin dalla nascita? Più degli uomini?». Le risposte non possono che essere il frutto di una riflessione limpida, libera da ideologie, da luoghi comuni, da pregiudizi. C’è un “un oltre l’8 marzo” da mettere in agenda. È un oltre da coltivare nella coscienza del mondo perché i giovani e le giovani crescano senza essere prigioniere di dualismi alimentati da diversi poteri. Le immagini delle donne dell’oltre che pagano a caro prezzo la loro passione per la dignità di ogni persona confermano che il cammino è ancora lungo ma è possibile e vale la pena continuarlo. Quei volti si rivolgono all’opinione pubblica per scuoterla, avvertono che la società sta cambiando, annunciano al mondo nuovi orizzonti di senso. (Paolo Bustaffa)    

Scalabriniane nella Giornata internazionale della donna: Covid non faccia chiudere gli occhi sulle violenze e sugli abusi

8 Marzo 2021 - Roma - «Il Covid non può far chiudere gli occhi davanti a una crisi economica e sociale senza precedenti e a un traffico di esseri umani che continua a contraddistinguere i Paesi più poveri del mondo. Più di una donna migrante su due è vittima di abusi psicologici e fisici, quasi quattro su dieci sono state colpite da torture. Sono questi numeri che devono far capire come l’aiuto alle donne che si trovano in situazioni che le rendono vulnerabili, in Italia, come nel resto del mondo, sia una delle priorità da seguire. Anche durante questo periodo di pandemia». A dirlo è suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Suore missionarie Scalabriniane in occasione della Giornata internazionale della donna che si celebra oggi, 8 marzo. “Questi numeri testimoniano che nell’agenda dei decisori politici non può esserci solo la gestione dell’emergenza coronavirus, pur se prioritaria e importante – ha aggiunto – Le donne hanno un ruolo fondamentale nella famiglia, nello sviluppo dei figli, della voglia di riscatto e crescita che deve contraddistinguere questo momento storico. Grazie alle intenzioni del Santo Padre abbiamo creato case di accoglienza ‘a tempo’, come quelle aperte a Roma del progetto ‘Chaire Gynai’, dove diamo modo a persone in condizioni di fragilità e semi-autonome di potersi integrare e vivere una nuova vita tutta a colori. Se da una parte la rete sociale vuole accogliere, integrare, proteggere e promuovere, dall’altra è opportuno che gli Stati di tutto il mondo decidano una linea chiara nella lotta contro la tratta, il traffico e la violenza contro le donne. Proteggerle vuol dire proteggere la vita, sempre, perché un mondo senza le donne sarebbe sterile, perché loro sanno guardare ogni cosa con occhi materni che vedono oltre e sono capaci di fare nascere la solidarietà e la fraternità universale dal di dentro dello stesso dramma dell’emigrazione, in vista di cieli nuovi e una terra nuova! Grazie a tutte le donne che si dedicano per difendere la vita e la dignità della condizione femminile, rese vulnerabili dallo sfruttamento e dall'ingiustizia».  

Regione Puglia: una seduta straordinaria del Consiglio Regionale per celebrare il trentennale dell’emigrazione albanese

5 Marzo 2021 - Bari - Il 7 marzo del 1991 la città di Brindisi si risvegliò con decine di navi, con a bordo 27mila albanesi, provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico. E poi lo sbarco a Bari della nave Vlora, l’8 agosto del 1991, con l’arrivo di 20mila albanesi. Avvenimenti che hanno segnato profondamente i rapporti tra il popolo pugliese e il popolo albanese. La Regione Puglia nel trentennale dell’emigrazione albanese, oggi ricorderà questi eventi con una seduta straordinaria del Consiglio regionale alla quale parteciperanno il Primo Ministro dell’Albania Edi Rama ed il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio Insieme al presidente della Regione Michele Emiliano ed alla presidente del Consiglio Loredana Capone saranno presenti in aula capigruppo e presidenti di Commissione, la delegazione del governo albanese con il Ministro di Stato per la Ricostruzione Arben Ahmetaj, il Ministro della Salute e dell'assistenza sociale Ogerta Manastirliu, il Ministro dell'istruzione, dello Sport e della Gioventù Evis Kushi, e Fate Velaj, Membro del Parlamento, il vice ministro sen. Teresa Bellanova ed i sottosegretari on. Assuntela Messina, Anna Macina, Rosario Sasso, Ivan Scalfarotto e Francesco Paolo Sisto. Presenti anche i massimi rappresentanti diplomatici, l’Ambasciatore d’Italia a Tirana Fabrizio Bucci, l’Ambasciatore della Repubblica d’Albania Anila Bitri Lani e la Console generale della Repubblica d’Albania in Italia Gentiana Mburimi. Il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli interverrà in video Tra gli eventi che precederanno la seduta consiliare è prevista l’inaugurazione della mostra “Exodus”, a cura di Nicola Genco, allestita nell’Agorà del Palazzo del Consiglio regionale e l’esibizione del violoncellista Redi Hasa. Negli stessi spazi è allestita la mostra “Compagni e Angeli” a cura di Alfredo Pirri. I Rettori delle Università Pugliesi consegneranno al Primo ministro Rama una copia del Manuale per la ripartenza “Regioni Sicure” tradotto in lingua albanese e redatto grazie al lavoro di 130 personalità del mondo scientifico delle quattro Università con il coordinamento dell’associazione culturale “L’Isola che non c’è”.