21 Maggio 2021 - Roma - “Dal 2015 la migrazione legale figura a malapena nello sviluppo della politica migratoria dell’Ue”, mentre il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo non include alcuna proposta specifica in questo settore”. È la posizione decisa dall’Europarlamento, in chiusura di plenaria, con una risoluzione non legislativa adottata con 495 voti favorevoli, 163 contrari e 32 astensioni. Una legislazione Ue sulla migrazione legale “attirerebbe i lavoratori, indebolirebbe i trafficanti di esseri umani, faciliterebbe l’integrazione e incoraggerebbe una migrazione più ordinata”, sostiene il testo approvato. Secondo i deputati, “le politiche dell’Ue e nazionali in materia di migrazione legale dovrebbero concentrarsi sul fornire una risposta alle carenze dei mercati del lavoro e delle competenze”, tenendo presente l’invecchiamento della popolazione e la contrazione della forza lavoro. Per una risposta più efficiente ai bisogni o alle carenze di manodopera sui mercati nazionali, i deputati propongono di sviluppare un “bacino di talenti” e una piattaforma di corrispondenza a livello europeo, che possa coprire tutti i settori e i livelli di occupazione e che funga da sportello unico per i lavoratori non Ue, i datori di lavoro e le amministrazioni nazionali. In un’altra risoluzione non legislativa adottata con 602 voti favorevoli, 35 contrari e 56 astensioni, i deputati hanno ribadito che, in linea con i contenuti del Regolamento sul dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility), il Parlamento “ha il diritto di ricevere le informazioni pertinenti sullo stato di attuazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza”. “Per garantire una maggiore trasparenza e la responsabilità democratica dei Pnrr”, i deputati si aspettano di ricevere dalla Commissione le informazioni di base necessarie, nonché una sintesi delle riforme e degli investimenti dei piani nazionali ricevuti (18 Paesi Ue hanno già presentato i loro piani). In una terza risoluzione approvata con 599 voti favorevoli, 30 contrari e 58 astensioni, il Parlamento condanna con la massima fermezza le sanzioni “immotivate e arbitrarie” recentemente imposte dalle autorità cinesi a diversi individui ed entità europee, tra cui cinque deputati, affermando che la mossa di Pechino rappresenta un attacco alle libertà fondamentali ed esortando le autorità cinesi a revocare queste misure restrittive. (sir)
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MVyou : il mio punta di vista sei tu
21 Maggio 2021 - Roma - MVyou è l’acronimo di My view is you – tradotto in italiano - “Il mio punto di vista sei tu”, è il titolo del corso di giornalismo, nato sulla scia dell’esperienza del progetto WeB4NEET, finanziato dalla Fondazione Migrantes. A beneficiarne questa volta sono tre ragazzi immigrati. Il corso è iniziato lo scorso aprile e terminerà il prossimo dicembre. Si articola su trenta ore mensili con la didattica in presenza affrontando due sfere del giornalismo: la scrittura e il video racconto. Gli studenti hanno ricevuto l’attrezzatura che consiste in un computer e una macchina fotografica. I ragazzi sono Momudou Sowe, 22 anni proveniente dal Gambia, Aboubacar Kourouma, 21 anni della Guinea, e Denis Desloges, 26 anni del Venezuela. Dei tre quest’ultimo è l’unico in possesso già di una laurea in giornalismo e con esperienza di lavoro in radio e televisione acquisiti nel suo Paese. Tutti motivati nel seguire questo corso che comprende la scrittura, la fotografia e i video-editing; il ragazzo della Guinea, per esempio, aspira a diventare un fotogiornalista, invece Denis Desloges, che il mestiere lo conosce già un po’, vorrebbe lavorare in una testata italiana, in Venezuela si occupava di sport e attualità.
I migranti sono al centro di storie quotidiane, ma raccontati quasi sempre da altri, per questo la scelta del titolo “My view is you”, che sta ad indicare - io sono come te - e racconta la mia e la tua storia. Il corso, che si avvale della collaborazione di padre Gabriele Beltrami, direttore dell’Ufficio Stampa della Congregazione dei Missionari Scalabriniani e di altri professionisti del giornalismo e della fotografia, mira a creare professionisti dando loro gli strumenti giusti per poter raccontare storie di migranti sui nuovi canali di comunicazione, attraverso la scrittura e le immagini, ma con un linguaggio nuovo e immediato.
La comunione e il progresso
19 Maggio 2021 - Roma - Comunione e progresso. Il binomio sembra un manifesto operativo per la comunicazione attuale. Eppure riporta indietro nel tempo, esattamente a 50 anni fa. È il 23 maggio 1971 e, per disposizione del Concilio Ecumenico Vaticano II, la Pontificia Commissione per le comunicazioni sociali pubblica l’Istruzione pastorale “Communio et progressio”. Quel 23 maggio veniva celebrata la V Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
Non sono semplici coincidenze ma traiettorie disegnate nel tempo, che restituiscono il senso di un impegno. La rotta è tracciata dalla freschezza delle parole finali della Nota pastorale: “Il Popolo di Dio, stando al passo con gli avvenimenti che tessono la trama della storia, e volgendo con immensa fiducia lo sguardo al futuro, sia come comunicatore che come recettore, già intravede quanto sia largamente promettente la nuova era spaziale delle comunicazioni sociali” (n. 187).
Anticipo di futuro e segno di profezia in due parole precise: comunione e progresso. (Vincenzo Corrado)
Migliaia di migranti a Ceuta: “non sfruttare le loro legittime aspirazioni a fini politici” chiedono i Vescovi spagnoli
19 Maggio 2021 - Ceuta - “Ripristineremo l'ordine a Ceuta con la massima rapidità”, ha detto Pedro Sánchez, presidente del governo della Spagna, che ieri era a Ceuta, dove si è verificato un arrivo massiccio di immigrati. Secondo le note delle agenzie, Sánchez ha insistito sulla fermezza del governo ad agire “di fronte a qualsiasi sfida, eventualità e in qualsiasi circostanza”. Sono più di 8 mila i migranti entrati in modo irregolare dal Marocco nelle ultime 48 ore, e da ieri l'esercito spagnolo vigila le spiagge di El Tarajal, proprio alla frontiera.
Isabel Brasero, responsabile della comunicazione della Croce Rossa di Ceuta, informando sul lavoro che stanno facendo dall'inizio della crisi migratoria, ha evidenziato che “la Croce Rossa non aveva mai affrontato una situazione simile, arrivano famiglie intere, anche con bambini piccoli”. Anche la Chiesa locale ha mostrato la sua preoccupazione per ciò che sta accadendo al confine con il Marocco. L'Arcivescovo di Toledo, Mons. Francisco Cerro Chaves, spera, riferisce l’agenzia Fides, che “tutto si risolva nel migliore dei modi, perché è una situazione drammatica per le persone che sono in fuga da carestie, guerre, difficoltà, problemi... e la Chiesa deve essere una casa accogliente per tutti”, ha sottolineato l'Arcivescovo. L'Arcivescovo di Madrid, il Cardinale Carlos Osoro, ha invitato a pregare il Signore per la situazione a Ceuta e Melilla, attraverso il suo account Twitter: "per la pace, la coesistenza e la sicurezza. I nostri fratelli e sorelle vulnerabili e sofferenti non siano usati, cerchiamo insieme una via d'uscita per loro”. La Migrantes della Conferenza Episcopale Spagnola guarda con preoccupazione la situazione che si sta verificando a Ceuta e Melilla. “Facendo appello al valore supremo della vita e della dignità umana, si ricorda che la disperazione e l'impoverimento di molte famiglie e minori non può e non deve essere usato da nessuno Stato per sfruttare le legittime aspirazioni di queste persone a fini politici”, scrive Mons. José Cobo, Vescovo ausiliare di Madrid e responsabile del Dipartimento delle Migrazioni della CEE.
La forza del lavoro domestico, terzo settore in Italia per numero di lavoratori
19 Maggio 2021 - Roma - Il lavoro domestico in Italia si colloca al terzo posto per numero di lavoratori coinvolti, dopo i settori terziario e meccanico e più del doppio rispetto al settore istruzione. Quasi 900mila i lavoratori regolari (colf, badanti, babysitter) cui si aggiunge oltre un milione di irregolari, secondo le stime dell’Osservatorio nazionale DOMINA basate su dati Istat. Le cifre sono state elaborate tenendo in considerazione anche i dati dell’archivio CNEL sui contratti collettivi di lavoro. Si tratta del settore col più alto potenziale di crescita, vista la forte incidenza del lavoro nero: con una piena emersione, il comparto potrebbe avvicinarsi, per numero di lavoratori, a quello dei meccanici.
Secondo un’indagine Censis-Istat, almeno l’8% delle famiglie italiane ha una o più collaborazioni domestiche all’attivo, perciò il numero complessivo dei datori di lavoro può arrivare a 2,1 milioni. Dunque il lavoro domestico sarebbe oggi il secondo settore per numero di datori di lavoro, addirittura superiore alla somma di tutti gli altri (1,4 milioni).
Per Lorenzo Gasparrini, segretario generale di DOMINA, “il settore oggi ha bisogno di riforme radicali, considerando il fatto che nel 2030 gli anziani non autosufficienti saranno 5 milioni. La strada intrapresa con le proposte di riforma definite nel Pnrr ci sembra corretta: giusto investire 3 miliardi nel rafforzamento dell’assistenza domiciliare”.
A proposito dell’alto tasso di irregolarità del settore, però, Gasparrini avverte: “Le badanti vanno formate e regolarizzate. Senza spendere fondi, ma solo riorganizzando il sistema, si possono assistere meglio centinaia di migliaia di anziani”.
Cagliari: anche la Migrantes alla “Settimana Laudato si’” di Cagliari
18 Maggio 2021 - Cagliari – Da ieri e fino al 23 maggio la diocesi di Cagliari promuove la «Settimana Laudato si’». Si tratta di un percorso di conoscenza, dialogo, riflessione e sensibilizzazione sui temi del rispetto dell’ambiente, dell’inclusione sociale, dell’integrazione, dell’accoglienza e della mondialità, destinato in particolare ai giovani. L’iniziativa è stata organizzata dalla Caritas, dalla Pastorale Sociale e del Lavoro, dalla Pastorale giovanile, dal Progetto Policoro e dalla Migrantes, in collaborazione con il «Global Catholic Climate Movement».
L’evento si svilupperà in diverse sedi (Cagliari, Quartu S.E., Sanluri, Decimomannu, Monserrato) con iniziative di preghiera, di riflessione, di attività ludica e sportiva. Ogni giorno della settimana sarà dunque caratterizzato da un evento che renderà partecipi e protagonisti i giovani nei luoghi dove vivono, creando nuove reti di conoscenza, ascolto, dialogo e amicizia. I momenti di preghiera e le Messe offriranno l’occasione di maturare una «spiritualità ecologica». In ogni giornata ci sarà la proposta di un gesto ecologico (ad esempio pulizia dell’ambiente, interrare dei semi, messa a dimora di piante) per esprimere la volontà di una conversione ecologica personale e comunitaria.
Migrantes Albenga – Imperia: una scuola d’integrazione linguista e un progetto multimediale sulle migrazioni
17 Maggio 2021 - Albenga – Una scuola d'integrazione linguistica ed inclusione sociale è attiva presso l’ufficio Migrantes della diocesi di Albenga - Imperia, grazie a docenti volontari. La scuola è rivolta ai rifugiati accolti nello Sprar e Cas di Albenga, ma aperta a tutti, uomini e donne, giovani ed adulti, stranieri e cittadini italiani, interessati ad imparare od approfondire la lingua italiana. “Prima del Covid – dice al settimanale diocesano “Ponente Sette”, Giuliano Basso, direttore Migrantes e Claudio Leucci, di Sjamo (Sao Josè amici nel mondo), esperto di cooperazione internazionale – erano più di 40 gli allievi frequentanti, suddivisi in tre sezioni, in orari diversi. La pandemia ha ovviamente costretto a sospendere le lezioni, che poi da gennaio sono ripartite, con un numero massimo di 7 allievi in ogni gruppo, in modo tale da rispettare le distanze, conservando l’incontro di persona, fondamentale per questo tipo di esperienze”». L’ufficio Migrantes diocesano propone anche altre iniziative interculturali in collaborazione con altre realtà del territori. Tra queste, spiega Basso, un “progetto multimediale” sul tema delle migrazioni, che “possa diventare strumento di conoscenza, per esplorare e fare conoscere il vissuto ingauno; vogliamo promuovere la cultura dell’accoglienza, fatta di conoscenza, inclusione ed integrazione, nel rispetto della ricchezza delle diversità, contro pregiudizi e stereotipi. Lo strumento di partenza sarà una serie di interviste agli ex allievi della scuola, raccolte sia in video che su carta, con la collaborazione delle altre realtà, come Yepp, che sul territorio si occupano di giovani, integrazione e media”. Altro progetto in corso di definizione è quello di un percorso sul tema dell’interculturalità, per le scuole del comprensorio, da realizzare nel corso del prossimo anno scolastico, con il supporto del Comune di Albenga.
Diocesi Roma: proseguono gli incontri di formazione di Migrantes, Caritas e Missio
11 Maggio 2021 - Roma - “La Gioia del Vangelo”. Questo il tema del prossimo incontro di formazione organizzato dall’Ufficio Migrantes, Caritas e Centro per la cooperazione missionaria della Diocesi di Roma, che si terrà sabato 15 maggio alle ore 10,00.
“Come anche raccomandato dal Cardinale Vicario, mons. Angelo De Donatis all’inizio del corrente anno pastorale, ci soffermeremo a riflettere e a farci interrogare dal Messaggio che Papa Francesco ha indirizzato alle Pontificie Opere Missionarie il 20 maggio dello scorso anno. Toccheremo tematiche importanti che riguardano la missionarietà della nostra comunità ecclesiale”.
All’incontro interverranno il Card. Luis Antonio Tagle, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli che risponderà alle domande della giornalista del quotidiano “Avvenire Stefania Falasca.
Tra Oceano Indiano e Mediterraneo: rituali, ostilità, convivenze. Un ciclo di seminari
4 Maggio 2021 - Ha preso avvio ieri un ciclo di seminari, a cura del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania, dal titolo: “Tra Oceano Indiano e Mediterraneo. Rituali, ostilità, convivenze”. Il primo incontro, “The Changing Face of Sri Lankan Catholicism”, ha visto la partecipazione di Roderick Stirrat, antropologo della Università del Sussex, che ha ricostruito la storia della presenza cattolica in Sri Lanka e le sue diramazioni nei contesti della diaspora srilankese nel mondo. I seminari sono organizzati nell’ambito del progetto PRIN 2017 “Migrazioni, spaesamento e appaesamento: letture antropologiche del nesso rituali/migrazioni in contesti di Italia meridionale”, al quale l’Università di Catania partecipa insieme a quelle di Messina, Palermo e della Basilicata. Il progetto intende esplorare il rapporto tra i processi rituali che vedono protagoniste le comunità straniere di antico o più recente insediamento e le dinamiche devozionali con cui i migranti ridefiniscono il rapporto con i territori di origine e di approdo, e con i loro abitanti.
Il seminario di lunedì 3 maggio, presentato dal Professor Berardino Palumbo (PI del progetto per l’Università di Messina) e coordinato dalla Professoressa Mara Benadusi (responsabile dell’unità di ricerca dell’Università di Catania), è stato il primo di una serie di incontri che saranno incentrati sulle espressioni devozionali e le configurazioni transnazionali della religiosità degli Srilankesi in Italia. Tra l’altro, la religiosità dei gruppi (cattolici, buddisti e induisti) provenienti dallo Sri Lanka è una realtà particolarmente attiva in Sicilia, che prende parte ormai regolarmente anche a molti culti popolari e rituali dell’isola.
Oggi, 4 maggio, nel corso del secondo appuntamento seminariale, interverrà Bernardo Brown, antropologo della International Christian University di Tokyo, che presenterà una relazione dal titolo Reverse Missionaries: Bringing Sri Lankan Pastoral Care to Italy. A seguire, il 17 maggio, Cristiana Natali dell’Università di Bologna parlerà di Creatività culturale e pratiche rituali tra i Tamil srilankesi in Italia. Chiude questo primo ciclo di seminari, il 27 maggio, Filippo Osella dell’Università del Sussex, con un intervento sul nesso tra religiosità e migrazioni dal Sud dell’Asia.
Nel suo complesso, la rassegna di seminari costituisce un primo ingresso nelle tematiche e nei contesti di ricerca su cui sta lavorando l’università di Catania all’interno di un progetto che vede antropologhe e antropologi di diverse istituzioni accademiche interrogarsi sul nesso tra rituali e migrazioni nel Sud Italia. L’unità afferente al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Ateneo catanese lavora, infatti, su due campi di ricerca. Una prima direttrice esplorativa riguarda appunto la partecipazione degli Srilankesi alle pratiche devozionali legate al culto patronale di Sant’Agata, a Catania, e ad altre feste popolari in Sicilia. Il secondo terreno di ricerca è costituito invece dal culto della Madonna delle Milizie, a Scicli, la cui recente patrimonializzazione, volta a promuovere “l’identità siciliana”, prevede l’inclusione delle comunità migranti di origine nordafricana da lungo tempo presenti nel ragusano.
Migrantes: in distribuzione il numero di maggio di “Migranti-Press”
4 Maggio 2021 - Roma - È dedicata al pellegrinaggio di Papa Francesco in Iraq la copertina della rivista “Migranti-Press”, il mensile della Fondazione Migrantes. All’interno un editoriale affidato ad Enzo Romeo del Tg2 e un reportage di Manuela Tulli dell’Ansa su questa visita e un primo piano sulla prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali con i commenti di alcuni direttori dei giornali delle Missioni cattoliche Italiane in Europa e un articolo che raccoglie alcune riflessioni di sacerdoti impegnati con le comunità italiane all’estero e con la pastorale Migrantes in Italia sul messaggio di Papa Francesco. Nel numero articoli sulla donna migrante affidata alla sociologa Laura Zanfrini, al “senso della cittadinanza” affidato a Aldessamad El Jouzi, ai corridori universitari in Italia. E ancora “Gli italiani che hanno fatto…” con la storia di Bona Sforza a Cracovia, i giovani delle Missioni Cattoliche Italiane in Europa convolti nel progetto “La rete: strumento per costruire ponti promossi da alcuni oratori lombardi. E poi un articolo sui 40 anni della Via Crucis vivente nella MCI di Wuppertal in Germania e un servizio sugli artisti di strada: “dove sono finiti con la pandemia”. E un inserto su Immigrazione e pluralismo religioso come tema di riflessione per il Tempo Ordinario.
Sinergia virtuosa
4 Maggio 2021 - Amare la famiglia significa saperne stimare i valori e le possibilità, promuovendoli sempre. Amare la famiglia significa individuare i pericoli ed i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare la famiglia significa adoperarsi per crearle un ambiente che favorisca il suo sviluppo. E, ancora, è forma eminente di amore ridare alla famiglia cristiana di oggi, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le accresciute difficoltà, ragioni di fiducia in se stessa, nelle proprie ricchezze di natura e di grazia, nella missione che Dio le ha affidato. «Bisogna che le famiglie del nostro tempo riprendano quota! Bisogna che seguano Cristo!» (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.86, 22 novembre 1981)
La conclusione del documento pontificio che siamo andati sfogliando rivela pienamente la sua natura, ovvero quella di “esortazione”. Prima ancora di essere un pronunciamento dottrinale, quale essa è, Familiaris Consortio vuole essere un invito alla Chiesa e al mondo perché guardino alla famiglia con occhi nuovi, soprattutto con occhi di benevolenza e di misericordia. Giovanni Paolo II, che per alcuni anni ancora, dopo la pubblicazione di questo documento, proseguirà le sue catechesi del mercoledì sull’amore umano, ha la convinzione profonda che sulla comprensione e la valorizzazione del sacramento del matrimonio (per la Chiesa) e della famiglia in quanto tale (per tutta la società) si giochi una sfida decisiva. Quello che per certi versi si può dire anche per l’oggi, a maggior ragione si può rilevare per gli anni in cui scrive Papa Wojtyla: è un tempo in cui – sulla scorta del magistero conciliare – la comunità ecclesiale è chiamata a riconoscersi come popolo di Dio, nella sua complessità e non secondo la più semplicistica distinzione fra pastori e fedeli. Questo comporta un’assunzione di responsabilità nuova per i laici, che non devono più sentirsi soltanto i destinatari di un magistero dall’alto a cui sottomettersi, quanto piuttosto partecipanti ad un cammino di fede, di crescita, anche di conversione che li vede, però, come protagonisti attivi, membra vive del corpo che è la Chiesa. Amare le possibilità della famiglia significa coltivarne tutta la ricchezza umana e spirituale. È come se, nell’afflato di questo suo congedo, il Papa auspicasse una sinergia virtuosa fra la Chiesa e tutte le istanze che naturalmente cooperano al bene dell’uomo e della donna. Ai cristiani è chiesto di annunciare la “buona notizia” del Vangelo sulla famiglia, ma a tutti è dato di vivere in essa con spirito di accoglienza e desiderio di bene. La famiglia diviene un’icona esemplare, una finestra attraverso cui guardare l’esistente. Se il nucleo famigliare si sviluppa armonicamente e cresce in tutte le sue potenzialità il beneficio è universale. La mentalità da assumere, dunque, non è quella di accondiscendere, più o meno stancamente, a quanto esiste da sempre, ma di promuoverne lo sviluppo come di una realtà viva, dinamica e sempre nuova. In ambito ecclesiale la strada è quella di una capacità di inclusione sempre maggiore. Bello è immaginare che ogni famiglia cristiana si trovi a suo agio nella propria parrocchia, in particolare attorno alla celebrazione eucaristica. Pare un’eccessiva semplificazione, ma non è così. Talvolta, per esempio, un’interpretazione eccessivamente rigorosa della sacralità liturgica, rischia di allontanare le famiglie con figli piccoli dalla piena partecipazione ai riti. I neonati possono essere vissuti dai sacerdoti o dagli altri fedeli solo come un elemento di disturbo e, di fatto, si corre il rischio di creare degli allontanamenti. Una comunità matura, in tal senso, potrà provvedere ad un servizio di cura e di assistenza dei bambini fin da quelli piccolissimi, per permettere ai genitori di partecipare alla Messa con maggiore distensione. Si tratta solo di un esempio ad indicare che tanti sono i percorsi per dimostrare coi fatti la volontà di sostenere la famiglia e non soltanto inneggiarne alla bellezza. Un altro esempio, in ambito civile, potrebbe essere quello della valorizzazione delle famiglie numerose. Se non fosse per l’impegno di qualche strenua associazione di categoria, chi oggi ha quattro o più figli è considerato un incosciente che deve cavarsela da solo piuttosto che un cittadino a cui tributare un sentimento di gratitudine. Oggi in Italia, con il sempre più rigido inverno demografico, cosa si sta davvero facendo per incrementare le nascite e incoraggiare le coppie a fare più figli? Gli interventi sono spesso più enunciati che realizzati e, in ogni caso, non possono ridursi alla sola dimensione, per altro importantissima, degli incentivi economici, ma devono più integralmente diventare una rete che crei un ambiente favorevole, di piena simpatia nei confronti di chi “osa” mettere al mondo tanti figli. Queste e molte altre chiose potrebbero farsi attorno ad un testo, Familiaris Consortio, che ha segnato un’epoca e a cui poi il magistero petrino ha riconosciuto il grande merito di porre al centro questioni cruciali e mai esaurite una volta per tutte. Nelle sue ultime parole Giovanni Paolo II affida la famiglia alla Sacra Famiglia di Nazaret, non lontano modello sovrumano di virtù, ma compagna di strada di tutte le famiglie nella fatica, nelle difficoltà, anche nelle prove più dure. Un affidamento quello a Maria, a Giuseppe e certamente a Gesù che – come vedremo – resterà una costante non solo di questo Papa ma anche dei suoi successori a cavallo del millennio. (Giovanni M. Capetta – Sir)
Chiesa, grande famiglia
27 Aprile 2021 - A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28). (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.85, 22 novembre 1981)
Quasi al termine del suo corposo documento, nel penultimo paragrafo di Familiaris Consortio, Giovanni Paolo II denota una sensibilità tutta particolare nel volersi rivolgere a quelli che chiama “i senza famiglia”. Il suo sguardo, come sempre, spazia sull’umanità intera e comprende tutti coloro che, spesso non per loro deliberata volontà, si trovano di fatto a vivere senza il sostegno e il calore di una vera famiglia. Possono essere motivi di grande povertà, di promiscuità, di mancanza di cultura ma è certo che nel mondo sono davvero tantissime le persone sole, che non hanno legami diretti con i loro familiari, perché li hanno persi o non sanno come riallacciarli. A loro il Papa volge il suo pensiero considerandole persone “particolarmente vicine al Cuore di Cristo” e per questo degne dell’affetto e della sollecitudine della Chiesa. Si apre quindi un discorso che cambia la prospettiva rispetto a quelli fatti in precedenza. Non esiste solo la famiglia quale chiesa domestica, focolare animato dallo Spirito, a cui la comunità ecclesiale guarda come cellula primordiale e vitale dell’esistenza; c’è anche una Chiesa, come popolo di Dio, che è chiamata a fare proprio sempre più uno spirito di famiglia per poter accogliere tutti, ma proprio tutti nel suo grande abbraccio, che – come il colonnato del Bernini in Piazza San Pietro – vuole davvero comprendere il mondo nella sua vastità e diversità. C’è allora un grande esercizio di conversione che tutte le realtà ecclesiali possono voler fare, dalla Curia, alle realtà diocesane, fino ovviamente a quelle parrocchiali e ai movimenti. La Chiesa può acquisire i connotati di una famiglia se è capace di non scordarsi di nessuno, se come una madre accudisce tutti i suoi piccoli in egual misura e anzi dedicando le cure più premurose a chi è più bisognoso. Ci sono tante persone, anche in Italia, che sono “sole al mondo”, come si suol dire. A loro la comunità deve aprire le porte della Chiesa, per loro le panche dove si siede l’assemblea durante l’Eucarestia, o i saloni parrocchiali dove si svolgono le attività caritative e pastorali, per loro in modo particolare questi luoghi devono avere il profumo di casa. Spesso succede che molte di queste persone siano attivamente impegnate in parrocchia e a loro si debba una grande dedizione e spirito di servizio. A loro sarebbe bello andasse la gratitudine esplicita di molti, non solo dei sacerdoti, ma anche dei bambini e dei giovani. In tante altre occasioni si tratta di persone poco visibili, che tendono a stare ai margini, che non si fanno sentire e che pure, magari, nutrono una profonda vita di preghiera. Sarebbe bello che pastori e laici, insieme, senza delegarsi reciprocamente le responsabilità, sappiano “vedere” queste persone, renderle protagoniste, metterle al centro virtuoso della vita comunitaria. Penso a quelle persone anziane che con la loro stessa fedeltà al Rosario o all’Eucarestia quotidiana tengono accesa per tutti la lampada della fede. Magari spesso tante di loro tornano a casa e non c’è nessuno che le accoglie. Quanto è prezioso che si sentano accolte in parrocchia e valorizzate per quello che sono e per quello che sanno fare. Vi sono poi anche tanti single, come si chiamano oggi: persone che per scelta, ma molto spesso per necessità non voluta, non hanno trovato con chi fare famiglia. Alla parrocchia l’invito è a non giudicare le scelte e le responsabilità di queste persone prima di aver aperto loro la porta e averle accolte in quanto tali. Molte di loro potrebbero proprio essere “affaticate e oppresse” come dice il Vangelo ed è urgente per chi si dice cristiano andare loro incontro e farsi prossimo. Ancora una volta il sogno che tante volte già diventa realtà è quello di una comunità viva in ogni sua parte, in cui tutti si sentano a proprio agio, spronati ad essere loro stessi, a sapersi incoraggiare reciprocamente, a correggersi vicendevolmente. Bello è ricevere vita dal Corpo di Cristo spezzato per tutti e a saperla donare perché nessuno si senta solo mai, ma tutti amati nell’unico amore di Dio che non si scorda proprio di nessuno. (Giovanni M. Capetta – Sir)
Da oggi l’Italia multiculturale in una serie disponibile su Netflix
21 Aprile 2021 - Un adolescente timido ha il potere dell'invisibilità e deve imparare a controllarlo per difendere il suo quartiere, rinunciando ai suoi sogni artistici. È il filo conduttore della serie “Zero” che partirà oggi sulla piattaforma Netflix. "Quando ho iniziato a scrivere questa serie – spiega l’ideatore della serie Antonio Dikele Distefano - riflettevo sul fatto che in Italia non c'è una cultura di attori o registi neri. Abbiamo visto che ci sono, esistono e bisogna coinvolgerli. Credo che Zero sia la prima finestra verso una rappresentazione migliore del paese". La serie racconta di un rider che diventa un supereroe. La serie è disponibile da oggi sulla piattaforma in 190 paesi ed è composta da 8 episodi e racconta la storia di un timido ragazzo con un superpotere: può diventare invisibile. Non è un supereroe, ma un eroe moderno che impara a conoscere i suoi poteri quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove voleva scappare, si trova in pericolo. Zero dovrà indossare gli scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura, scoprirà l'amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche l'amore.
In 26 nazioni del mondo la libertà religiosa è soffocata dalla persecuzione
21 Aprile 2021 - Roma - Il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo 2021, pubblicato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) e giunto alla sua XV edizione, evidenzia che in una nazione su tre si registrano gravi violazioni della libertà religiosa. Secondo lo studio, presentato ufficialmente a Roma e in altre grandi città in tutto il mondo, questo diritto fondamentale non è stato rispettato in 62 dei 196 Paesi sovrani (31,6% del totale) nel biennio 2018-2020.
«In 26 di queste nazioni si soffre la persecuzione», dichiara Alessandro Monteduro, Direttore di ACS Italia. «Nove Paesi per la prima volta si sono aggiunti alla lista: sette in Africa (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Mali e Mozambico) e due in Asia (Malesia e Sri Lanka). La causa principale è la progressiva radicalizzazione del continente africano, specie nelle aree sub-sahariana e orientale, dove la presenza di gruppi jihadisti è notevolmente aumentata», prosegue Monteduro. Violazioni della libertà religiosa si sono verificate nel 42% delle nazioni africane. Burkina Faso e Mozambico rappresentano due casi eclatanti. «Questa radicalizzazione non si limita tuttavia all’Africa. Il Rapporto - sottolinea Monteduro - descrive il consolidamento di un network islamista transnazionale che si estende dal Mali al Mozambico, dalle Comore nell’Oceano Indiano alle Filippine nel Mar Cinese Meridionale, il cui scopo è creare un sedicente califfato transcontinentale».
Il Rapporto evidenzia una nuova frontiera: l’abuso della tecnologia digitale, dei cyber networks, della sorveglianza di massa basata sull’intelligenza artificiale (AI) e sulla tecnologia del riconoscimento facciale per assicurare un maggiore controllo con finalità discriminatorie. Questo fenomeno è evidente soprattutto in Cina, dove il Partito Comunista sta reprimendo i gruppi religiosi con l’ausilio di 626 milioni di telecamere di sorveglianza con tecnologia AI e con l’aiuto dei sensori degli smartphone. Anche i gruppi jihadisti stanno impiegando la tecnologia digitale per favorire la radicalizzazione e per il reclutamento di nuovi terroristi. In 42 Paesi (21% del totale), abbandonare o cambiare la propria religione - sottolinea il Rapporto dell'Acs - può determinare gravi conseguenze legali e/o sociali, con uno spettro di possibili conseguenze che va dall’ostracismo familiare alla pena di morte. La ricerca di ACS denuncia anche l’incremento della violenza sessuale impiegata come un’arma contro le minoranze religiose, in particolare i crimini contro donne adulte e minorenni le quali vengono rapite, violentate e costrette a ripudiare la loro fede per abbracciare coattivamente quella maggioritaria. Il 67% circa della popolazione mondiale, pari a circa 5,2 miliardi di persone, vive attualmente in nazioni in cui si verificano gravi violazioni della libertà religiosa. Fra di esse vi sono quelle più popolose: Cina, India e Pakistan.
Anche la persecuzione religiosa da parte dei governi autoritari si è intensificata. La promozione della supremazia etnica e religiosa in alcune nazioni asiatiche a maggioranza indù e buddista ha contribuito a intensificare l’oppressione ai danni delle minoranze, riducendone spesso i componenti a livello di cittadini di seconda classe. L’India rappresenta il caso più eclatante, ma tali politiche vengono applicate anche in Pakistan, Nepal, Sri Lanka e Myanmar. In Occidente si registra una diffusione della “persecuzione educata”, secondo l’espressione coniata da Papa Francesco per descrivere il conflitto fra le nuove tendenze culturali e i diritti individuali alla libertà di coscienza, conflitto a causa del quale la religione viene relegata nel ristretto perimetro dei luoghi di culto.
Il Rapporto fa cenno anche al profondo impatto della pandemia da COVID-19 sul diritto alla libertà religiosa. A fronte di una tale emergenza, i governi hanno ritenuto necessario imporre misure straordinarie, applicando in alcuni casi limitazioni sproporzionate al culto religioso, specie se confrontate con quelle imposte ad altre attività secolari. In alcuni Paesi, come ad esempio il Pakistan e l’India, gli aiuti umanitari sono stati negati alle minoranze religiose. La pandemia è stata utilizzata specie nei social network quale pretesto per stigmatizzare alcuni gruppi religiosi accusati di aver diffuso o addirittura causato la pandemia.
Secondo Alfredo Mantovano, Presidente di ACS Italia, «a causa della pandemia ci siamo abituati a ragionare e a operare in termini di zone rosse, zone arancione, e così via, a seconda dell’intensità del contagio. Il Rapporto adopera da 22 anni la differente intensità dei colori per rendere visivamente chiara l’intensità della persecuzione religiosa nel mondo. Ma nel Rapporto ai colori non corrisponde la tipologia di esercizi commerciali che possono stare aperti o che devono chiudere. Le restrizioni», prosegue Mantovano, «attengono all’esercizio di un diritto umano fondamentale, dai luoghi nei quali la condanna a morte colpisce chi mostra in pubblico i segni della propria fede, a quelli che sono teatro tragico dell’uso seriale e programmato della violenza sessuale nei confronti delle giovani donne colpevoli di appartenere a una comunità religiosa da cancellare», conclude il Presidente di ACS Italia.
Illuminare il mondo
20 Aprile 2021 - Animata dallo spirito missionario già al proprio interno, la Chiesa domestica è chiamata ad essere un segno luminoso della presenza di Cristo e del suo amore anche per i «lontani», per le famiglie che non credono ancora e per le stesse famiglie cristiane che non vivono più in coerenza con la fede ricevuta: è chiamata «col suo esempio e con la sua testimonianza» a illuminare «quelli che cercano la verità» (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.54, 22 novembre 1981)
“Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”. L’invito perentorio di Gesù all’annuncio universale della Sua Parola è il punto di partenza di Papa Giovanni Paolo II per spronare la famiglia alla missionarietà. Un surplus di fiducia nei confronti della “Chiesa domestica” che di fatto è chiamata a rendersi partecipe dell’azione evangelizzatrice con una peculiarità sua propria. La Chiesa che si fonda sulla casa, ovvero sul sacramento del matrimonio è investita direttamente della vocazione a farsi prossima di tutti i fratelli che incontra nel mondo in cui essa vive ed è immersa. I coniugi sono missionari nel profondo, in virtù del loro battesimo, ribadito nella confermazione e suggellato in maniera speciale dal matrimonio. Non ci sono limiti a questo annuncio e di fatto Gesù si è espresso indicando la meta: “fino agli estremi confini della terra”. Così avviene che gli sposi cristiani iniziano ad essere testimoni e missionari fra le mura domestiche per poi esserlo in ogni contesto di vita, piccolo o grande che sia, in cui si trovano a vivere e fare la loro esperienza coniugale. Mai come in questo caso è valida la famosa espressione che definisce i cristiani “nel mondo ma non del mondo”. I coniugi e le famiglie che loro vanno formando sono all’avanguardia, perennemente in terra di missione. Non vivono nel tempio, non sono individuati dalle persone che incontrano come autorità ecclesiastiche, non hanno paramenti sacri, appannaggio di sacerdoti e religiosi, ma sono cristiani! Da questo punto di vista, nei confronti, soprattutto, delle persone non credenti, hanno l’opportunità di un incontro più alla pari, privo di pregiudizi, in cui la responsabilità e la libertà del confronto si giocano proprio sul piano di una testimonianza contraddistinta dalla trasparenza e dalla gratuità. Il Papa afferma che le famiglie cristiane, che siano partite per un Paese del Terzo Mondo per vivere in pienezza la vocazione della missione evangelica, o che al loro interno debbano cimentarsi con la mancanza di fede dei figli o di qualche altro membro del nucleo famigliare, sono perennemente “in servizio” e la loro specificità è la testimonianza concreta sul campo. Pare di sentire San Francesco quando diceva ai suoi frati di predicare in ultima istanza con le parole se ce ne fosse stato bisogno; sì perché è nel vivere, prima ancora che nel dire il Vangelo che le famiglie possono essere davvero protagoniste. C’è bisogno di essere lievito nella pasta del mondo, correndo il rischio di mescolarsi nell’impasto della storia. C’è bisogno, ai giorni nostri come duemila anni fa, di relazioni affidabili, sempre più rare; di legami con uomini e donne sposi, capaci di seminare fiducia, bellezza, speranza. É proprio la famiglia cristiana che può illuminare la vicenda umana dei fratelli nella fede, delle famiglie che non credono o di quelle che accusano delle difficoltà al proprio interno, offrendo il dono dell’affidabilità. Essere saldi nella presenza fisica, a contatto con i fratelli, senza distanze, senza giudizi o pietismi; essere affidabili nella gratuità dell’ascolto, nella prossimità per le piccole e le grandi richieste. Essere luce per gli altri non è compito facile, ma quanto è necessario! Del resto non sono poche le occasioni in cui questa presenza che dona conforto viene riconosciuta come vitale e preziosa. Quando una famiglia, soprattutto se coesa fra i suoi membri, accende il fuoco della sua speranza a fianco di chi gli è vicino, subito se ne colgono i bagliori, presto nascono germogli di vita nuova e non di rado questa presenza suscita una gratitudine magari silenziosa, magari non sempre esplicita, ma di certo duratura e sincera. (Giovanni M. Capetta)
La caramella amara
19 Aprile 2021 - “Proviamo a tentare quello che non facciamo mai, leggere la storia con gli occhi del bambino afghano, degli indifesi, dei disarmati di coloro che hanno sopportato questa guerra come hanno sopportato le innumerevoli altre da secoli, come una fatica maledetta, necessaria a campare”. A scrivere è Domenico Quirico, giornalista che ha conosciuto le atrocità di guerre e atti terroristici in molti angoli del mondo. Davanti ai suoi occhi la foto, apparsa nei giorni scorsi su molti giornali, del ragazzino afghano che prende una caramella da un soldato Usa armato di tutto punto. L’immagine è apparsa all’indomani dell’annuncio del presidente Biden che i soldati Usa e altri se ne andranno da Kabul. Le promesse che l’Occidente non abbandonerà comunque l’Afghanistan a sé stesso rimangono parole in attesa di riscontro. Di certo rimane un Paese distrutto non solo materialmente ed esposto al rischio della vendetta talebana.
Il tempo concesso da una presenza militare per trovare una soluzione politica e non violenta del conflitto si è consumato senza risultati solidi e senza credibili prospettive di pace.
Impegnato com’è nella lotta al Covid 19 l’Occidente non ha tempo per occuparsi di altre tragedie. Neppure di quella, vicina all’Europa, che vede in questi giorni altri bambini annegare nel Mediterraneo.
I bambini guardano, i bambini pensano. Anche attraverso una foto riescono a vedere l’ombra dell’ipocrisia. I bambini tengono tutto nel cuore. I bambini giudicano anche se non sono magistrati e non siedono nei tribunali.
Una caramella non li trae in inganno, si consumerà in fretta, rimarrà il ricordo di un attimo che segna l’inizio di un tradimento di speranze e di attese. Lui, il bambino afghano, rimarrà indifeso e alla mercé di nuove violenze, altri verranno travolti dalle onde di un mare.
Quella caramella amara è il simbolo di una grande bugia.
Ci sarà sempre pronta una giustificazione nelle aule dei tribunali o in quelle della politica ma non si non cancelleranno le domande: che cosa ha fatto l’Occidente per le generazioni dei piccoli più a rischio di altre? Ha difeso, l’Occidente, solo i propri interessi oppure ha lottato anche per la verità e per la giustizia?
Tra pochi anni quel bimbo che oggi prende la caramella sarà un giovane, conserverà la memoria di quel momento di ipocrisia. A questa immagine se ne affiancano molte altre nel mondo. Anche nel Mediterraneo: le acque del mare lambiscono le coscienze prima ancora che le aule di un tribunale. Depositano la denuncia della grande menzogna di cui i bambini sono stati e sono vittime. (Paolo Bustaffa)
Don Luigi e l’avamposto di umanità per i migranti della rotta alpina
19 Aprile 2021 - Milano - In alta montagna, a metà aprile l’inverno non ha ancora allentato la sua morsa. Specialmente di notte, la temperatura resta vicina allo zero e spesso scende anche sotto. Quest’anno, poi, il freddo ha voluto dare un’ultima sferzata, prima di andarsene, con nevicate abbondanti e brusche gelate. È in queste condizioni che intere famiglie migranti cercano di attraversare il confine tra Italia e Francia. Si inerpicano sui valichi a duemila metri. Rischiano l’assideramento, di perdersi nei boschi o di venire intercettate dalla polizia e rispedite indietro. Però non desistono. Provano e riprovano. Tre, quattro, dieci volte. Oltre la frontiera (ammesso di arrivarci) li aspettano altre frontiere, altre settimane o mesi di cammini pericolosi, su strade inaccessibili. Altri mille espedienti per nascondersi. Tutto pur di raggiungere la loro terra promessa: la Germania o qualche altro Paese del Nord Europa.
A Oulx, provincia di Torino, in alta Val di Susa, a una quindicina di chilometri dal confine francese, si trova il rifugio “Fraternità Massi”, attualmente l’unico punto di accoglienza per chi vuole tentare la traversata. O per chi, magari, l’ha già tentata senza successo. Inaugurato nel 2018, dopo le tragedie di alcuni migranti trovati morti lungo i sentieri alpini, oggi è aperto 24 ore su 24. «A chi passa, offriamo un letto, un pasto caldo, dei vestiti» ci racconta il referente, don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno, che si occupa della struttura insieme con una trentina di volontari. «In questo momento, i nostri ospiti sono in prevalenza famiglie afghane, iraniane e pakistane provenienti dalla rotta balcanica» spiega il sacerdote. «Famiglie numerose, con almeno tre figli ciascuna. Tanti i bambini, alcuni piccolissimi. A loro si aggiungono giovani nord e centroafricani che, sbarcati a Lampedusa, hanno attraversato l’Italia e ora cercano di passare il confine».
Ogni notte, almeno una trentina di persone chiedono accoglienza al rifugio. E sono sempre di più, specialmente da quando, a marzo, la vicina casa cantoniera (che era stata occupata da anarchici italiani e francesi e che dava ospitalità ad alcuni migranti) è stata sgomberata, tra le polemiche. Il flusso è continuo. Giorno e notte, senza sosta. «Quando arrivano da noi», spiega don Chiampo, «spesso i migranti sono stremati e disorientati. Alcuni pensano di essere a Ventimiglia, un luogo di cui hanno sentito parlare perché per molto tempo è stato la sola porta d’accesso alla Francia. Pochi parlano inglese o altre lingue conosciute da noi, per questo non è sempre facile interagire. Fortunatamente possiamo contare su mediatori culturali, che ci aiutano, anche al telefono, nelle traduzioni».
In una stanza del rifugio è stato allestito un ambulatorio medico, risorsa quanto mai preziosa, gestito dai volontari dell’associazione “Raimbow For Africa”, mentre la Croce Rossa sorveglia strade e sentieri alla ricerca di chi è in difficoltà. La “fraternità Massi” si sostiene con il contributo di diverse realtà, tra cui la Fondazione Magnetto e la diocesi di Susa. Per passare il confine i migranti cercano ogni strada. Qualcuno ci prova in bus, ma il più delle volte viene facilmente bloccato e rimandato indietro. Altri tentano con le piste da sci. I più temerari (di solito gli afghani, che conoscono di più la montagna) si avventurano lungo i sentieri d’alta quota, tra pericoli e insidie di ogni tipo. «Molte volte arrivano qui con indumenti totalmente inadeguati» racconta il sacerdote. «Recentemente abbiamo accolto una ragazza incinta, che aveva i piedi semicongelati. Ecco perché, nei limiti del possibile, cerchiamo di offrire anche scarpe e vestiti adatti alla vita d’alta quota. Le famiglie sono le più determinate. Spesso hanno venduto tutto ciò che avevano, per questo viaggio. Tentano e ritentano, pur tra mille difficoltà. Il loro obiettivo non è la Francia. Quasi tutti sperano di arrivare in Germania, dove le comunità afgane e iraniane sono molto presenti».
Il flusso non si è fermato nemmeno nei mesi più duri della pandemia, ma solo di recente il viaggio degli invisibili è tornato sotto i riflettori, per un fatto di cronaca. Una bimba di otto anni, afghana, che stava cercando di passare il confine insieme alla sua famiglia, è stata bloccata dalla gendarmeria francese. Altolà, urla, armi spianate, in piena notte. La bimba (che già si portava addosso i traumi atroci di una guerra) è rimasta così terrorizzata che per lei è stato necessario un ricovero all’ospedale Regina Margherita di Torino. Un caso eclatante, ma di sicuro non l’unico.
Alle controversie internazionali, agli scaricabarili, alle infinite diatribe politiche, don Chiampo e i suoi volontari rispondono con la concretezza di un gesto d’accoglienza. Un piatto caldo, una coperta sulle spalle, magari una carezza sulla guancia. «Crediamo nella legalità, che è fonte di ordine», dice il sacerdote, «ma quando la legalità diventa legalismo, si genera esclusione. Non può esserci legalità senza umanità. E per affrontare il problema in modo strutturale, non sempre e solo come emergenza, una strada percorribile, forse la sola, sarebbe quella dei corridoi umanitari». (Lorenzo Montanaro - Famiglia Cristiana)
Il dramma della migrazione nel Continente americano
14 Aprile 2021 - Roma - Il quotidiano Avvenire di ieri, martedì 13 aprile, ha pubblicato un articolo del giornalista e scrittore Ferdinando Camon, da cui si rileva uno spaccato drammatico dell’emigrazione clandestina dal Messico agli Stati Uniti d’America e, in particolare, la vicenda di ragazzini, che, pur di scappare dalla miseria, “s’imbucano nei pullman dei turisti …. tra i bagagli e le ruote di scorta” e, una volta varcato il confine, essi affrontano le mille insidie del deserto.
Wilton Obregon, un bambino di circa 10 anni, e sua madre, nicaraguensi, attraversano il confine, ma dalla polizia sono rimandati in Messico e qui catturati da una banda di criminali, i quali ne chiedono il riscatto ad un loro parente, che vive a Miami. Ottenutolo, i sequestratori liberano solo il ragazzino, lo portano oltre il muro di confine e lo abbandonano nel deserto, affidandolo “al suo destino, alla vita o alla morte”. Fortunatamente il ragazzino riesce, da solo, a raggiungere la strada, dove viene preso dalla polizia statunitense.
L’autore amaramente conclude: “Vanno e vengono, catturati e sequestrati, liberati e di nuovo in fuga, noi non conosciamo tutto questo groviglio di vita e di morte, d’incontri con i sequestratori e con i poliziotti, e liquidiamo l’intero fenomeno con una sola parola innocente: migrazione.”
Un articolo che invita a riflettere sul dramma della migrazione nel Continente americano. (Mirko Dalla Torre)
Il dono della Misericordia
12 Aprile 2021 - Città del Vaticano - Sette giorni dopo la Pasqua, Gesù appare ai discepoli nel Cenacolo, dove si trovavano, le porte chiuse per “timore dei Giudei”, leggiamo nel quarto Vangelo. Sette come i giorni della creazione, come dire che in quel periodo è racchiuso tutto il tempo e tutto lo spazio. Sette è il simbolo di Dio e della sua perfezione e completezza; sette sono le settimane del tempo di Pasqua. Sette sono gli anni di abbondanza e altrettanti quelli di carestia in Egitto al tempo di Giuseppe.
Nell’Apocalisse il sette torna sette volte per indicare chiese, candelabri, stelle, coppe, spiriti, suggelli e tombe.
Sette giorni dopo la Pasqua, la chiesa fa memoria della festa introdotta da san Giovanni Paolo II, devoto di suor Faustina Kowalska che proclama santa durante il Giubileo del duemila. Attraverso la misericordia Gesù opera la “risurrezione dei discepoli”, che viene loro offerta “attraverso tre doni: dapprima Gesù offre loro la pace, poi lo Spirito, infine le piaghe”. Celebra la Messa nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, papa Francesco; con lui alcuni missionari della Misericordia – sacerdoti con poteri speciali di assoluzione, voluti da Francesco con il Giubileo della Misericordia nel 2015 – presenti detenuti dal carcere di Regina Cæli, dal reparto femminile di Rebibbia, e Casal del Marmo di Roma, infermieri, alcune Suore Ospedaliere e alcune persone con disabilità, una famiglia di migranti dall’Argentina, rifugiati provenienti da Siria, Nigeria ed Egitto.
Misericordia. Papa Giovanni XXIII, aprendo il Concilio, voleva una Chiesa che “preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore”. Paolo VI, chiudendo il Vaticano II, ricordava che “l’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio”. Papa Wojtyla consegnerà al mondo la sua enciclica Dives in Misericordia: “la Chiesa contemporanea è profondamente consapevole che soltanto sulla base della misericordia di Dio potrà dare attuazione ai compiti che scaturiscono dalla dottrina del Concilio Vaticano II”. Benedetto XVI, a Erfurt, nell’ex convento agostiniano, dove ha studiato Martin Lutero, ripropone l’interrogativo dell’iniziatore della Riforma, quasi premessa dell’Anno della fede: “come posso avere un Dio misericordioso”. Francesco apre a Bangui, Repubblica Centroafricana, l’Anno Santo della Misericordia: nel mistero di Dio, la misericordia “non è una sua qualità tra le altre, ma il palpito stesso del suo cuore”; così nella Fratelli tutti, propone l’icona del Samaritano, come chiave dell’enciclica.
Sette giorni dopo, il primo della settimana, Gesù incontra i suoi “angosciati” e “sfiduciati”, leggiamo in Giovanni, e “li rialza con la misericordia”; e loro, afferma papa Francesco con un suo neologismo, “misericordiati, diventano misericordiosi. È molto difficile essere misericordioso se uno non si accorge di essere misericordiato”. Ai discepoli Gesù dice: “pace a voi”. La pace di Gesù suscita la missione: “non è tranquillità, non è comodità, è uscire da sé. La pace di Gesù libera dalle chiusure che paralizzano, spezza le catene che tengono prigioniero il cuore. Gesù oggi ripete ancora: pace a te, che sei prezioso ai miei occhi. Pace a te, che sei importante per me”.
Il secondo dono è lo Spirito Santo, “per la remissione dei peccati”. Al centro della confessione, la mano “sicura e affidabile” del Padre “che ci rimette in piedi”, ricorda il Papa, “non ci siamo noi con i nostri peccati, ma Dio con la sua misericordia. Non ci confessiamo per abbatterci, ma per farci risollevare”. Il terzo dono, sono le piaghe, “da quelle siamo guariti”; come l’incredulo Tommaso, “tocchiamo con mano che Dio ci ama fino in fondo, che ha fatto sue le nostre ferite, che ha portato nel suo corpo le nostre fragilità”. Non “dubitiamo” più della sua misericordia, e “adorando, baciando le sue piaghe scopriamo che ogni nostra debolezza è accolta nella sua tenerezza”.
I discepoli “misericordiati” hanno condiviso tutto e “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”. Il Papa sottolinea: “Non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro”. Prima avevano litigato su premi e onore, la misericordia “ha trasformato la loro vita”. (Fabio Zavattaro - Sir)
Un’età che è un valore
6 Aprile 2021 - È necessario che l’azione pastorale della Chiesa stimoli tutti a scoprire e a valorizzare i compiti degli anziani nella comunità civile ed ecclesiale e in particolare nella famiglia. (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n. 27, 22 novembre 1981)
“[…] la vecchiaia è un dono e i nonni sono l’anello di congiunzione tra le generazioni, per trasmettere ai giovani esperienza di vita e di fede. I nonni, tante volte sono dimenticati e noi dimentichiamo questa ricchezza di custodire le radici e di trasmettere. Per questo, ho deciso di istituire la Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani, che si terrà in tutta la Chiesa ogni anno la quarta domenica di luglio, in prossimità della ricorrenza dei Santi Gioacchino e Anna, i “nonni” di Gesù. È importante che i nonni incontrino i nipoti e che i nipoti si incontrino con i nonni […]”. Sono parole di papa Francesco all’Angelus di domenica 31 gennaio 2021 e sono parole che sarebbero piaciute molto a Giovanni Paolo II il quale ha sempre riconosciuto un ruolo molto importante agli anziani e ha saputo interpretare la sua stessa vecchiaia in modo eccezionale. La pagina di Familiaris Consortio dedicata alla terza età è lucida e illuminante e invita a considerare gli anziani prima di tutto come una risorsa piuttosto che un peso. Il riferimento a quelle culture in cui il ruolo dell’anziano è ancora pienamente valorizzato aiuta a comprendere come il mondo occidentale su questo punto, nel suo evolversi, rischi continuamente di emarginare la popolazione anziana rendendola più sola e più indifesa. La stessa cultura contadina di non molti decenni fa legava fra loro le generazioni in modo più stretto e nonni e nipoti potevano godere di una convivenza che ora è sempre più rara. Le abitazioni monofamiliare, i ritmi e le distanze da coprire durante le giornate fra casa e lavoro, la tendenza ad affidare gli anziani ai servizi esterni alla famiglia – le Rsa in questo periodo così al centro dell’attenzione – è evidente che in questa tendenza c’è una deriva che non tiene conto della reale situazione che stiamo vivendo. Nessuna generazione come la nostra ha avuto una aspettativa di vita così elevata: gli anziani sono sempre di più e sempre più carichi di anni ed è per questo che non possiamo permetterci di relegarli ai margini della società. La comunità cristiana è anche su questo fronte interpellata a suscitare un cambio di mentalità, a spronare anche le istituzioni perché la prospettiva sia quella di dare centralità agli anziani attingendo al loro bagaglio di vita, alla poliedricità delle loro esperienze. Bisogna aprire canali di dialogo in cui l’ascolto dei figli e dei nipoti sia un ascolto responsabilizzante. Da un anziano si può imparare un lavoro, da una nonna si può imparare a pregare, da chi è avanti negli anni si può assumere uno stile di vita, un comportamento virtuoso. E poi non basta che i più giovani possano sentire dei bei racconti, è necessario che interpellino i loro vecchi, che facciano domande sui perché delle loro azioni. È bene che si abbia il coraggio anche di raccontare le fatiche, le stanchezze, gli stessi errori, perché è da quelli che si può imparare; anche da una sconfitta si può trarre un esempio. Solo così le narrazioni saranno valoriali, metteranno in gioco lo spirito che ha animato i passi del passato, le ragioni della mente e del cuore, in una parola: la verità di una storia. Abbiamo bisogno di questa comunicazione fra le generazioni perché si tratta di un patrimonio di insegnamenti che non si imparano sui banchi di scuola, ma passandosi il testimone fra grandi e piccoli. Una società che sa dare ascolto e valore ai propri anziani sarà anche una società che si preoccuperà di non lasciarli soli. Purtroppo il tempo di pandemia che stiamo vivendo non solo ha mietuto vittime soprattutto fra chi aveva superato una certa età, ma, anche per chi è scampato alla malattia, col suo carico di anni, si sono creati profondi vuoti, mancanza di calore umano, di assistenza, anche solo una presenza. C’è molto da investire e non lasciare inevasa ogni possibilità per creare legami, occasioni di vicinanza, anche di tempo “liberato” dagli impegni consueti, un tempo in cui la compagnia fra giovani, piccoli e anziani si faccia spazio davvero ricreativo e di edificazione reciproca. (Giovanni M. Capetta)