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Mons. Staglianò: nessuno escluso, solo così l’accoglienza è giusta e vera
Roma - La nuova 'inutile strage' della guerra in Ucraina non accenna a finire. Il decisivo «Fermatevi!» di papa Francesco a questa pazzia fratricida sembra ancora non ascoltato dalla realpolitik dell’insipienza umana che, invece, riprende la 'corsa agli armamenti' investendo miliardi per comprare e usare armi. L’utopia cristiana della pace è irrisa come astratta e impraticabile. E mentre si discute e ci si accapiglia, la guerra genera mostruosità: città distrutte, stragi e civili in fuga, ormai a milioni. La sofferenza degli innocenti interpella la coscienza di ognuno di noi. Come dire che 'Dio è amore', secondo il Vangelo? Soprattutto in questo frangente, bisognerà dirlo con l’opera della carità, in un’ospitalità davvero cattolica, che non esclude nessuno.
Nei migranti e nei profughi c’è tutto il dramma del mondo, e tanto dolore può spingerci a riscoprire quel 'noi' che ci precede e ci fa dire con verità che Dio è Padre. È cristianamente impossibile essere 'adoratori del Padre' senza essere 'custodi dei fratelli tutti'. Accogliere alcuni e respingere altri mostrerebbe, invece, che non c’è vera fede in Dio e che non si è cresciuti molto in umanità.
L’accoglienza diventa allora un kairòs, un tempo di grazia che ci fa uscire da visioni ristrette e ci fa respirare e pensare in grande, in sintonia con il cuore di Dio. E la Chiesa diventa, come ha ricordato recentemente papa Francesco alla Congregazione per le Chiese orientali, «un segno tangibile della carità di Cristo aprendo nuove strade da percorrere insieme». Scrive Etienne Grieu: «L’apertura all’altro, specialmente a colui che soffre, fa passare dalla semplice immagine di Dio, quali siamo per la creazione, alla somiglianza con lui, cioè a un legame molto più intimo con lui, attraverso l’unione ai suoi disegni e ai suoi modi di essere. È così che ci rivestiamo di Cristo». NellaFratelli tutti il Papa chiarisce come, per i cristiani, c’è un motivo più profondo della semplice solidarietà e c’è una sorgente utile a tutti: «Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che 'soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra di noi'. Perché 'la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità'» (272). E alla fine dell’Enciclica, Francesco ricorda come sia importante la lezione dei testimoni, citando tra gli altri Charles de Foucauld che voleva essere il fratello universale, «ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò a essere fratello di tutti» (287).
Si risveglia nei momenti difficili una sensibilità bella, e però occorre vigilare: può restare solo emotiva, come è stata all’inizio del Covid, dal quale non stiamo uscendo migliori. Così, ora le immagini della sofferenza indicibile delle vittime della guerra in Ucraina risvegliano quell’«eterno dovere di restare umani », di cui parlava Simone Weil. E però si può anche insinuare anche una deformazione grave: accogliamo gli ucraini perché li avvertiamo simili a noi, respingiamo gli altri profughi perché li sentiamo diversi e persino pericolosi? Già più volte, e da più parti, si è chiarito che non è vero: abbiamo bisogno gli uni degli altri, e gli immigrati sono preziosi anche per la nostra economia e per contrastare la denatalità. Nell’accoglienza dei profughi ucraini, allora, c’è un esercizio di umanità e di carità che va incoraggiato e sostenuto perché diventi cura e coinvolgimento delle comunità verso tutti, nessuno escluso: dall’Ucraina come dall’Africa tutta (pensiamo in modo particolare ai lager della Libia) o dal Vicino Oriente.
Una comunità accoglie davvero se si coinvolge, immedesimandosi nel dolore e nel dramma di chi vive, nella propria carne, l’abbandono e la perdita degli affetti più cari, per i quali vale la pena stare in questo mondo. Papa Francesco ce l’ha spiegato nella Fratelli tutti, chiarendo (al punto 129) il 'come' e il 'perché': «I nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Infatti, 'non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e Paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana'». (mons. Antonio Staglianò - Vescovo di Noto e delegato Migrantes della Conferenza Episcopale Sicilia)
Il testo è stato pubblicato sul numero odierno di Avvenire come lettera al direttoreMons. Staglianò: dobbiamo ritrovare il “noi” che ci precede
Noto - Ieri l’urlo che riempiva società pervase da ideologie totalitarie nazional-razziste era “Via gli ebrei”, oggi è “Via i migranti”! Nella nostra società di massa manipolata da poteri forti e da logiche di nuovo rischiosamente nazional- razziste, la categoria del “noi”, che dice comunione, viene deformata e resa divisiva: ci sono i “nostri” e ci sono gli “altri” che, a motivo di paure alimentate ad arte, diventano subito i “nemici”. E così il mondo viene diviso in “razze” superiori e inferiori. Con questi schemi volgari, nazismo, fascismo e stalinismo hanno reso il Novecento il “secolo del male”. Oggi, populismi di diversa matrice continuano ad alimentare odio e a trovare capri espiatori. C’è di più: le “politiche dell’antipolitica” – che hanno giocato e giocano con il disagio, cresciuto in tempi di crisi – hanno diseducato interi popoli e intere generazioni, facendo avanzare il deserto dentro il cuore dell’uomo. Hanno gettato l’umanità in una guerra devastante, ieri totale, oggi “infinita”. Per non parlare dei genocidi condotti con un cinismo che ancora oggi lascia attoniti, se ci si pensa con cuore sensibile e intelligenza lucida.
Come è stato possibile? Dove era la gente comune quando avvenivano le retate? Non si vedevano i vagoni piombati con “merce” umana? Da qualche anno, queste domande risuonano mentre si continua a recuperare la memoria della Shoah, perché mai più accadano crimini così efferati contro l’umanità. Ora, però, sappiamo che non sarebbe bastato (e che non basta) “guardare” per restare uomini che reagiscono, difendono, condividono, pensano alla comune umanità. Oggi lo sappiamo meglio, perché ci arrivano in presa diretta le immagini dei barconi e dei morti che annegano e diventano pezzi di carne in sacchi neri, come accaduto a Lampedusa o a Pozzallo, o l’immagine della mamma che, lungo i confini dei Balcani, muore assiderata perché con le sue calze aveva cercato di scaldare i figli. Mentre si mette in mare per salvare vite, da “Mediterranea” giunge un appello che ci chiede di rinnovare quella liberazione degli ebrei del 27 gennaio di settantasette anni fa nella liberazione dei migranti, non solo dalle acque minacciose del mare, ma anche dalle prigioni libiche – che “Avvenire” ha raccontato anche con immagini toccanti e strazianti – e da retate volte a eliminare quei migranti che cercano di diventare protagonisti del loro riscatto: «Non sappiamo come aiutare i fratelli di Gesù ad andare in Egitto per sfuggire alla persecuzione di Erode – scrive don Mattia Ferrari - Però dobbiamo salvarli: se le milizie li troveranno, molto probabilmente li giustizieranno, come avviene spesso ai migranti rivoltosi in Libia». Oggi vengono denunciate da gente coraggiosa (volontari di Ong, missionari, giornalisti, migranti che riescono a raccontarci cosa hanno visto) le violenze in nuovi campi di concentramento come quelli della Libia, dentro oscure manovre con la complicità di poteri economici e politici forti, o campi di raccolta, come quelli di Lesbo dove si vive di stenti. Oggi sappiamo anche che il lavoro forzato si rinnova nel nostro Paese nelle piaghe del caporalato che usa i migranti come merce a basso costo, migranti che si riparano poi sotto lamiere che diventano “forni” che evocano quelli dei campi di concentramento, roventi in estate e incapaci di riparare d’inverno.
Oggi non solo sappiamo di tanta sofferenza, ma anche ci viene chiarito come tutto questo sia disumano.
Ce lo dice con forza e tenacia papa Francesco che, nella “Fratelli tutti”, spiega anche come si crei un meccanismo perverso che ci spinge a “guardare” senza “vedere” e senza decidere quei gesti necessari per restare umani: «I “briganti della strada” hanno di solito come segreti alleati quelli che passano per la strada “passando dall’altra parte”. Si chiude il cerchio tra quelli che usano e ingannano la società per prosciugarla e quelli che pensano di mantenere la purezza nella loro funzione critica, ma nello stesso tempo vivono di quel sistema e delle sue risorse [...] In tal modo, si alimenta il disincanto e la mancanza di speranza, e ciò non incoraggia uno spirito di solidarietà e generosità» (FT,75).
Non basta “guardare”, occorre vedere e occorre agire! Solo così la memoria diventa memoriale, che ci interpella nell’oggi della storia e rende onore alle vittime. E ci sono dati tanti esempi in coloro che si espongono in prima persona. E in questi giorni ha parlato al cuore di molti la testimonianza e lo stile del presidente del Parlamento europeo Davide Maria Sassoli che, in uno dei suoi ultimi messaggi, quello per il Natale, ripreso dal cardinale Zuppi e dalla figlia al funerale, diceva con estrema chiarezza: «Abbiamo visto nuovi muri, i nostri confini in alcuni casi sono diventati confini tra morale e immorale, tra umanità e disumanità. Muri eretti contro persone che chiedono riparo dal freddo, dalla fame, dalla guerra, dalla povertà [...] Il periodo del Natale è il periodo della nascita della speranza e la speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo tutte le ingiustizie».
In una vignetta pubblicata dopo i funerali di Sassoli si vede una figura che, girando le spalle alla realtà concreta di un migrante mentre affonda, dice: «Continueremo sulle orme di David Sassoli », quando il migrante invoca e grida «Voltati». Ecco, in questo imperativo categorico, in questo “voltarsi” c’è la via per non continuare con emozioni e parole astratte, ma per aprire – nella cura che accoglie, protegge, promuove, integra, protegge (cfr. FT,129) – cammini nuovi in cui il “noi” viene ritrovato, non solo inclusivo e concreto, ma anche capace di dare pienezza e verità alla nostra vita. Scrive ancora il Papa: «Prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prenderci cura di noi stessi. Ma abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune » (FT,17). Nel “noi” che diventiamo accogliendo il migrante, cifra dell’umanità tutta in cammino, riscopriamo la comune e originaria co-appartenenza che ci fa insieme uomini.
“Fratelli tutti”, l’appello che papa Francesco ci dona, non è un appello emotivo o solo etico, ma teologale: è verità e sostanza della vita, è l’unico futuro degno dell’umanità, coerente con la conoscenza del volto vero di Dio, Padre che tutti ci abbraccia. Il filo della memoria lega allora i giusti di ieri, con i coraggiosi di oggi, e invoca dalla Chiesa anzitutto una presenza che aiuti, non solo a “guardare” ma a “vedere” («Dacci occhi per vedere», invochiamo nella preghiera eucaristica!) e così, come amava dire don Tonino Bello, «organizzare la speranza e forzare l’aurora». (mons. Antonio Stagliano - Vescovo di Noto e Vescovo delegato Migrantes della Conferenza Episcopale Siciliana)
Migrantes Sicilia: incontri in vista della GMMR
Migrantes Sicilia: oggi webinar su Mediterraneo e rotta balcanica
Migrantes Sicilia: un webinar su Mediterraneo e Balcani
Agrigento - Rotta del Mediterraneo centrale e rotta balcanica: vie percorse dalle migrazioni forzate, entrambe teatro di tragedie, violenze, sfruttamento, e morte. Il Mediterraneo continua ad essere via d’acqua per i viaggi della speranza e tomba liquida, per i tanti naufragi che nel 2020 e già nel 2021 si sono verificati. Nel corso dell’anno sulle coste della Sicilia sono arrivati 34.154 immigrati e richiedenti asilo, ma quasi 12.000 persone sarebbero state intercettate e riportate in Libia, con violazione patente delle norme del diritto internazionale.
Lungo la rotta balcanica, i respingimenti a catena – spesso violenti - e a ritroso dai confini di Croazia, Slovenia, Italia verso la Bosnia impediscono l’accesso all’Europa, calpestando i più elementari diritti umani e violando il diritto internazionale. Diverse testate giornalistiche (in prima linea Avvenire) hanno prodotto inequivocabile documentazione fotografica delle violenze perpetrate dalla polizia croata. La mancanza di una gestione oculata degli arrivi (che continuano ormai da decenni e che non termineranno tanto presto) e di prospettive politiche di governo dei flussi hanno fatto sì che l’accoglienza dei nuovi arrivati presenti aspetti altamente problematici, con l’aggravante delle criticità legate alla pandemia. Centri di accoglienza per la quarantena di grandi dimensioni, dove si sono trovati a convivere in promiscuità decine di immigrati (anche 50-80 minori), hanno riscontrato problemi interni e sul territorio. Tutto questo favorisce reazioni di insofferenza e di intolleranza nei cittadini, che – “sollecitati” da interessi politici a carattere populista - hanno protestato in varie occasioni invocando la chiusura dei centri nei loro territori e determinando la volontà delle amministrazioni di localizzare le strutture dell’accoglienza lontano dai centri abitati.
In tutto questo, un monito viene dall’Enciclica “Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Pur presentando un orizzonte con i caratteri dell’utopia, Papa Francesco richiama ad azioni mirate e puntuali, ed invita ad intervenire con una buona politica, indicandola come “vocazione altissima, una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”.
Non si può pensare la pace sociale senza un’accoglienza inclusiva, rispettosa dei diritti e della dignità di quanti bussano alle porte dell’Italia e dell’Europa. Intervengono, dopo i saluti del card. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento, Nello Scavo, inviato speciale di Avvenire; Gianfranco Schiavone dell’ASGI; don Valter Milocco, Migrantes Gorizia; Alessandra Sciurba, Univ. di Palermo; Mario Affronti, Direttore Regionale Migrantes Sicilia; Maurizio Ambrosini, Sociologo dell’ Univ. Statale di Milano e mons. Antonio Staglianò, Vescovo delegato Migrantes Sicilia. (Migrantes Sicilia)
Migrantes Sicilia, mons. Noto: no a provvedimenti contro i migranti nella logica del capro espiatorio
Migrantes Sicilia: è morto p. Filippo Bonasera
R.I.
Migrantes Sicilia a fianco dello spettacolo viaggiante in difficoltà
R.Iaria