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Mons. Lorefice: “quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni

1 Marzo 2023 - Palermo - I morti di Cutro, “fratelli e sorelle sfiniti dalla sofferenza della fuga da una patria martoriata e ingoiati dalle onde del nostro mare in un ultimo, disperato combattimento, hanno tentato fino all’ultima bracciata, fino all’ultimo respiro di sfiorare con le dita la speranza che fin qui avevano inseguito: toccare terra in un luogo capace di salvarli e di accoglierli. La speranza di una terra diversa da quella che tragicamente avevano dovuto abbandonare perché incapace di assicurare il diritto alla vita e alla sicurezza dell’umanità in quanto tale”. E’ quanto dice l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lojudice dopo la tragedia avvenuta sulle coste calabre. “Non hanno riconosciuto, i nostri fratelli pakistani, afghani, iraniani, siriani, nell’orizzonte freddo della costa, avara di aiuti e incapace di cura per l’unicità preziosa delle loro vite, non hanno riconosciuto questa diversità della nostra terra rispetto a quella che li ha scacciati, perseguitati, minacciati, costretti all’esilio. Ci avrebbero chiesto, se fossero riusciti ad approdare – ce lo chiedono gli occhi sgomenti, atterriti dei sopravvissuti – su cosa fondiamo oggi noi europei, noi occidentali, la promessa che abbiamo fatto quando abbiamo scritto la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo. Ci avrebbero chiesto – e ora tocca a noi, da cittadini, da cristiani, chiedercelo e chiederlo a nome di ognuno di loro ai Governi italiano ed europeo – se abbiamo compreso che quella promessa l’abbiamo fatta innanzitutto a coloro che ancor oggi scappano dai luoghi in cui questi diritti sono sconosciuti, violati, e se ci siamo resi conto che lasciandoli morire li abbiamo violati noi stessi, per primi”, evidenzia il presule che è anche delegato Migrantes della Conferenza Episcopale Siciliana. Per mons. Lorefice “non è solo dinanzi a quello che è accaduto in Calabria che ci sentiamo di dover fare questa affermazione, ma anche e soprattutto dinanzi alla negazione delle responsabilità, alla gravità della loro elusione, alla mancanza di consapevolezza politica ed umana da parte delle istituzioni nazionali ed internazionali impegnate solo a stringere accordi con paesi come la Libia per trattenere e sospingere i migranti in veri e propri campi di concentramento. Non c’è spazio oggi per i qualunquismi: è tempo per tutti noi di rifuggire con chiarezza da ogni narrazione tesa a colpevolizzare l’anello più debole della società. La responsabilità è nostra: quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di Papa Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e timorosi”. Il “culmine simbolico di tutto ciò – ha detto ancora l’arcivescovo di Palermo  - è stata la dichiarazione resa dal ministro Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime. Come mi sono già trovato a dire, durante la Preghiera per la pace del 4 novembre 2022, rischiamo tutti di ammalarci ‘di una forma particolare di Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini, la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la tenerezza saggia degli anziani. Fa dimenticare la fragranza di una mensa condivisa’. Come cristiani, memori della parola del Vangelo del Messia che si è fatto povero e ha sposato la causa dei poveri, insieme alle donne e agli uomini di buona volontà e alle numerose associazioni umanitarie impegnate nel Mediterraneo e sulle rotte di terra, crediamo che sia necessario rispondere ai tanti interrogativi ancora aperti sul naufragio di Cutro e che venga dissipato ogni equivoco sulla gravissima responsabilità di chi non soccorre i naufraghi lasciandoli morire in mare. Si aprano una volta per tutte i tanto attesi corridoi umanitari, si agisca sul diritto di asilo, si lavori sull’integrazione. Facciamo insieme di questa nostra terra un giardino fecondo di vita, in cui celebrare e sperimentare la convivialità delle differenze”.

Mons. Staglianò: nessuno escluso, solo così l’accoglienza è giusta e vera

22 Aprile 2022 -

Roma - La nuova 'inutile strage' della guerra in Ucraina non accenna a finire. Il decisivo «Fermatevi!» di papa Francesco a questa pazzia fratricida sembra ancora non ascoltato dalla realpolitik dell’insipienza umana che, invece, riprende la 'corsa agli armamenti' investendo miliardi per comprare e usare armi. L’utopia cristiana della pace è irrisa come astratta e impraticabile. E mentre si discute e ci si accapiglia, la guerra genera mostruosità: città distrutte, stragi e civili in fuga, ormai a milioni. La sofferenza degli innocenti interpella la coscienza di ognuno di noi. Come dire che 'Dio è amore', secondo il Vangelo? Soprattutto in questo frangente, bisognerà dirlo con l’opera della carità, in un’ospitalità davvero cattolica, che non esclude nessuno.

Nei migranti e nei profughi c’è tutto il dramma del mondo, e tanto dolore può spingerci a riscoprire quel 'noi' che ci precede e ci fa dire con verità che Dio è Padre. È cristianamente impossibile essere 'adoratori del Padre' senza essere 'custodi dei fratelli tutti'. Accogliere alcuni e respingere altri mostrerebbe, invece, che non c’è vera fede in Dio e che non si è cresciuti molto in umanità.

L’accoglienza diventa allora un kairòs, un tempo di grazia che ci fa uscire da visioni ristrette e ci fa respirare e pensare in grande, in sintonia con il cuore di Dio. E la Chiesa diventa, come ha ricordato recentemente papa Francesco alla Congregazione per le Chiese orientali, «un segno tangibile della carità di Cristo aprendo nuove strade da percorrere insieme». Scrive Etienne Grieu: «L’apertura all’altro, specialmente a colui che soffre, fa passare dalla semplice immagine di Dio, quali siamo per la creazione, alla somiglianza con lui, cioè a un legame molto più intimo con lui, attraverso l’unione ai suoi disegni e ai suoi modi di essere. È così che ci rivestiamo di Cristo». NellaFratelli tutti il Papa chiarisce come, per i cristiani, c’è un motivo più profondo della semplice solidarietà e c’è una sorgente utile a tutti: «Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che 'soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra di noi'. Perché 'la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità'» (272). E alla fine dell’Enciclica, Francesco ricorda come sia importante la lezione dei testimoni, citando tra gli altri Charles de Foucauld che voleva essere il fratello universale, «ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò a essere fratello di tutti» (287).

Si risveglia nei momenti difficili una sensibilità bella, e però occorre vigilare: può restare solo emotiva, come è stata all’inizio del Covid, dal quale non stiamo uscendo migliori. Così, ora le immagini della sofferenza indicibile delle vittime della guerra in Ucraina risvegliano quell’«eterno dovere di restare umani », di cui parlava Simone Weil. E però si può anche insinuare anche una deformazione grave: accogliamo gli ucraini perché li avvertiamo simili a noi, respingiamo gli altri profughi perché li sentiamo diversi e persino pericolosi? Già più volte, e da più parti, si è chiarito che non è vero: abbiamo bisogno gli uni degli altri, e gli immigrati sono preziosi anche per la nostra economia e per contrastare la denatalità. Nell’accoglienza dei profughi ucraini, allora, c’è un esercizio di umanità e di carità che va incoraggiato e sostenuto perché diventi cura e coinvolgimento delle comunità verso tutti, nessuno escluso: dall’Ucraina come dall’Africa tutta (pensiamo in modo particolare ai lager della Libia) o dal Vicino Oriente.

Una comunità accoglie davvero se si coinvolge, immedesimandosi nel dolore e nel dramma di chi vive, nella propria carne, l’abbandono e la perdita degli affetti più cari, per i quali vale la pena stare in questo mondo. Papa Francesco ce l’ha spiegato nella Fratelli tutti, chiarendo (al punto 129) il 'come' e il 'perché': «I nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Infatti, 'non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e Paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana'». (mons. Antonio Staglianò - Vescovo di Noto e delegato Migrantes della Conferenza Episcopale Sicilia)

                  Il testo è stato pubblicato sul numero odierno di Avvenire come lettera al direttore

Mons. Staglianò: dobbiamo ritrovare il “noi” che ci precede

27 Gennaio 2022 -

Noto - Ieri l’urlo che riempiva società pervase da ideologie totalitarie nazional-razziste era “Via gli ebrei”, oggi è “Via i migranti”! Nella nostra società di massa manipolata da poteri forti e da logiche di nuovo rischiosamente nazional- razziste, la categoria del “noi”, che dice comunione, viene deformata e resa divisiva: ci sono i “nostri” e ci sono gli “altri” che, a motivo di paure alimentate ad arte, diventano subito i “nemici”. E così il mondo viene diviso in “razze” superiori e inferiori. Con questi schemi volgari, nazismo, fascismo e stalinismo hanno reso il Novecento il “secolo del male”. Oggi, populismi di diversa matrice continuano ad alimentare odio e a trovare capri espiatori. C’è di più: le “politiche dell’antipolitica” – che hanno giocato e giocano con il disagio, cresciuto in tempi di crisi – hanno diseducato interi popoli e intere generazioni, facendo avanzare il deserto dentro il cuore dell’uomo. Hanno gettato l’umanità in una guerra devastante, ieri totale, oggi “infinita”. Per non parlare dei genocidi condotti con un cinismo che ancora oggi lascia attoniti, se ci si pensa con cuore sensibile e intelligenza lucida.

Come è stato possibile? Dove era la gente comune quando avvenivano le retate? Non si vedevano i vagoni piombati con “merce” umana? Da qualche anno, queste domande risuonano mentre si continua a recuperare la memoria della Shoah, perché mai più accadano crimini così efferati contro l’umanità. Ora, però, sappiamo che non sarebbe bastato (e che non basta) “guardare” per restare uomini che reagiscono, difendono, condividono, pensano alla comune umanità. Oggi lo sappiamo meglio, perché ci arrivano in presa diretta le immagini dei barconi e dei morti che annegano e diventano pezzi di carne in sacchi neri, come accaduto a Lampedusa o a Pozzallo, o l’immagine della mamma che, lungo i confini dei Balcani, muore assiderata perché con le sue calze aveva cercato di scaldare i figli. Mentre si mette in mare per salvare vite, da “Mediterranea” giunge un appello che ci chiede di rinnovare quella liberazione degli ebrei del 27 gennaio di settantasette anni fa nella liberazione dei migranti, non solo dalle acque minacciose del mare, ma anche dalle prigioni libiche – che “Avvenire” ha raccontato anche con immagini toccanti e strazianti – e da retate volte a eliminare quei migranti che cercano di diventare protagonisti del loro riscatto: «Non sappiamo come aiutare i fratelli di Gesù ad andare in Egitto per sfuggire alla persecuzione di Erode – scrive don Mattia Ferrari - Però dobbiamo salvarli: se le milizie li troveranno, molto probabilmente li giustizieranno, come avviene spesso ai migranti rivoltosi in Libia». Oggi vengono denunciate da gente coraggiosa (volontari di Ong, missionari, giornalisti, migranti che riescono a raccontarci cosa hanno visto) le violenze in nuovi campi di concentramento come quelli della Libia, dentro oscure manovre con la complicità di poteri economici e politici forti, o campi di raccolta, come quelli di Lesbo dove si vive di stenti. Oggi sappiamo anche che il lavoro forzato si rinnova nel nostro Paese nelle piaghe del caporalato che usa i migranti come merce a basso costo, migranti che si riparano poi sotto lamiere che diventano “forni” che evocano quelli dei campi di concentramento, roventi in estate e incapaci di riparare d’inverno.

Oggi non solo sappiamo di tanta sofferenza, ma anche ci viene chiarito come tutto questo sia disumano.

Ce lo dice con forza e tenacia papa Francesco che, nella “Fratelli tutti”, spiega anche come si crei un meccanismo perverso che ci spinge a “guardare” senza “vedere” e senza decidere quei gesti necessari per restare umani: «I “briganti della strada” hanno di solito come segreti alleati quelli che passano per la strada “passando dall’altra parte”. Si chiude il cerchio tra quelli che usano e ingannano la società per prosciugarla e quelli che pensano di mantenere la purezza nella loro funzione critica, ma nello stesso tempo vivono di quel sistema e delle sue risorse [...] In tal modo, si alimenta il disincanto e la mancanza di speranza, e ciò non incoraggia uno spirito di solidarietà e generosità» (FT,75).

Non basta “guardare”, occorre vedere e occorre agire! Solo così la memoria diventa memoriale, che ci interpella nell’oggi della storia e rende onore alle vittime. E ci sono dati tanti esempi in coloro che si espongono in prima persona. E in questi giorni ha parlato al cuore di molti la testimonianza e lo stile del presidente del Parlamento europeo Davide Maria Sassoli che, in uno dei suoi ultimi messaggi, quello per il Natale, ripreso dal cardinale Zuppi e dalla figlia al funerale, diceva con estrema chiarezza: «Abbiamo visto nuovi muri, i nostri confini in alcuni casi sono diventati confini tra morale e immorale, tra umanità e disumanità. Muri eretti contro persone che chiedono riparo dal freddo, dalla fame, dalla guerra, dalla povertà [...] Il periodo del Natale è il periodo della nascita della speranza e la speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo tutte le ingiustizie».

In una vignetta pubblicata dopo i funerali di Sassoli si vede una figura che, girando le spalle alla realtà concreta di un migrante mentre affonda, dice: «Continueremo sulle orme di David Sassoli », quando il migrante invoca e grida «Voltati». Ecco, in questo imperativo categorico, in questo “voltarsi” c’è la via per non continuare con emozioni e parole astratte, ma per aprire – nella cura che accoglie, protegge, promuove, integra, protegge (cfr. FT,129) – cammini nuovi in cui il “noi” viene ritrovato, non solo inclusivo e concreto, ma anche capace di dare pienezza e verità alla nostra vita. Scrive ancora il Papa: «Prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prenderci cura di noi stessi. Ma abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune » (FT,17). Nel “noi” che diventiamo accogliendo il migrante, cifra dell’umanità tutta in cammino, riscopriamo la comune e originaria co-appartenenza che ci fa insieme uomini.

“Fratelli tutti”, l’appello che papa Francesco ci dona, non è un appello emotivo o solo etico, ma teologale: è verità e sostanza della vita, è l’unico futuro degno dell’umanità, coerente con la conoscenza del volto vero di Dio, Padre che tutti ci abbraccia. Il filo della memoria lega allora i giusti di ieri, con i coraggiosi di oggi, e invoca dalla Chiesa anzitutto una presenza che aiuti, non solo a “guardare” ma a “vedere” («Dacci occhi per vedere», invochiamo nella preghiera eucaristica!) e così, come amava dire don Tonino Bello, «organizzare la speranza e forzare l’aurora». (mons. Antonio Stagliano - Vescovo di Noto e Vescovo delegato Migrantes della Conferenza Episcopale Siciliana)

Migrantes Sicilia: incontri in vista della GMMR

7 Maggio 2021 - Palermo - "Verso un 'noi' più grande" è il tema scelto da Papa Francesco per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebrerà il 26 settembre, In preparazione l'Ufficio Migrantes della Conferenza Episcopale Siciliana e con l'ufficio Migrantes della diocesi di Agrigento promuove due incontri - in modalità online - sul “Verso un noi sempre più grande: il noi, le relazioni, la persona”. Il primo appuntamento è per martedì 11 maggio alle 18:30 con Mauro Magatti, Sociologo presso l’Università Cattolica di Milano. Il secondo incontro il martedì successivo, martedì 18 maggio alle 18:30 con mons. Antonio Staglianò, vescovo delegato Migrantes della Conferenza Episcopale Siciliana. CESI per le Migrazioni.  (R.I.)

Migrantes Sicilia: oggi webinar su Mediterraneo e rotta balcanica

4 Febbraio 2021 - Agrigento - “Mediterraneo e Balcani. Frontiere, accoglienza, inclusione” è il titolo del webinar che si svolgerà questo pomeriggio (ore 16-18) sulla situazione dei Balcani e i processi di accoglienza e inclusione dei migranti. «Lungo la rotta balcanica, i respingimenti a catena – spesso violenti – e a ritroso dai confini di Croazia, Slovenia, Italia verso la Bosnia impediscono l’accesso all’Europa, calpestando i più elementari diritti umani e violando il diritto internazionale», scrive la Migrantes Sicilia: «La mancanza di una gestione oculata degli arrivi (che continuano ormai da decenni e che non termineranno tanto presto) e di prospettive politiche di governo dei flussi hanno fatto sì che l’accoglienza dei nuovi arrivati presenti aspetti altamente problematici, con l’aggravante delle criticità legate alla pandemia. Centri di accoglienza per la quarantena di grandi dimensioni, dove si sono trovati a convivere in promiscuità decine di immigrati (anche 50-80 minori), hanno riscontrato problemi interni e sul territorio. Tutto questo favorisce reazioni di insofferenza e di intolleranza nei cittadini, che – sollecitati da interessi politici a carattere populista – hanno protestato in varie occasioni invocando la chiusura dei centri nei loro territori e determinando la volontà delle amministrazioni di localizzare le strutture dell’accoglienza lontano dai centri abitati». Intervengono, tra gli altri, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento; mons. Antonio Staglianò, vescovo delegato Migrantes Sicilia, Gianfranco Schiavone dell'Asgi; Alessandra Sciurba di Mediterranea saving humans e Università di Palermo; il sociologo Maurizio Ambrosini e Nello Scavo, giornalista di Avvenire.  

Migrantes Sicilia: un webinar su Mediterraneo e Balcani

2 Febbraio 2021 -

Agrigento - Rotta del Mediterraneo centrale e rotta balcanica: vie percorse dalle migrazioni forzate, entrambe teatro di tragedie, violenze, sfruttamento, e morte. Il Mediterraneo continua ad essere via d’acqua per i viaggi della speranza e tomba liquida, per i tanti naufragi che nel 2020 e già nel 2021 si sono verificati. Nel corso dell’anno sulle coste della Sicilia sono arrivati 34.154 immigrati e richiedenti asilo, ma quasi 12.000 persone sarebbero state intercettate e riportate in Libia, con violazione patente delle norme del diritto internazionale.

Lungo la rotta balcanica, i respingimenti a catena – spesso violenti - e a ritroso dai confini di Croazia, Slovenia, Italia verso la Bosnia impediscono l’accesso all’Europa, calpestando i più elementari diritti umani e violando il diritto internazionale. Diverse testate giornalistiche (in prima linea Avvenire) hanno prodotto inequivocabile documentazione fotografica delle violenze perpetrate dalla polizia croata. La mancanza di una gestione oculata degli arrivi (che continuano ormai da decenni e che non termineranno tanto presto) e di prospettive politiche di governo dei flussi hanno fatto sì che l’accoglienza dei nuovi arrivati presenti aspetti altamente problematici, con l’aggravante delle criticità legate alla pandemia. Centri di accoglienza per la quarantena di grandi dimensioni, dove si sono trovati a convivere in promiscuità decine di immigrati (anche 50-80 minori), hanno riscontrato problemi interni e sul territorio. Tutto questo favorisce reazioni di insofferenza e di intolleranza nei cittadini, che – “sollecitati” da interessi politici a carattere populista - hanno protestato in varie occasioni invocando la chiusura dei centri nei loro territori e determinando la volontà delle amministrazioni di localizzare le strutture dell’accoglienza lontano dai centri abitati.

In tutto questo, un monito viene dall’Enciclica “Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Pur presentando un orizzonte con i caratteri dell’utopia, Papa Francesco richiama ad azioni mirate e puntuali, ed invita ad intervenire con una buona politica, indicandola come “vocazione altissima, una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”.

Non si può pensare la pace sociale senza un’accoglienza inclusiva, rispettosa dei diritti e della dignità di quanti bussano alle porte dell’Italia e dell’Europa. Intervengono, dopo i saluti del card. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento, Nello Scavo, inviato speciale di Avvenire; Gianfranco Schiavone dell’ASGI; don Valter Milocco, Migrantes Gorizia; Alessandra Sciurba, Univ. di Palermo; Mario Affronti, Direttore Regionale Migrantes Sicilia; Maurizio Ambrosini,  Sociologo dell’ Univ. Statale di Milano e mons. Antonio Staglianò, Vescovo delegato Migrantes Sicilia. (Migrantes Sicilia)

 

Migrantes Sicilia, mons. Noto: no a provvedimenti contro i migranti nella logica del capro espiatorio

25 Agosto 2020 - Palermo - Pubblichiamo l’intervento del vescovo di Noto, mons. Antonio Staglianò, delegato della Conferenza episcopale siciliana per le Migrazioni (Migrantes), sull’ordinanza n. 33 del governatore della Sicilia, Nello Musumeci, sui migranti. “Le prove possono indurire o temprare”, scriveva in tempi difficili Etty Hillesum. Vale per l’esperienza del Covid e del dopo-Covid, di questo tempo ambivalente: al rigore con cui abbiamo arginato il pericolo, è subentrata tanta incertezza e oscillazione nei comportamenti e nei provvedimenti a tutti i livelli. E questo forse potrebbe spiegare atteggiamenti irrazionali quale quello di attribuire colpe individuando un capro espiatorio, come possono essere i migranti, quando in questo momento il pericolo vero è un movimento incontrollato, e forse poco controllabile, a motivo del turismo e della movida. Spiegare, ma non giustificare! Ancor più non si giustifica un agire di alcuni politici, tendente a usare la paura per un facile, immediato, consenso: chi governa deve piuttosto aiutare la comunità a fronteggiare pericoli e paure con senso di grande prudenza e proporre soluzioni ispirate ai grandi valori della nostra Costituzione. Per questo preoccupa e non appare accettabile, dal punto di vista razionale ed evangelico, quanto si prevede con l’ordinanza 33 del 22 agosto emanata dal presidente della Regione Sicilia, onorevole Musumeci, con cui si semplifica la complessità dei problemi relativi al Covid individuando la loro soluzione nella chiusura ai migranti e rischiando uno scontro tra istituzioni, che solo può disorientare e accrescere un clima emotivo e superficiale, “indurito” e non “temprato” dalla prova. Chiediamo allora in tanti, credenti e uomini di buona volontà, vie e provvedimenti che permettano alla politica di essere l’arte del bene comune. Ricordiamo che l’uomo, ancor più l’uomo debole come il migrante e il povero, deve restare “fine” e mai essere ridotto a “mezzo”. Si torni a ragionare e a operare su tutti i fronti per salvaguardare sicurezza e solidarietà con sano realismo e custodia dei grandi valori che ci fanno restare umani. I migranti sono persone, per i credenti sono una visita di Dio, tanto quanto lo sono i poveri del nostro territorio e la gente che in questo momento soffre per la mancanza di lavoro e di speranza. La vera sicurezza, insieme a un’attenzione sanitaria che attivi misure preventive a tutti i livelli e regole che possano arginare assembramenti non controllabili, è dare a poveri e migranti dignità e percorsi di integrazione, operando per l’emersione di ogni forma di sfruttamento, e questo previene anche reali pericoli sanitari, e non solo. Cosa vuol dire, infatti, allontanare dei migranti e tollerare poi tanto degrado in cui vengono lasciati loro, ma anche i più deboli della nostra società? Frutto del degrado è la violenza: lo abbiamo visto nel caso drammatico del piccolo Evan, come di tanti bambini lasciati morire nel Mar Mediterraneo. Nuove stragi di innocenti! Lasciamoci allora istruire dal tempo di crisi, in cui abbiamo tutti sperimentato la nostra fragilità e mortalità, per vivere nella solidarietà verso tutti e accresciamo tutto ciò che previene, cura, integra, sostiene. La Sicilia, lo abbiamo ricordato da anni noi vescovi di questa adorabile regione, per posizione geografica e per vocazione, è terra di ospitalità e di incontro. Il nostro tempo per altro ha portato a compimento i processi di globalizzazione, per cui è impossibile fermare i movimenti migratori. Una politica lungimirante aiuti il futuro dell’umanità, e la Sicilia resti faro di civiltà! Quanto ai credenti, esiste solo l’unica famiglia umana: il Dio che Gesù ci ha rivelato è il padre di tutti e, come ha ricordato il papa durante l’Angelus di domenica scorsa, alla fine della vita e della storia, “il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza, vittime della cultura dello scarto”. Dio, per questo, chiede di non fermarsi a un “cattolicesimo convenzionale” fatto di devozioni superficiali, ma ispira, in coloro che lo vogliono seguire sul serio, sentimenti di compassione e passi di fraternità, come testimoniano i percorsi delle nostre Caritas e degli uffici Migrantes verso tutti i poveri, senza distinzione tra vicini e lontani. Anche tante donne e uomini di buona volontà operano in questa direzione. Impegniamoci allora insieme a rigenerare i nostri territori nella solidarietà e nella giustizia e, nel mondo, a fermare le guerre, a gettare ponti tra le nazioni e i popoli, sull’esempio di un politico esemplare, figlio della nostra terra, come Giorgio La Pira, che amava ricordare come la storia va verso un futuro di pace e di giustizia a cui siamo chiamati insieme. Lasciamoci istruire nella sapienza dalla crisi e prepariamo tempi migliori per il mondo, e quindi – l’amore vero di ogni genitore lo richiede! – per le nuove generazioni, fermando le nostre migrazioni, le migrazioni dei giovani, con politiche del lavoro che uno stile alto della politica, attenta ai veri problemi, è in grado di ispirare, generando energie costruttive e creando mobilitazioni solidali a vantaggio di tutti. +Antonio Staglianò Vescovo di Noto Delegato della Conferenza Episcopale Siciliana per le Migrazioni

Migrantes Sicilia: è morto p. Filippo Bonasera

1 Maggio 2020 - Palermo - È venuto a mancare p. Filippo Bonasera, un pezzo di storia della Migrantes siciliana. Presbitero della diocesi di Caltanissetta e attualmente rettore della chiesa del Carmelo in Serradifalco. È stato direttore regionale dell’Ufficio Migrantes della  Conferenza Episcopale Siciliana e per tanti anni punto di riferimento per tutti gli operatori impegnati in questa pastorale. “Don Filippo è in Paradiso” è stato il messaggio che è arrivato alla Migrantes regionale da Pina Palumbo. Negli ultimi due anni il sacerdote è stato molto male, tra ricoveri e sofferenze; ultimamente faceva pure dialisi. Pina ha detto che è andato "via serenamente senza soffrire e che l'ultima volta l'ha salutato tre giorni fa mentre usciva dall'ospedale di Caltanissetta". Nato a Santa Caterina Villarmosa il 4 febbraio 1949 p. Filippo era stato ordinato sacerdote nel 1976 dopo gli studi presso il Seminario di Caltanissetta, Messina e Napoli.  Ha retto la chiesa Madonna del Carmelo di Serradifalco dal 1979. Nel 1984 delegato diocesano Migrantes a Caltanissetta  e poi direttore del SeRES e direttore regionale Migrantes visitando gli emigrati italiani in tutti i continenti. Non mancava mai di sottolineare che i migranti vanno considerati "persone che la provvidenza manda fra noi e che abbiamo il dovere di accogliere. Così come altri popoli facevano con gli italiani quando eravamo noi a migrare".  Per i migranti, ricorda la diocesi di Caltanissetta, sin dai primi anni di incremento degli sbarchi sulle coste siciliane, aveva organizzato le prime raccolte di bene di prima necessità, così come si era sempre sempre attivato nell'organizzare gli interventi d sostegno ai più poveri e alle famiglie in difficoltà del territorio in cui operava. "Uomo umile e semplice, attento ai migranti. Suo papà era emigrato in Germania e lui per molti anni passava le estati nelle missioni cattoliche di quel paese acquisendo una grande coscienza e consapevolezza del fenomeno.Uomo, sacerdote e pastore", dice il direttore regionale Migrantes, Mario Affronti:  "uomo di frontiera così mi piace descriverlo e ricordare; con dolore ma con immensa gratitudine e gioia per saperlo accanto ai suoi cari, Gesù, Maria e Giuseppe pellegrini, in primis, ai quali ha dedicato la vita. Ah! dimenticavo, aveva un grande senso dell’ironia. Indimenticabili le sue barzellette ed i suoi aneddoti! Anche così si vive la frontiera!". Le esequie si svolgeranno a Santa Caterina nei prossimi giorni. La Fondazione Migrantes esprime la propria vicinanza ai familiari, alla diocesi di Caltanissetta e alla Chiesa di Sicilia.

R.I.

Migrantes Sicilia a fianco dello spettacolo viaggiante in difficoltà

27 Aprile 2020 - Palermo - Una ventina di gestori, per un totale di circa 400 persone che vivono di questo lavoro a Palermo; 220 famiglie in tutta la Sicilia, oltre 2.000 persone. E’ il quadro del mondo dello spettacolo viaggiante in Sicilia. Un mondo che, a causa delle misure prese per l’epidemia in corso, ha spento le luci e oggi sta vivendo un particolare momento di disagio e difficoltà ch mette a rischio il loro futuro. In questo periodo l’Ufficio Migrantes della Sicilia, con il direttore regionale Mario Affronti e con delegato della pastorale Migrantes per lo Spettacolo Viaggiante, don Rosario Cavallo che è anche direttore Migrantes di Ragusa, attraverso la Caritas è riuscita a raggiungere tutti coloro che avevano bisogno di aiuto, facendo arrivare viveri e generi di prima necessità. “Hanno fatto un lavoro straordinario e siamo grati a Migrantes e Caritas”, dice il rappresentante dell’Unesv (Unione Nazionale Esercenti Spettacolo Viaggiante), Toti Speciale - a nome di tutti: “adesso bisogna pensare al futuro. Sono state abolite giustamente feste e sagre proprio nel periodo in cui iniziava la nostra stagione lavorativa principale. Noi giostrai itineranti non siamo in grado di garantire le distanze nelle piazze in cui eventualmente dovremmo riuscire ad andare. E poi ci sono costi enormi da sostenere, il pagamento della luce, le assicurazioni, il carburante per raggiungere i paesi, col rischio che non ci sia nessuno, che non riusciamo neppure a coprire le spese. C’è il rischio concreto che salti tutta la stagione estiva. Per questo chiediamo aiuto alle istituzioni, altrimenti il settore morirà”.

R.Iaria

   

Migrantes Sicilia: a servizio del mondo della mobilità con servizi a chi ha più bisogno

24 Marzo 2020 - Palermo - Qui a Palermo collaboriamo con la Caritas (anche tramite un progetto PON inclusione colla città metropolitana) a fare avere buoni pasti ai Rom che da qualche mese hanno abbandonato il campo della Favorita e vivono in appartamenti concessi dal Comune. Si  trovano in grande difficoltà perché non possono chiedere l'elemosina, unico loro sostentamento, dice il direttore dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Palermo e della Sicilia, Mario Affronti aggiungendo che un altro aspetto su cui “siamo intervenuti è quello sanitario. La maggior parte di loro – spiega - non hanno il medico di medicina generale e possono accedere agli ambulatori dedicati dell'ASP (in numero di 2 a Palermo) che per fortuna sono rimasti aperti e lavorano sia pur in modo ridotto ma in sicurezza. Quelli che non possono accedere agli ambulatori hanno ricevuto a domicilio le ricette per i farmaci”. L’Ufficio Migrantes è in contatto, per gli aspetti sanitari, con quasi tutte le famiglie Rom e “diamo costantemente notizie sulla situazione dell'epidemia e sui comportamenti da adottare. Ciò vale pure per i migranti delle altre etnie che si trovano in situazione di irregolarità”. Affronti ci informa anche dell’attività della Migrantes diocesana a fianco delle badanti: “anche qui si danno informazioni sui comportamenti per telefono. Penso che in questo modo tutte queste persone si sentano meno sole e ringrazio gli operatori tutti dei servizi sanitari di questi ambulatori per quello che stanno facendo e naturalmente la Caritas ed il Comune”. Per l'accompagnamento spirituale delle comunità di immigrati e non solo: “so di distribuzione viveri da Arcobaleno dei popoli ed anche da parte della Parrocchia di San Nicolò da Tolentino con la quale la Migrantes ha un progetto si sta prodigando don Sergio Natoli con varie iniziative”. Per i circhi “siamo in contatto con don Rosario Cavallo di Ragusa e che per la Migrantes regionale segue questo settore che ha fatto avere i viveri, sempre tramite la Caritas, anche a questi nostri fratelli in difficoltà in varie parti dell'isola”.