26 Settembre 2021 - Rieti - Il servizio diocesano Migrantes di Rieti, il servizio rifugiati gestito da “Il Samaritano” (“costola” della Caritas diocesana), il Sistema Accoglienza Integrazione della Prefettura, l’assessorato ai Servizi sociali del Comune capoluogo insieme per l’iniziativa in programma nel pomeriggio di oggi a Rieti, in occasione della giornata dedicata alle migrazioni dalla Chiesa cattolica (ma volentieri condivisa anche dalle altre espressioni religiose e dalle realtà laiche). All’insegna del tema indicato dal Papa per l’odierna Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, “Verso un noi sempre più grande”, in piazza Mariano Vittori, di fronte alla Cattedrale, stand informativi e laboratori per ragazzi, per poi svolgere insieme una preghiera inter religiosa. Inoltre, in questi giorni, una campagna di sensibilizzazione nelle scuole reatine proiettando film sull’Afghanistan
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Migrantes Rieti: non si possono dimenticare le famiglie circensi e lunaparkisti
26 Aprile 2021 - Rieti - Tra i ricordi belli della mia infanzia nella terra vicentina c’è la festa del patrono. Si aspettava con ansia perché era un giorno di gioia, di aggregazione, di risate, di libertà. A prescindere dall’aspetto religioso ciò che coinvolgeva maggiormente noi bambini e gli adolescenti era l’arrivo delle giostre. I soldi che a volte i genitori ci davano come mancia li usavamo per farci qualche giro in giostra e per comprarci qualche dolcetto. Momenti bellissimi di spensieratezza. Sono passati tanti anni ma i lunaparkisti e circensi ci sono ancora e continuano a portare i loro spettacoli nelle nostre città per regalare soprattutto ai bambini momenti di bellezza e di spensieratezza. Anche a Rieti. Purtroppo la pandemia, come sappiamo, ha duramente colpito e non ha risparmiato il mondo dello spettacolo. Forse tra i più colpiti ci sono proprio loro. Non sono servite le manifestazioni fatte anche a Roma per sollecitare l’attenzione della politica e per ottenere qualche aiuto concreto. “Non abbiamo ammortizzatori ma ci chiedete le tasse”: è il loro lamento. Ma anche il silenzio e il disinteresse dell’informazione sono alti. La pandemia che stiamo attraversando non ha solo conseguenze sanitarie ma anche economiche e certamente le più colpite sono le tante realtà fragili spesso vengono dimenticate. Il dramma sta nel fatto che, perdurando la situazione, lunaparkisti e circensi “non potranno lavorare per diversi mesi ancora”.
La denuncia arriva dalla Fondazione Migrantes. Il mondo delle giostre e dei circhi stanno vivendo una grave condizione dal punto di vista economico. Il direttore generale della Migrantes, don Giovanni De Robertis, sottolinea che è una realtà che “fa fatica a chiedere visto che sono sempre andati avanti con il proprio lavoro”.
La sospensione delle attività pubbliche a carattere culturale e ricreativo ha significato l’impossibilità per queste categorie di soddisfare i bisogni più elementari delle proprie famiglie. Queste persone sono oggi prive di ogni reddito e tuttavia continuano a sostenere spese rilevanti senza avere possibilità di entrate. Sono persone che hanno anche difficoltà a chiedere il contributo “buoni spesa” ai comuni di residenza considerato che sono distanti dal luogo dove la pandemia ha costretto a sostare i circhi e i luna-park.
Anche qui a Rieti da molti mesi sono bloccati i lunaparkisti (5 famiglie, 33 persone tra bambini e adulti) e il Circo Rolando Orfei fermo nel piazzale antistante il palazzetto dello sport. La Chiesa reatina ha supplito ed aiutato attraverso anche la solidarietà di alcune parrocchie e di cittadini sensibili. Però i mesi sono tanti e la pandemia ancora impedisce la ripresa delle loro attività. Data la situazione non è sufficiente la solidarietà. Le istituzioni pubbliche, infatti, non possono e non devono dimenticare queste persone. Spetta a loro garantire la possibilità di sopravvivenza e di continuare a sperare e a conservare il loro lavoro. Non va dimenticato, infatti, che «il circo e il luna park costituiscono una parte importante della cultura e tradizione italiana che non possono finire con questa pandemia» (don Giovanni De Robertis). E se la solidarietà deriva dal riconoscersi fratelli allora essa è voce del verbo amare ed è un aspetto costitutivo della nostra identità umana prima ancora che cristiana. Come ha ricordato Papa Francesco nel suo discorso ad Ur dei Caldei: nel mondo d’oggi, che spesso dimentica l’Altissimo, i credenti sono chiamati a testimoniare la sua bontà e a mostrare la sua paternità mediante la loro fraternità.
“I clowns sono sempre esistiti, a quanto pare. Esisteranno sempre. Buoni o cattivi. Essi avranno, come li hanno avuti per il passato, nomi diversi. Ecco tutto. Ogni volta che è stato necessario, sono risorti dalle ceneri. Sono emersi dai ricordi. Il tempo, con la sua falce, non li ha mai sfiorati. Essi sono eterni, come l’erba dei sentieri, come i frutti selvatici e i fiori di montagna (Tristan Remy). E se il clown nel circo è una figura amatissima dai bambini e anche da noi adulti, fuori dal circo, nella vita politica e sociale, coloro che debbono assumersi le responsabilità e difendere i diritti di ognuno non possono nascondersi dietro una maschera di ipocrisia e trasformarsi in clown. La politica non è fatta per far ridere e quando se ne dimentica, purtroppo, genera pianto, amarezza e delusione. (Luisella Maino – Migrantes Rieti)
Contigliano: la sfida dei catechisti contro i pregiudizi
27 Febbraio 2020 - Rieti - Nella parrocchia di San Michele Arcangelo a Contigliano, monsignor Ercole La Pietra e i catechisti hanno organizzato per i gruppi di ragazze e ragazzi che si preparano a ricevere il sacramento della Cresima.
Presso il Centro Pastorale Diocesano, un incontro di catechismo con la responsabile del Servizio Diocesano Migrantes di Rieti, suor Luisella Maino, sul tema “ Migranti, pregiudizio, paura” con la finalità di promuovere una catechesi legata al vissuto esistenziale e alla vita concreta, capace di abbattere i muri dell’indifferenza , del pregiudizio, del razzismo.
Suor Luisella, con semplicità di linguaggio e chiarezza concettuale, ha animato l’incontro accompagnando i ragazzi, momento dopo momento, attraverso domande e interrogativi, nella riflessione sulle differenze di significato tra migrante, profugo, rifugiato. Un pomeriggio volto ad analizzare la parola pregiudizio in riferimento al proprio vissuto individuale, per poi spronare i ragazzi alla ricerca della causa della paura verso il diverso da sé.
Attraverso la lettura di un brano in cui è stata descritta, in termini realistici, la condizione degli italiani immigrati in paesi stranieri, si è voluto invitare i presenti ad assumere uno sguardo diverso verso l’immigrazione. I ragazzi si sono sentiti coinvolti e protagonisti dell’incontro, intervenendo con domande spontanee, dialogando, talvolta persino cantando.
La chitarra e la voce di suor Piera Cori hanno creato un momento di condivisione e allegria, e anche i brani prescelti non hanno esulato dal tema: sono state infatti eseguite canzoni dedicate all'accoglienza dei migranti, alla solidarietà, e alla condivisione francescana.
La testimonianza più toccante, quella che ha fatto scendere una cortina di silenzio tra i ragazzi, è stata quella di due giovani rifugiati accompagnati dalle operatrici del Progetto Sprar. Uno arrivato dal Gambia e l’altro dall'Afghanistan, i due ragazzi hanno raccontato con umiltà e delicatezza il loro drammatico viaggio per arrivare in Italia e le difficoltà incontrate nel processo di integrazione aggravato anche dalla povertà di mezzi e di risorse.
A conclusione, un caldo ringraziamento di don Ercole a tutti i partecipanti, grato per una catechesi che ha legato la Parola, il Sacramento e la Testimonianza.
“Questo incontro nel segno dell’ascolto, dell’accoglienza, del dialogo e della solidarietà, se da una parte ci rasserena, dall'altra ci deve lasciare un sano tormento – ha detto il sacerdote – in modo che possiamo interrogarci sul significato dell’essere cristiano oggi”. (Frontiera)
Per dare voce a tutti i migranti: un incontro a Rieti
21 Gennaio 2020 - Rieti - Di migrazioni, nella Chiesa, si parlava solitamente in questo periodo, essendo collocata la relativa Giornata mondiale a gennaio. Dal 2019, su decisione di papa Francesco, è stata spostata all’ultima domenica di settembre.
Ma si è voluto comunque affrontare l’argomento in sede di “plenaria mensile” del clero della diocesi di Rieti. Ai suoi principali collaboratori, i preti e diaconi radunati a Contigliano per il consueto incontro del terzo giovedì del mese, il vescovo Domenico Pompili ha proposto una riflessione sulle tematiche migratorie, invitando a parlarne don Giovanni De Robertis, sacerdote barese che della Fondazione Migrantes della Cei è direttore generale.
Rispetto a un fenomeno epocale di sempre non è esente infatti la piccola Rieti. Non lo era ai tempi delle varie ondate migratorie che portarono tantissimi connazionali all’estero, quando anche dal territorio reatino emigrarono nelle Americhe prima, in altri Paesi europei poi, anche diversi reatini (e non va dimenticato come il santo prete Massimo Rinaldi, prima di tornare nella sua Rieti come vescovo, aveva condiviso per anni l’esperienza missionaria da scalabriniano fra gli italiani emigrati in Brasile), non lo è adesso rispetto ai nuovi emigrati, i giovani che in un’Italia – e il territorio reatino non è certo da meno – che offre meno prospettive devono cercare lavoro fuori confine. E non lo è più, come poteva essere (ma non del tutto) all’inizio, neppure come terra di approdo di stranieri, per quanto non raggiunga certo, fra migranti economici e rifugiati, i numeri delle grandi città.
«Quella delle migrazioni è una realtà che come poche altre sta trasformando profondamente il nostro Paese e l’Europa», ha spiegato De Robertis. E la Chiesa deve starci dentro con uno sguardo ampio, poiché non è «solo un fenomeno sociale, ma, come più volte hanno ricordato gli ultimi pontefici, un segno dei tempi, cioè una realtà teologica, dove Dio sta operando e ci sta parlando», anche se, va detto, è una realtà ancora «troppo poco ascoltata sia a livello politico che ecclesiale». E già, perché se il mondo politico vi si approccia in modo spesso ideologico o strumentale o, peggio, cavalcando il becero populismo, bisogna anche dire che le comunità cristiane ancora «vanno avanti come se queste 11 milioni di persone (circa 5,5 milioni di immigrati e altrettanti di emigrati) non esistessero».
Nonostante l’immancabile «serie di fake news molto diffuse nel nostro Paese» che altro non è l’immancabile elenco dei soliti stereotipi sui migranti, non si può fare a meno, come comunità cristiana, di approcciare il fenomeno, con la consapevolezza di quanto il discorso abbia un risvolto tanto sociale quanto pastorale. Sul primo aspetto, «dobbiamo cercare di aiutare le persone a passare dallo scontro al confronto», sforzandosi di superare le rigidità ideologiche, per esempio «quella che
impedisce a bambini nati e cresciuti in Italia di essere cittadini italiani. O quella che mantiene nell’irregolarità persone che lavorano da anni nel nostro Paese». E in questo le parrocchie «potrebbero diventare un luogo prezioso di incontro: oggi in Italia la vera differenza è fra chi ha incontrato e ascoltato gli immigrati da vicino, e allora parla di Ibraim, Leila e Yussuf, e chi ne parla per categorie e luoghi comuni».
Troppe, oggi, in Italia, le persone straniere con esistenze al limite: molte «senza titolo di soggiorno,
non per colpa loro, ma di leggi inadeguate, facile preda dello sfruttamento e della criminalità. E purtroppo gli ultimi decreti “sicurezza” aggravano questa situazione». Il problema è proprio «questa cattiva accoglienza che genera paura e ostilità, assieme a un diffuso rancore sociale a cui è stato indicato lo straniero come il colpevole di tutti i nostri mali. Per questo papa Francesco continua a ripetere che si tratta di coniugare insieme quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare».
C’è poi l’altro punto: la pastorale. «Lo straniero purtroppo anche nelle nostre comunità è visto non come un fratello attraverso cui il Signore ci parla, ma sempre come un disagio, un compito della Caritas tutt’al più, un tubo digerente. E un segno è l’assenza in molte diocesi dell’Ufficio Migrantes». Mentre questa presenza sempre più multietnica in Italia «è una occasione provvidenziale per interrogarci sulla nostra fedeltà al Vangelo»: non ci si può non chiedere «come mai fra coloro che frequentano le nostre parrocchie è più alto il numero di coloro che sono contrari all’accoglienza». Un’occasione per interrogarci «sul nostro modo di essere Chiesa, di vivere la missione cristiana, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso». Un cammino inevitabile, «da cui dipende in buona misura il futuro del cristianesimo nel nostro continente», ha detto don Gianni citando una recente esortazione del vescovo di Stoccolma, il cardinal Arborelius, a proposito di una
cristianità europea ormai agli sgoccioli cui nuova linfa può venire proprio dall’accogliere nel suo seno le nuove leve provenienti da altri continenti.
Insomma, «vivere la Chiesa della Pentecoste, dove le differenze vengono riconosciute e condivise per l’utilità comune, è anche a mio avviso il contributo più significativo che possiamo dare al Paese, perché la questione migratoria, prima di essere una questione sociale, politica, economica eccetera, è una questione di onore». (Zeno Bagni – Lazio Sette)
Migrantes Rieti: uno sguardo al Mali
27 Novembre 2019 - Rieti - Prosegue l’impegno dell’Ufficio diocesano Migrantes di Rieti, guidato da suor Luisella Maino. La settimana scorsa, la partecipazione della religiosa, assieme al vescovo mons. Domenico Pompili, al convegno organizzato dal Lions Club Antrodoco Velina Gens su “Le implicazioni socio–sanitarie dei fenomeni migratori”.
Domenica prossima, nel salone della parrocchia Madonna del Cuore, si terrà invece alle 18 un incontro organizzato da Migrantes, dedicato alla situazione dell’Africa occidentale e, in particolare, dello stato del Mali: terra di traffici illeciti, violenze, attacchi, conflitti inter–etnici, povertà, rifugiati
interni e migranti.
Porterà la propria testimonianza la giovane reatina Benedetta Tatti, ufficiale dell’Esercito Italiano, attualmente impiegata nella Missione integrata multidimensionale dell’Onu per la stabilizzazione in Mali. Sul piano personale, Benedetta aiuta sul posto una congregazione italiana di suore (che, nella martoriata regione di Mopti, sono a servizio della popolazione locale, specie femminile, con corsi di alfabetizzazione ed economia domestica), oltre ad assistere i rifugiati interni, costretti in estrema difficoltà dal crescere della violenza estremista e intercomunitaria