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Associazioni su Lesbo: ascoltare Papa Francesco

14 Settembre 2020 - Città del Vaticano - Papa Francesco lo ha ripetuto ieri, con forza, all’Angelus: occorre assicurare “un’accoglienza umana e dignitosa a chi cerca asilo”. Sostenendo il messaggio del Papa. E oggi la Comunità di Sant’Egidio, il Jesuit Refugee Service e le Suore missionarie di San Carlo Borromeo (Scalabriniane) lanciano un appello dopo l’incendio che ha distrutto il campo e creato enormi difficoltà a chi viveva già un inferno: "nulla sia come prima. L’Unione Europea - si legge in una nota congiunta - in collaborazione con il governo greco, intervenga con immediatezza nel segno dell’accoglienza e dell’integrazione di un numero di persone che certamente è alla sua portata. Con estrema urgenza nelle prossime ore devono essere prese importanti decisioni per salvare le persone più vulnerabili, a partire da malati, donne e bambini. Solo privilegiando la strada del dialogo e delle relazioni pacifiche - sottolineano Sant'Egidio, Jesuit Refugee Service e Scalabriniane -  sarà possibile arrivare a una soluzione nell’interesse di tutti. Ma ritardare o, peggio, far finta di niente in attesa che si crei una nuova precarietà permanente a danno di famiglie che risiedono da mesi nell’isola, alcune da anni, sarà gravemente colpevole per un continente che è simbolo di rispetto dei diritti umani, una vergogna di fronte alla storia". Le tre realtà promotrici dell'appello,  - da tempo vicine, con diversi interventi, ai profughi che risiedono a Lesbo e in tutta la Grecia - chiedono in particolare di "alloggiare, il prima possibile, gli sfollati dell’incendio di Moria in strutture di piccole dimensioni, forniti di servizi";  "garantire il libero accesso alle associazioni umanitarie per soccorrere i migranti nelle loro necessità più immediate, in particolare nei confronti di malati, donne e bambini, anziani"; "decidere contemporaneamente, a livello dell’Unione o dei singoli paesi europei che si offrono, il necessario ricollocamento di non solo dei minori non accompagnati ma anche delle famiglie e degli individui vulnerabili presenti nell’isola"; "cambiare il modello di accoglienza nell’isola di Lesbo per i nuovi arrivi dalla Turchia prevedendo strutture di accoglienza su base transitoria, gestibili e rispettose della dignità umana, salvaguardando il diritto di ciascun profugo, di qualsiasi provenienza, a chiedere asilo". Dal 2016 è nata l’esperienza dei corridoi umanitari, avviata anche a Lesbo dallo stesso pontefice quando, il 16 aprile 2016, portò con sé in aereo le prime tre famiglie per un totale di 67 profughi con l’intervento dell’Elemosineria Apostolica e della Comunità di Sant’Egidio. Si tratta di una via che occorre "continuare a percorrere per salvare altri profughi facendo rete con tante associazioni, parrocchie, cittadini comuni che si sono offerti di accogliere con grande generosità".  

Card. Hollerich su tragedia Lesbo: quello che abbiamo detto fino ad oggi sui valori europei erano solo bugie”

14 Settembre 2020 - Bruxelles - “In questi anni, abbiamo pronunciato bellissime parole sui diritti umani e sui valori europei. C’è gente che ha creduto in quello che stavamo dicendo. Ma arrivati lì, ai confini con l’Europa, si sono accorti che quello che fino ad oggi abbiamo detto erano solo bugie. Facciamo attenzione anche quando parliamo di identità cristiana dell’Europa perché non posso andare in Chiesa, pregare Dio e, sapendo che c’è gente che muore e soffre, non fare niente. Non è possibile”. Sono parole dure quelle pronunciate dal cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea, in un’intervista rilasciata al Sir, prima di ripartire da Roma dove la scorsa settimana ha avuto un incontro con Papa Francesco. “Abbiamo parlato dei temi ordinari della Comece e naturalmente il discorso è andato subito alla situazione di Lesbo”, dice subito. “Il Papa ne è molto preoccupato”. E poi aggiunge: “Sarei contentissimo se le Conferenze episcopali dell’Europa potessero parlare con i loro governi e dire ai responsabili politici che la Chiesa si aspetta una accoglienza”. Dopo il gigantesco incendio nel campo profughi di Moria, Francia e Germania hanno annunciato la disponibilità ad accogliere la maggior parte dei 400 minori non accompagnati che l’Ue si è detta pronta ad accettare. “Ma non basta”, commenta il cardinale. “È una cifra che fa quasi ridere. Il problema è molto più complesso. Se non possiamo risolverlo, avremo tragedie ancora più grandi”. L’appello dei vescovi Ue all’Europa è: “Aprite le porte. Se non apriamo le porte ai profughi, chiudiamo anche le porte a Cristo. Se vogliamo aprire le porte a Cristo, dobbiamo anche aprire le porte ai profughi. La Comunità di Sant’Egidio, con i corridoi umanitari, ci ha mostrato come fare. Anche l’Italia ci ha dato l’esempio di saper reagire in maniera molto più cristiana rispetto agli altri Paesi. Come mai i ricchi Paesi del Nord non fanno niente o quasi niente? Manca in Europa un riferimento al cristianesimo e all’umanesimo”.  

Papa Francesco: solidarietà e vicinanza a profughi Lesbo

13 Settembre 2020 - Lesbo - La grave situazione del campo profughi di Moria è stata ricordata oggi da Papa Francesco con l’appello ad una accoglienza umana e dignitosa ai profughi. “Nei giorni scorsi – ha detto dopo la preghiera mariana dell’Angelus - una serie di incendi ha devastato il campo profughi di Moria nell’isola Lesbo lasciando  migliaia di persone senza rifugio”. Il papa ha ricordato il suo viaggio, nel 2016, a Lesbo: “è sempre vivo in me il ricordo  della visita compiuta là e l’appello lanciato con il patriarca  ecumenico e l’arcivescovo ad assicurare accoglienza umana e  dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca  asilo in Europa”. Papa Francesco ha quindi espresso “solidarietà e vicinanza a tutte le  vittime di queste drammatiche vicende”, ha detto.

Raffaele Iaria

Comunità di Sant’Egidio: “l’Europa accolga i richiedenti asilo che hanno perso tutto” a Lesbo

10 Settembre 2020 -

Roma - La Comunità di Sant’Egidio lancia un appello a tutti i paesi dell’Unione Europea perché accolgano con urgenza i profughi che con l’incendio del campo di Moria hanno perso tutto. Si tratta - si legge in una nota della comunità - di richiedenti asilo che da mesi, alcuni da anni, vivono in condizioni di estrema precarietà, dopo aver fatto lunghi e rischiosissimi viaggi per fuggire da guerre o situazioni insostenibili, in gran parte provenienti dall’Afghanistan. Sono per lo più famiglie, per una cifra complessiva di presenze che si aggira attorno alle 13 mila, con una percentuale di minori del 40 per cento. L’Europa, "se è ancora all’altezza della sua tradizione di civiltà e umanità, deve farsene carico con un atto di responsabilità collettiva".

La Comunità di Sant'Egidio quest'estate, com propri volontari, è stata presente al campo di Lesbo per una “vacanza alternativa” per sostenere i profughi,  con punti di ristorazione, animazione per i bambini, corsi di inglese per gli adolescenti: "possiamo testimoniare la loro sete di dignità e di futuro. Come potremmo raccontare le storie di integrazione di chi abbiamo accompagnato in Europa con il corridoio umanitario che inaugurò nell’aprile 2016 Papa Francesco portando con sé alcuni profughi nel suo aereo, al ritorno dalla sua visita a Lesbo. Nel frattempo, per fronteggiare l’emergenza di queste ore, chiediamo il trasferimento urgente dei profughi in campi attrezzati, forniti di servizi, in terraferma, per evitare ulteriori drammi della disperazione, Occorre inoltre che le associazioni presenti nell'isola abbiano libero accesso per portare aiuti immediati ai profughi".

R.I.

Scalabriniane: “L’Europa non sia cieca, i profughi sono detenuti per il reato di speranza”

10 Settembre 2020 - Roma - "L'incendio al campo profughi di Moria, a Lesbo, conferma ancora una volta come gli Stati di tutta Europa non possono essere ciechi davanti a una crisi dettata dal voler voltare le spalle a chi chiede aiuto. Non possiamo essere sordi nei riguardi di persone che stanno vivendo ben oltre il limite della sopravvivenza. Quella dei migranti di Moria è una 'non vita' perché sono in condizioni inumane, come se fossero 'detenuti' per il reato di speranza". Lo dice, in una nota, suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Scalabriniane: "Ci uniamo per l'ennesima volta ai tanti appelli di Papa  Francesco - aggiunge -  per voler trovare una soluzione cristiana, in grado di  dare ai tanti profughi, volti di Cristo, la possibilità di vivere davvero in un mondo giusto, equo, che possa permettere loro di sentirsi sicuri".

R. I.

Moria brucia, i migranti in fuga

10 Settembre 2020 -

Lesbo - Si sollevavano ancora colonne nere di fumo, ieri pomeriggio, dalle tende carbonizzate di Moria, in quello che era il più grande e controverso hotspot europeo per l’identificazione dei migranti. Borse, sacchi di plastica, un ventilatore, passeggini, oggetti afferrati al volo, i pochi averi caricati sulle spalle, e via di corsa: è stata una fuga nella notte per migliaia di persone, quella tra martedì e ieri all’alba, sotto un cielo rosso, spaventoso e rovente che rifletteva l’esteso rogo che ha incenerito centinaia di baracche, teloni e alloggi nella città-campo sull’isola greca di Lesbo.

"Moria non c’è più e migliaia di persone ora sono senza riparo" dice con la voce rotta dall’emozione Omar Alshakal della Ong Refugee For Refugees, camminando tra cumuli anneriti, mentre un elicottero dei vigili del fuoco gli passa sopra la testa. "C’erano malati isolati per il virus, che ora si trovano in mezzo agli altri. C’è un’enorme quantità di gente senza più nulla. Come potremo dare supporto a tutti, come faranno a mangiare? Non era questo il modo giusto di agire. Ma non si può incolpare nessuno, perché è comprensibile lo stress di un lockdown così lungo".

Il riferimento nelle parole di Omar è all’ipotesi più accreditata per spiegare l’accaduto, ieri sera menzionata anche dalle autorità greche: i diversi incendi, più di tre, scoppiati in punti diversi sarebbero partiti dopo momenti di tensione contro le misure adottate per isolare diversi casi di coronavirus e sarebbero stati appiccati da "alcuni richiedenti asilo". Qui il 2 settembre era stato registrato il primo malato ufficiale di Covid-19, notizia che tutti temevano in uno luogo affollatissimo (13mila persone, quattro volte rispetto alla capienza) e dalle condizioni igieniche oltre i limiti del possibile, ripetutamente denunciate in questi anni dalle organizzazioni non governative. A inizio settimana i contagi erano già 35 così per la tendopoli era scattata la quarantena, malgrado Moria avesse già vissuto un’interminabile serie di proroghe del lockdown di marzo.

"Sembrava l’inferno dantesco, il vento era fortissimo. Non siamo sorpresi dall’accaduto, è da settimane che registriamo un crescendo di frustrazione e disperazione per il prolungato confinamento. Abbiamo anche cercato di farlo presente alle istituzioni locali" ha commentato al telefono Giovanna Scaccabarozzi, medico di Msf a Moria. La clinica della Ong, risparmiata dalle fiamme, ha attivato un team di emergenza. "Container e uffici del campo sono bruciati completamente, anche metà del vasto accampamento dell’uliveto è in cenere. Ci sono persone che si muovono smarrite e nel panico fra le tende risparmiate. Chi è rimasto, non ha cibo. È funzionante solo un punto-acqua in tutta l’area".

Nei mesi scorsi, di incendi qui se ne sono visti tanti, accidentali (per le condizioni di vita estreme) ma anche appiccati di proposito contro i migranti,in una lotta dura con gruppi di estrema destra che hanno alimentato il malcontento dei residenti greci. Questa volta, però, pare sia accaduto qualcosa di diverso.

"La gente non ha più accettato la scusa del Covid per imporre limitazioni alla libertà. Ieri notte si parlava di liberare le persone in quarantena" riferisce, in forma anonima, un’operatrice attiva nel campo. "Alcuni migranti pensavano che le autorità greche stessero usando la pandemia per tenerli intrappolati. Per altri, tenere i positivi in una struttura dentro Moria metteva a repentaglio la vita di tutti. Abbiamo visto gente correre, sono iniziati scontri con la polizia e il lancio di lacrimogeni. Poi sono scoppiati gli incendi". "Non si registrano vittime" dice l’équipe di Kitrinos Healthcare, Ong che aveva un piccolo centro medico ora cancellato dal fuoco. "In uno stato di emergenza così disperato, siamo preoccupati che il Covid-19 si diffonda più velocemente". Dei 35 positivi al coronavirus, le autorità ieri sono riuscite a rintracciarne 8. Lungo la via provinciale, intanto, la polizia limita i movimenti di 5-6 mila migranti, tenuti per strada, lontani dai centri abitati. Il governo greco ha annunciato che sarà loro vietato lasciare l’isola. Su Twitter, la commissaria europea Ylva Johansson ha comunicato di avere "già accettato di finanziare il trasferimento immediato e l’alloggio sulla terraferma di 400 bambini e adolescenti non accompagnati", mentre il governo norvegese ha annunciato che accoglierà 50 migranti dal campo. Per gli sfollati, il governo greco ha inviato un traghetto, due navi della marina militare e altre tende. La terribile avventura europea dei 13mila di Moria sembra non avere ancora fine. (Francesca Ghirardelli - Avvenire)

Scalabriniane: diario da Lesbo (4)

4 Settembre 2020 - Lesbo - Uno dei momenti più commoventi, per una religiosa qui a Lesbo, è ricevere la comunione, in un momento di preghiera che coinvolge persone dalle nazionalità più diverse. Sulle pendici del monte di Moria, il momento comune di raccoglimento richiama una piccola rappresentanza di profughi. Don Gervais ha il compito di accompagnarci, di presentarci e commentarci le parole del Vangelo, in una comunità senza frontiere. E’ questo il momento forse più toccante per chi, tutti i giorni, porta nel cuore il pensiero di Cristo, del fondatore della Congregazione e dei suoi cofondatori. Le cene comunitarie ci raccontano bene cosa vuol dire aprirsi al mondo. Tra volontari italiani, siriani, afgani, congolesi si suggella l’amicizia, la solidarietà, e non manca il commiato nel segno della fede "per rivolgere insieme, tutti e fratelli, una preghiera al Signore" e consegnare a Lui, in buona sorte, tutti i profughi del mondo. Il lavoro qui a Lesbo è stato tanto, come la fatica, ma la gioia di esprimere materialmente la condivisione alla sofferenza dei rifugiati ha compensato il sudore versato. Lunghi pomeriggi a distribuire cibo, ad una media di mille persone al giorno. Poche a fronte di un esercito di 10mila dimenticati, quei "pochi" sono stati invitati a sedersi a un tavolo e sono stati serviti, non con le briciole cadute dal pranzo dei ricchi, ma con il vassoio dell'agape. Tra i fratini azzurri di Sant’Egidio, che danno speranza a chi è fuggito dai luoghi di sofferenza, c’eravamo anche noi, le suore dei migranti, le figlie del beato Giovanni Battista Scalabrini, con l'audacia missionaria della beata Assunta Marchetti e del venerabile Giuseppe Marchetti.

Lesbo: per tutto il mese di Agosto la missione umanitaria della Comunità di Sant’Egidio

4 Settembre 2020 - Roma - È andata avanti tutto il mese di agosto la missione umanitaria della Comunità di Sant’Egidio nell’isola di Lesbo, che ha visto più di 150 volontari al fianco dei rifugiati e richiedenti asilo che “stazionano”, per mesi, a volte anni, nel campo di Moria. La situazione nel campo purtroppo non è facile. Nella “Jungle”, l'area che si stende negli oliveti sulla collina, non ci sono acqua, elettricità, servizi igienici. Solo polvere e fango, vento caldo e pioggia gelata, a seconda della stagione, e rifugi fatti con materiali di scarto: cartoni, pancali, teloni. Frequenti gli incendi, come quello di pochi giorni fa, per cause ancora da accertare, ma forse non accidentali, si legge sul sito della comunità.  Le persone passano le giornate senza far niente, nessuna scuola per i bambini (che sono la maggioranza della popolazione del campo), nessuna attività per gli adulti. Il campo è "tutt’oggi in lockdown, si può uscire solo per cure mediche, pratiche legali e acquisti inderogabili. All’interno qualcuno ha aperto un negozietto dove si possono acquistare pane, frutta e verdura, ci sono anche il barbiere e il sarto". Nel corso del mese le attività della Comunità si sono spostate dal frantoio in un luogo più vicino al campo, per permettere a più persone di venire al ristorante della solidarietà, senza dover chiedere alle autorità il permesso di uscire. In questi ultimi dieci giorni è stato un crescendo di numeri, più di 1.000 pasti giornalieri, 150 persone alla scuola di inglese (divise in due classi, principianti e intermedi), in prevalenza donne e ragazzi. E poi la Scuola della Pace, con oltre 300 bambini, un momento di festa, ma anche di studio, sempre nel rispetto delle regole anti-covid. Domenica 30 agosto è stata celebrata la liturgia, la prima dentro al campo, in un anfiteatro sulla collina, da dove si scorge in lontananza quel mare che separa l’Europa dalla Turchia e che ha inghiottito troppe vite innocenti. Commossa la partecipazione, insieme ai volontari, dei profughi, molti dei quali provenienti da paesi dell'Africa. Ormai la presenza di Sant’Egidio nel campo di Moria è nota ai rifugiati. "Siamo 'quelli della colomba", che non è solo un riferimento al nostro logo, ma anche un messaggio di pace e di speranza per donne e uomini segnati dalla sofferenza per il terribile viaggio che hanno dovuto affrontare, chi scappando dalla Siria, chi dall’Afghanistan, chi dall’Africa. Sono tanti i motivi per i quali hanno deciso di arrivare in Europa, ma tutti sognano una vita 'normale': la scuola per i bambini, un lavoro per gli adulti. Agosto è finito. La missione è appena all’inizio: dare un futuro a questi nostri amici".

Covid: “a Lesbo si rischia la catastrofe umanitaria”

4 Settembre 2020 -

Milano - Dopo il primo caso confermato nel campo di Moria a Lesbo, con oltre 80 contagi già registrati in totale sull’isola greca, la pandemia da coronavirus rischia adesso di causare centinaia di vittime tra uomini, donne e bambini, già stremati da condizioni di vita disumane. È l’allarme lanciato da Oxfam e dal Greek Council for Refugees, che chiedono un’azione immediata del governo greco e dell’Ue per evitare che l’emergenza si trasformi in una vera e propria catastrofe sanitaria. Nell’hotspot sopravvivono attualmente 12mila persone in uno spazio concepito per appena 3mila, di cui il 40% sono bambini, costretti a dormire all’aperto o ammassati in tende con appena 5-6 ore al giorno di accesso all’acqua e servizi igienici inadeguati soprattutto per far fronte alla diffusione del contagio.

Scalabriniane: diario da Lesbo (3)

27 Agosto 2020 - Lesbo - Si chiama Fazi, ha 11 anni. E’ fuggita dall’Afghanistan per continuare a vivere. Ora si trova a Lesbo e, alla sua età, ai più piccoli insegna quel po’ che sa in inglese. Le Suore Scalabriniane, nell’ambito della loro missione svolta grazie alla collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, l’hanno incontrata. Fazi si trova nel campo profughi di Moria, luogo dove la dignità umana sembra essere cosa sconosciuta. La formazione ha i colori delle suore e della Comunità e passa dai sorrisi e dai piccoli grandi gesti di animazione che viene fatta.  E’ bello vedere come nonostante il momento di crisi proprio i bimbi ancora disegnino a colori. Hanno voglia di casa, di serenità e si adattano per come possono, in questo momento. Il sole sorge ogni giorno su quelle baracche costruite da frasche e pezze di teli di plastica. Arrampicarsi sui pendii del campo non è cosa facile. I migranti arrivano qui passando dalla Turchia, a due passi da quest’isola. Sembra l’ultima tappa di un viaggio che invece è solo il punto intermedio. Fra le tende ci sono fili che reggono i panni messi ad asciugare: danno il senso dell’umanità in cammino. Molti sono i bisogni essenziali a cui rispondere: cibo e igiene personale in primis. Amare è prendersi cura degli altri, è l’obiettivo della missione scalabriniana che si sviluppa nella terra di questi luoghi ma che si alimenta stando vicini ai rifugiati, tenendo presente come le sfide siano sempre dietro l’angolo. Fazi è un simbolo di chi ha gli occhi che guardano con stupore l’arcobaleno e le onde del mare, la natura e gli altri. Fazi guarda con occhi Cristiani, è il fuoco ardente di chi ama vivere. La vita ha sempre una Fazi accanto a noi.