8 Aprile 2024 -
Città del Vaticano - Ancora un invito a pregare per la pace in questa seconda domenica di Pasqua. Pace, dunque, “giusta e duratura, in particolare per la martoriata Ucraina e per la Palestina e Israele” chiede Papa Francesco nelle parole che pronuncia dopo la preghiera mariana del Regina coeli. Come già nel messaggio Urbi et Orbi di Pasqua e mercoledì scorso all’udienza generale in cui chiedeva di evitare ogni “irresponsabile tentativo” di allargare il conflitto. Pace nello Spirito del Signore perché “illumini e sostenga quanti lavorano per diminuire la tensione e favorire gesti che rendano possibili i negoziati. Che il Signore dia ai dirigenti la capacità di fermarsi un po’ per trattare, per negoziare”.
Pace è anche la prima parola che Gesù pronuncia quando incontra gli apostoli chiusi nel Cenacolo, “per timore dei giudei” come leggiamo nel Vangelo di Giovanni. Le porte chiuse per timore di essere indicati come seguaci del Cristo. Paura, le porte chiuse, incapaci di comprendere e vivere quell’evento che ha sconvolto le loro persone. Manca Tommaso in quel primo incontro, e così Gesù torna ancora in quella sala dalle porte chiuse. Torna proprio per l’apostolo che Giovanni chiama anche Didimo e che si era manifestato incredulo quando gli hanno raccontato l’incontro con Gesù: “se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, non credo”.
Tommaso è un po’ tutti noi con le nostre difficoltà e i nostri problemi nel credere, con quel bisogno di un passo in più per essere ancora più vicini al Signore. Così Tommaso vuole toccare per credere, e Gesù lo invita a toccare, a mettere le mani sulle sue ferite: “non essere incredulo, ma credente”.
Questa seconda domenica di Pasqua è anche la festa della Divina Misericordia, per volere di Giovanni Paolo II che accolse il messaggio di santa Faustina Kowalska a unire la Chiesa e a fare dell’umanità una famiglia sola, una unità nuova “perché fondata non sulle risorse umane, ma sulla Divina misericordia”. Mi piace ricordare come il termine misericordia lo troviamo già nelle parole che Giovanni XXIII pronuncia aprendo i lavori del Concilio: la Chiesa “preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore”. E torna, prima di Papa Francesco, con le parole di Paolo VI che nel Credo del popolo di Dio, solenne professione di fede, alla quale lavorò l’amico filosofo Jacques Maritain, troviamo l’invito a riscoprire le parole antiche e sempre nuove, come misericordia: “andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all’amore e alla misericordia di Dio…”. Come non ricordare che Giovanni Paolo II alla misericordia dedicherà, due anni dopo la sua elezione, l’enciclica Dives in misericordia. Benedetto XVI, infine, parlando a Erfurt nell’ex convento agostiniano di Martin Lutero, ripropone l’interrogativo che non dava pace all’iniziatore della Riforma: “come posso avere un Dio misericordioso”. Domanda che sembra non preoccupare i cristiani, affermava.
Ma torniamo al brano del Vangelo. Papa Francesco si sofferma sulle parole avere la vita, e spiega che diverse sono le vie per ottenerla: “c’è chi riduce l’esistenza a una corsa frenetica per godere e possedere tante cose: mangiare e bere, divertirsi, accumulare soldi e roba”. Ma è una strada che “non sazia il cuore”, perché “seguendo le strade del piacere e del potere non si trova la felicità” e non abbiamo risposte a altri aspetti quali “l’amore, le esperienze inevitabili del dolore, del limite e della morte”. La “pienezza di vita”, ci dice il Vangelo, “si realizza in Gesù”. Gli apostoli erano “spaventati e scoraggiati”, dice il Papa, e incontrano Gesù nel “momento di vita più tragico” chiusi nel Cenacolo per paura. Il Signore “per prima cosa mostra le sue piaghe: erano i segni della sofferenza e del dolore, potevano suscitare sensi di colpa, eppure con Gesù diventano i canali della misericordia e del perdono”. In lui, dice il Papa, “la vita vince, sempre, la morte e il peccato sono sconfitti”, basta “lasciarsi toccare dalla sua grazia e guidare dal suo esempio, e sperimentare la gioia di amare come Lui”. (Fabio Zavattaro)