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Il Movimento “La valigia di cartone” al fianco dei giovani

28 Ottobre 2019 - Palermo - Oltre un migliaio di persone hanno preso parte alla manifestazione organizza dal Movimento "La valigia di cartone", fondato da don Antonio Garau, della Parrocchia di San Paolo Apostolo e dell’associazione “Giovani 2017 - 3/P” per scongiurare l’esodo di tanti giovani dalla Sicilia e tra questi anche i genitori a sostenere la protesta dei figli. Promuovere l'occupazione giovanile evitando la fuga massiccia del capitale umano all'estero, ripopolare i territori, evitare la rassegnazione di chi parte e la disperazione delle loro famiglie, sono gli obiettivi degli organizzatori della manifestazione pubblica, svoltasi venerdì scorso per sensibilizzare le forze politiche e sociali perché possano ritrovare il collante che metta al centro dell'agenda politica, l'occupazione giovanile nel territorio. “Continuando questo andazzo, la nostra Sicilia prima o poi rimarrà una terra deserta – afferma don Antonio Garau – e non lo dobbiamo permettere. I giovani non hanno più chi si occupa del loro futuro che deve passare in primo luogo dalla loro terra. La lotta alla mafia si fa promuovendo il lavoro per i nostri giovani, chiediamo pertanto che tutte le forze politiche si uniscano per sviluppare dei progetti credibili. La Chiesa ha il compito importante di illuminare le coscienze nel suo ruolo di guida ma anche quello di essere oggi una autentica forza sociale, voce di chi deve ritrovare la speranza”. Alla manifestazione erano pure presenti l'Arcivescovo di Palermo, Mons. Corrado Lorefice e di Monreale Mons. Michele Pennisi, oltre a tanti giovani e genitori che hanno chiesto alle istituzioni garanzie sul futuro. Il corteo che è partito da piazza Verdi ha raggiunto la Presidenza della Regione e l’Università. ”Questa manifestazione è un segno forte di sensibilizzazione al tema che vogliamo portare alla coscienza di tutti”, ha detto Mons. Lorefice: “l’obiettivo è di favorire, con un impegno corale, i cammini costruttivi di chi vuole pensare e progettare per mettere a frutto le grandi potenzialità che ci sono in Sicilia. La nostra terra è molto ricca di risorse naturali ma anche culturali e artistiche che vanno valorizzate in una prospettiva lavorativa. Bisogna chiamare allora tutti ad un atto di responsabilità perché le diverse intelligenze possano ritrovarsi, ognuno con le sue competenze, per creare progettualità”. Per questo il Movimento delle valigie chiede l’interlocuzione dei rappresentanti del mondo dell’imprenditoria e della politica per invertire il trend, chiedendo condizioni migliori affinché si possa dare l’opportunità di restare. “La Chiesa vuole condividere le angosce, le paure, la mancanza di futuro che è molto presente in Sicilia soprattutto nei nostri giovani – aggiunge Mons. Michele Pennisi – da troppo tempo assistiamo ad una processo di abbandono dei giovani dall'Isola soprattutto delle zone interne. Senza giovani la Sicilia non ha futuro”. Lo scorso anno, secondo i dati dell’Anagrafe del Comune di Palermo, sono stati quasi 12.000 i giovani che si sono trasferiti fuori regione, l’11,5 per cento all’estero, il 35,1 per cento in un’altra regione italiana. Il tasso di disoccupazione fra i giovani nel 2018 ha superato il 45 per cento (tra i 18 e i 29 anni) e il 33,3 (fra i 25 e i 34 anni) e molto sono i laureati.    

Migrantes: un messaggio video del Presidente del Parlamento Europeo ha concluso la presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo

28 Ottobre 2019 - Roma - “A Bruxelles sono a contatto con tante persone che hanno lasciato il nostro Paese e che si sono integrate con culture diverse, senza tuttavia dimenticare le proprie origini. Sottolineo l’importanza del ruolo dell’Europa su questi temi: siamo infatti un luogo d’approdo ma anche di partenza e questo spinge a interrogarci”. E’ quanto ha detto il presidente del parlamento Europeo, David Maria Sassoli, in un messaggio video che ha concluso la presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes. Per Sassoli “le misure integrative sociali hanno il compito di rendere l’Europa più solidale e vicina ai cittadini: un’Europa non attenta al disagio delle persone vale molto meno”. Da qui la necessita di essere “più lungimiranti per un mondo più giusto”.

Licata: “la mobilità italiana è diventata un dato strutturale

26 Ottobre 2019 - Roma - “Il numero di partenze è uguale a quello dello scorso anno, ma il problema è che la mobilità italiana è diventata un dato strutturale. Da quattro anni sono oltre 100mila gli emigranti registrati ogni anno, da due anni sono oltre 128.000. Perdiamo cittadini italiani che finiscono con l’arricchire i luoghi in cui si trasferiscono”. Lo ha detto Delfina Licata della Fondazione Migrantes, presentando a Roma il rapporto che ha curato dal titolo “Italiani nel Mondo”. “Anche tanti immigrati in Italia considerano il nostro un Paese di passaggio perché sono propensi ad andare all’estero”, ha aggiunto la ricercatrice. Che ha evidenziato anche come “rispetto allo scorso anno l’età anagrafica di coloro che partono è diminuita”. “La maggior parte di loro non è più over 50 anni, ma per il 40 per sento si tratta di giovani tra i 18 e i 34 anni. Inoltre, oggi la famiglia accompagna la migrazione”. Ribadendo che “la migrazione non è una scelta ma una necessità”, Licata ne ha evidenziato le ricadute sui contesti comunali. E ha indicato degli esempi concreti. Il rapporto della fondazione Migrantes evidenzia che a Castelnuovo di Conza, in provincia di Salerno, è emigrata negli anni il 480% della popolazione attuale, mentre a Carrega ligure (Alessandria) il 348% e ad Acquaviva Platani (Caltanissetta) il 264%. “Crediamo che la mobilità sia qualcosa di positivo, ma c’è un diritto di restare. Bisogna avere una possibilità di scelta. Perché ci siano radici che non si spezzano”. (Sir)    

Mons. Di Tora: Italia “popolo migrante nel mondo della globalità”

26 Ottobre 2019 -

Rapporto Italiani nel Mondo. Provenzano :“un Piano per il Mezzogiorno entro fine anno”.

25 Ottobre 2019 - Roma - “Dopo che si è parlato per molti anni con toni inaccettabili della presunta invasione di immigrati, mettiamo a fuoco la vera questione sociale e democratica che nel nostro Paese torna a essere l’emigrazione dei giovani dal Sud verso il Centro Nord e da tutta l’Italia verso il resto del mondo. Il Governo vuole riavviare un processo di sviluppo che sani le fratture sociali e territoriali”. Lo ha detto Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud e la coesione territoriale, presentando stamani a Roma il rapporto “Italiani nel mondo” della Fondazione Migrantes. “Bisogna intervenire nelle aree interne, nelle campagne deindustrializzate. Lì bisogna attuare maggiori politiche di sviluppo, garantire servizi e una possibilità di occupazione che consenta ai giovani di costruire un futuro in quei territori – ha aggiunto -. Noi abbiamo raddoppiato le risorse per la strategia nelle arie interne”. Ricordando che “nella legge di bilancio abbiamo anticipato alcune misure che servono all’impresa e all’industria”, il ministro ha evidenziato che ci sarà un “piano per il Sud” che “l’accompagnerà” e “sarà pronto entro fine anno”. “Riavvierà non solo la possibilità di programmare nuovi investimenti ma, soprattutto, di realizzarli. La sfida non è tanto mettere risorse in bilancio ma spendere bene quelle previste”. Sono cinque le direttrici previste e indicate dal ministro: la lotta alla povertà educativa e minorile; le infrastrutture sociali; rafforzare al Sud il modello di sviluppo degli investimenti green; puntare sullo sviluppo tecnologico e guardare al Mediterraneo “non come un mare di morte ma come un mare di opportunità”. Stimando il “costo sociale” delle emigrazioni dei giovani, Provenzano la considera una “perdita negli ultimi dieci anni di 30 miliardi pagata dal Mezzogiorno”. “È un’emigrazione diventata più precoce per la mancata possibilità offerta ai giovani di sentirsi protagonisti di un processo di cambiamento e per la mancanza di possibilità di lavoro”.

Rapporto Italiani nel Mondo. Mons. Russo: lavorare insieme contro i pregiudizi

25 Ottobre 2019 - Roma - “Interrogarsi con onestà e riflettere con rigore sulla percezione e la conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano” serve “non solo a fare memoria di sé, ma diventa motivo di migliore comprensione di chi siamo oggi e di chi vogliamo essere”. Lo ha affermato mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, intervenendo alla presentazione della XIV edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes che quest’anno contiene il focus: “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiu-dizi all’amore per il made in Italy”. “Sorprende, amareggia, incupisce – ha osservato – leggere dei tanti episodi di denigrazione ai quali gli italiani sono stati sottoposti in passato come migranti, ma amareggia ancora di più trovare episodi e appellativi oggi, rendersi conto che ancora, a volte, persistono questi atteggiamenti di discriminazione o, addirittura, ne sono nati di nuovi come nel caso della cooperazione internazionale”. A volte, ha aggiunto mons. Russo, “è la stessa Chiesa ad essere stata oggetto di tali accuse” e “oggi è al centro delle discussioni più animate proprio per il tema della mobilità”. Secondo il segretario generale della Cei, invece, “siamo chiamati a volgere il nostro sguardo e il nostro impegno verso tutti in modo uguale ricercando nuovi strumenti per guardare al migrante come soggetto in movimento all’interno di uno spazio comune che è la Madre Terra, che è di tutti e non di alcuni solamente, madre quando accoglie e matrigna quando costringe ad andare via”. “Qualsiasi sia il tipo di migrazione oggi, qualsiasi migrante si prenda in considerazione da qualsiasi angolo della Terra arrivi e in qualsiasi luogo lui voglia andare, va considerato persona migrante e, quindi, va accolto, protetto, promosso e integrato”, ha ribadito mons. Russo per il quale occorre “non calare dall’alto programmi assistenziali, ma costruire comunità che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperte alle differenze e sappiano valorizzarle”. Si tratta cioè di impegnarsi a creare “comunità radiali e circolari, dove il senso di appartenenza viene modificato e giammai cancellato, dove ogni persona possa sentirsi di appartenere non in modo esclusivo, ma possa poter dare un contributo e, allo stesso tempo, ricevere collaborazione”.

Mons. Russo al Rapporto Italiani nel Mondo: la missione della Chiesa è vivere con la gente e tra la gente

25 Ottobre 2019 - Roma – Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento di mons. Stefano Russo, Segretario Generale della CEI intervenuto questa mattina alla presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes. Se dovessi riassumere il Rapporto Italiani nel Mondo con una semplice frase direi che è un volume di domande per le quali troviamo anche le risposte. E non capita sempre, anzi succede raramente. È più semplice lanciare le situazioni problematiche e lasciarle prive della parte propositiva e costruttiva attraverso la quale si prova a superarle. Condivido con voi, perciò, alcuni degli interrogativi e relative risposte che ho rintracciato probabilmente spinto dal mio servizio quotidiano alla Conferenza Episcopale Italiana, ma sicuramente anche dal mio essere cittadino di questo Stato e di questo continente. Perché la Chiesa si interessa della mobilità umana e italiana in particolare? La missione della Chiesa è vivere con la gente e tra la gente. Un posto particolare nel cuore della Chiesa lo hanno i migranti di ogni nazionalità, al di là dei paesi da cui partono e delle terre in cui arrivano, dei percorsi migratori che compiono. Siano essi migranti economici, richiedenti asilo o rifugiati, altamente qualificati o senza qualifica che vivono da protagonisti la transnazionalità, chi oggi è attore di mobilità dà alla Chiesa l’opportunità di vivere il segno più peculiare della sua natura e cioè la "cattolicità", contribuendo efficacemente alla comunione tra i popoli e alla fraternità. L’Italia è storicamente terra di partenze. Lo era ieri e continua ad esserlo oggi. Lo vediamo dai numeri del Rapporto Italiani nel Mondo. Numeri importanti certamente, ma soprattutto, e lo abbiamo sentito, profili diversi che spronano a far di più e meglio come studiosi e operatori. Chi parte oggi tra gli italiani ha motivazioni differenti rispetto a chi partiva nel passato e a chi parte oggi, nello stesso momento storico, da altre parti del mondo. Siamo chiamati a volgere il nostro sguardo e il nostro impegno verso tutti in modo uguale ricercando nuovi strumenti per guardare al migrante come soggetto in movimento all’interno di uno spazio comune che è la Madre Terra, che è di tutti e non di alcuni solamente, madre quando accoglie e matrigna quando costringe ad andare via. «A me non piace dire “migranti” – ha detto a braccio il Papa ai fedeli durante l’Udienza generale dello scorso aprile – a me piace più dire “persone migranti” […] Migranti è un aggettivo, le persone sono sostantivi. […] Noi siamo caduti nella cultura dell’aggettivo, usiamo tanti aggettivi e dimentichiamo tante volte i sostantivi, cioè la sostanza» L’aggettivo, ha continuato il Pontefice, va legato indissolubilmente al soggetto e quindi alla persona per cui papa Francesco esorta a dire “la persona migrante” per dare dignità al racconto di una vita in cammino alla ricerca di uno stare meglio. Parlando di migranti, quindi, a qualsiasi latitudine e a partire da qualsiasi motivazione, il pensiero deve andare alla persona e dalla persona alle comunità chiamate, come indicato dal Santo Padre, ad accogliere i migranti, a proteggerli, a promuoverli e a integrarli. Erroneamente si potrebbe pensare che i quattro verbi promossi da papa Francesco riguardino solo chi arriva dalle zone più arretrate o dai paesi in conflitto, quelli che fuggono da guerre e persecuzioni o da disastri ambientali, i richiedenti asilo e protezione, i perseguitati per cause politiche o religiose. L’appello del Papa – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – si rivolge, invece, a tutti coloro che sono impegnati nella mobilità umana a favore di tutti i migranti di oggi, compresi gli italiani da tempo in emigrazione o partiti di recente. Quanto detto è diventato più chiaro con il Messaggio per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2019 scandito dal tema Non si tratta solo di migranti: qualsiasi sia il tipo di migrazione oggi, qualsiasi migrante si prenda in considerazione da qualsiasi angolo della Terra arrivi e in qualsiasi luogo lui voglia andare, va considerato persona migrante e, quindi, va accolto, protetto, promosso e integrato. Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di costruire comunità che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperte alle differenze e sappiano valorizzarle. Si tratta, nello specifico, di comunità radiali e circolari, dove il senso di appartenenza viene modificato e giammai cancellato, dove ogni persona possa sentirsi di appartenere non in modo esclusivo, ma possa poter dare un contributo e, allo stesso tempo, ricevere collaborazione. Uno scambio reciproco, dunque, nella logica del mettere a disposizione degli altri i propri carismi. Che ruolo ha la Chiesa di fronte alla sfida europea? «A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà». È questo l’incipit dell’Appello ai Liberi e forti, la pietra miliare donataci da don Luigi Sturzo cento anni fa (1919) e che ritorna prepotentemente di attualità nel nostro tempo in cui il richiamo alla necessità di un nuovo patto sociale che impegni uomini e donne che hanno a cuore il destino dell’Italia (e dell’Europa) sembra una via di uscita auspicabile e praticabile. All’interno delle pagine del volume trovate un saggio che inizia proprio citando questa ricorrenza e il Convegno internazionale tenutosi a Caltagirone a giugno u.s. dal titolo L’attualità di un impegno nuovo. Certamente don Sturzo dava priorità agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, ma la sua attualità di fronte alla sfida della nuova questione sociale che ci troviamo ad affrontare è che il suo messaggio è profondamente, intrinsecamente laico ovvero rivolto alla difesa dell’umanità in quanto incalpestabile, sacra nella sua dignità e indiscutibile nei suoi diritti per cui oggi come ieri “essere liberi e forti significa andare controcorrente, farsi difensori coraggiosi della dignità umana in ogni momento dell’esistenza: dalla maternità al lavoro, dalla scuola alla cura dei migranti” (citazione dall’intervento al Convegno del Card. Gualtiero Bassetti). Credere ancora nel progetto europeo, dunque, è vincente. Non è una questione solo sociale, ma anche economica, politica, demografica, di visione lungimirante del futuro. E poiché è del domani che si parla sono proprio i protagonisti, ovvero i giovani, a far capire quale sia, oggi, la questione. L’idea iniziale dell’Unione Europea è oggi superata nella concretezza del vivere ma non nell’ideale primigenio: le nuove generazioni, infatti, non credono e non vogliono l’Europa legata prioritariamente al piano politico e a quello finanziario. Consapevoli e complici delle reali opportunità date dalla globalizzazione, essi spingono per la realizzazione di quelli che il demografo Alessandro Rosina definisce gli Stati Uniti d’Europa dove la parte da leone è giocata, contestualmente, dalla cultura, dalla libertà e dalla centralità della persona. I giovani chiedono un’Europa migliore, più lungimirante e orientata al futuro non del solo continente europeo, ma allargato all’intero pianeta coinvolto dalla globalizzazione dei problemi e delle relative soluzioni. Faccio riferimento non solo alla questione migratoria, ma anche a quella climatica, demografica, economica. Perché un tale processo di mondializzazione sia realizzato occorre condividerlo e costruirlo insieme ai giovani e alle nuove generazioni forti dell’esperienza degli anziani sicuramente ma prestando attenzione ai guizzi di novità, alla spensieratezza e perché no? Anche alla buona e giusta dose di rischio che solo l’essere giovani sa prendersi e portarsi con sé. Quanto contano cultura e ricerca nella vita quotidiana? Sia questa la giornata da cui emerge quanto sia importante dedicare tempo, risorse, creatività allo studio. Troppe volte ascoltiamo che l’Italia è, per la ricerca, una Cenerentola rispetto ad altre nazioni europee e rispetto all’intero panorama internazionale. Pochi fondi ma non poche idee né tantomeno poco impegno. Lo riscontriamo dai tanti talenti italiani impegnati nella ricerca su tutti i campi ma fuori dei confini nazionali. E lo vediamo dalle ricerche che vengono portate avanti nonostante i più diversi ostacoli dalle accademie italiane e dagli altri luoghi preposti a questo compito. Sia questa giornata l’occasione per ribadire che un paese che cura la ricerca e lo studio, che solo una nazione che studia se stessa, la propria storia è destinata a progredire nella “corsa” alla comprensione di ciò che accade ma soprattutto a mettere a frutto le strategie migliori per superare le crisi vissute. In questa linea, proprio ieri il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricordava che “la ricerca è un motore di solidarietà e della società, un motore sempre più importante in ogni ambito della vita civile” ed anche “un aiuto concreto alle persone e alle famiglie”. Da troppi anni ormai anche dalle pagine del Rapporto Italiani nel Mondo viene posto l’accento sulle problematiche costanti e divenute più che strutturali per l’Italia: la pregnante disoccupazione; l’invecchiamento della popolazione; la grave denatalità; la mancanza di politiche d'integrazione e di sostegno alle famiglie e ai giovani che, sempre più demotivati e per troppo tempo tagliati fuori dal mondo del lavoro e dal welfare, si rivolgono all’estero; la regressione culturale che ha portato a rigurgiti xenofobi e all’individualismo più sfrenato. Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019 ci ricorda quanto lo “stare sul pezzo” sia la giusta strategia. Ogni anno si tratta di studi che non sono mai ripetitivi, perché il fenomeno migratorio come e più di ogni altro fenomeno sociale, è costretto dal mutamento, dal cambiamento, dalla trasformazione. Da sempre la Chiesa è, quindi, luogo di cultura ed è chiamata a stimolare a nuove conoscenze, chiare e corrette informazioni sui fenomeni sociali troppe volte preda di opinioni disturbate, distorte e strumentalizzate. Viviamo un tempo paradossale: gli strumenti a nostra disposizione hanno reso il mondo a portata di un click. Abbiamo sicuramente tutti molta più possibilità di conoscere la realtà, ma finiamo col lasciarci influenzare, molto più che in passato, dal sentito dire, dalle fake news a volte strumentalmente costruite per distorcere quanto vediamo intorno a noi. La Chiesa continua a studiare. Siano la multidisciplinarietà, l’apertura all’incontro con altri studiosi, il lavorare insieme i segreti del lavoro del domani su cui puntare, un metodo che non solo arricchisce il confronto teorico, ma la crescita umana al di là delle appartenenze e delle identità di ciascuno. Scopro da queste pagine cosa è il “laboratorio multiculturale professionale”, questa redazione transnazionale tra l’Italia e l’estero che si è impegnata a donarci questo lavoro. Possiamo davvero lavorare insieme per un fine comune? Diventi questo l’impegno primario per il nostro futuro. Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy è il titolo dato allo speciale di quest’anno del Rapporto Italiani nel Mondo e non poteva essere trovato tema più attuale. Interrogarsi con onestà e riflettere con rigore sulla percezione e la conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano serve non solo a fare memoria di sé, ma diventa motivo di migliore comprensione di chi siamo oggi e, auspichiamo con la lettura e i ragionamenti a partire dalle pagine qui presentate, di chi vogliamo essere. Sorprende, amareggia, incupisce leggere dei tanti episodi di denigrazione ai quali gli italiani sono stati sottoposti in passato come migranti, ma amareggia ancora di più trovare episodi e appellativi oggi, rendersi conto che ancora, a volte, persistono questi atteggiamenti di discriminazione o, addirittura, ne sono nati di nuovi come nel caso della cooperazione internazionale ad esempio. A volte è la stessa Chiesa ad essere stata oggetto di tali accuse. Oggi, non lo nascondo, è al centro delle discussioni più animate proprio per il tema della mobilità. Intervenendo a un convegno a marzo scorso dal titolo “Una strategia per l’Italia” ho ringraziato Piero Schiavazzi per la sottolineatura che ha dato della Chiesa che per lo Stato italiano “più che un ‘vincolo’ è uno ‘svincolo’, un accesso preferenziale all’autostrada della mondialità, una risorsa disponibile in casa”. «Aggiungo che a tale risorsa si può attingere con fiducia, nella consapevolezza che come Chiesa non perseguiamo né privilegi di bottega, né ambizioni velleitarie con cui sostituirci alla responsabilità delle istituzioni politiche: se a volte ci troviamo a svolgere determinati compiti è piuttosto per spirito di supplenza e non per mancanza di rispetto per la laicità dello Stato, nei confronti del quale esprimiamo la nostra piena collaborazione a sostegno dei diritti fondamentali dell’uomo e della costruzione del bene comune» (citazione presa dal discorso tenuto al convegno Limes del marzo 2019).        

Rapporto Italiani nel Mondo: “aiutare al rispetto della diversità e di chi, italiano o cittadino del mondo, si trova a vivere in un Paese diverso da quello in cui è nato”

25 Ottobre 2019 -

Roma - Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019, presentato a Roma questa mattina, attraverso analisi sociologiche e linguistiche, aneddoti e storie fa riferimento al tempo in cui erano gli italiani ad essere discriminati, risvegliando “il ricordo di un passato ingiusto – spiega il testo - non per avere una rivalsa sui migranti di oggi che abitano strutturalmente i nostri territori o arrivano sulle nostre coste, ma per ravvivare la responsabilità di essere sempre dalla parte giusta come uomini e donne innanzitutto, nel rispetto di quel diritto alla vita (e, aggiungiamo, a una vita felice) che è intrinsecamente, profondamente, indubbiamente laico”. Si tratta dunque di “scegliere non solo da che parte stare, ma anche che tipo di persone vogliamo essere e in che tipo di società vogliamo vivere noi e far vivere i nostri figli, le nuove generazioni”. La Fondazione Migrantes auspica che questo studio possa “aiutare al rispetto della diversità e di chi, italiano o cittadino del mondo, si trova a vivere in un Paese diverso da quello in cui è nato”.

Rapporto Italiani nel Mondo: 128 mila partenze nell’ultimo anno

25 Ottobre 2019 -

Roma - Da gennaio a dicembre 2018 si sono iscritti all’AIRE 242.353 italiani di cui il 53,1% (pari a 128.583) per espatrio. L’attuale mobilità italiana continua a interessare prevalentemente i giovani (18-34 anni, 40,6%) e i giovani adulti (35-49 anni, 24,3%). Il 71,2 è in Europa e il 21,5% in America (il 14,2% in America Latina). Sono ben 195 le destinazioni di tutti i continenti. Il Regno Unito, con oltre 20 mila iscrizioni, risulta essere la prima meta prescelta nell’ultimo anno (+11,1% rispetto all’anno precedente). Al secondo posto, con 18.385 connazionali, vi è la Germania (-8,1%). A seguire la Francia (14.016), il Brasile (11.663), la Svizzera (10.265) e la Spagna (7.529). E’ quanto evidenzia il rapporto Italiani nel Mondo presentato a Roma questa mattina.

Le partenze nell’ultimo anno hanno riguardato 107 province italiane. Con 22.803 partenze continua il solido “primato” della Lombardia, seguita dal Veneto (13.329), dalla Sicilia (12.127), dal Lazio (10.171) e dal Piemonte (9.702).

Rapporto Italiani nel Mondo: circa 5.300mila gli italiani residenti all’estero

25 Ottobre 2019 -

Roma - Su un totale di oltre 60 milioni di cittadini residenti in Italia a gennaio 2019, alla stessa data l’8,8% è residente all’estero. In termini assoluti, gli iscritti all’AIRE, aggiornati al 1° gennaio 2019, sono 5.288.281. E’ quanto emerge dal Rapporto Italiani nel Mondodella Fondazione Migrantes presentato questa mattina a Roma.

Dallo studio si evidenzia che dal 2006 al 2019 la mobilità italiana è aumentata del +70,2% passando, in valore assoluto, da poco più di 3,1 milioni di iscritti all’AIRE a quasi 5,3 milioni.

Quasi la metà degli italiani iscritti all’AIRE è originaria del Meridione d’Italia (48,9%, di cui il 32,0% Sud e il 16,9% Isole); il 35,5% proviene dal Nord (il 18,0% dal Nord-Ovest e il 17,5% dal Nord-Est) e il 15,6% dal Centro.

Oltre 2,8 milioni (54,3%) risiedono in Europa, oltre 2,1 milioni (40,2%) in America. Nello specifico, però, sono l’Unione Europea (41,6%) e l’America Centro-Meridionale (32,4%) le due aree continentali maggiormente interessate dalla presenza dei residenti italiani. Le comunità più consistenti si trovano, nell’ordine, in Argentina (quasi 843 mila), in Germania (poco più di 764 mila), in Svizzera (623 mila), in Brasile (447 mila), in Francia(422 mila), nel Regno Unito (327 mila) e negli Stati Uniti d’America (272 mila).