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Che Francia sarebbe senza gli italiani?
Milano - Una ricognizione trae forza dal proprio nucleo tematico, e nel caso del libro di Alberto Toscano ( Gli italiani che hanno fatto la Francia. Da Leonardo a Pierre Cardin, Baldini + Castoldi, pagine 331, euro 19,00) il nucleo è la convinzione dell’autore circa la fecondità dello scambio tra italiani e francesi. Uscito prima in Francia nel 2019 e ora in Italia, è un libro utile a chi voglia conoscere i tratti di storia comune di questi due popoli “cugini”. Qui le tensioni e le polemiche che nel corso dei secoli hanno visto talvolta i due Paesi fronteggiarsi in senso ostile cedono il passo al racconto di una piuttosto armoniosa osmosi. Travaso, più che osmosi: perché nella sua ricognizione Toscano si sofferma sulla rotta di emigrazione dall’Italia verso il Paese transalpino. «La Francia non sarebbe la stessa senza i suoi immigrati. L’Italia non sarebbe la stessa senza la storia dei suoi figli che hanno dovuto andarsene».
La massiccia presenza italiana in Francia è considerata in senso ampio ed europeista. Giornalista e scrittore radicato oltralpe, nella sua ricognizione Toscano mescola passato e presente con disinvoltura talvolta un po’ eccessiva. Descrive l’ibrido vitale e incandescente di cui si compone non solo Parigi, anche l’intera Francia. Un Paese affollato di italiani, altrettanto che di usanze italiane più e meno palesi e dichiarate. Così ecco dapprima certi usi gastronomici vettori di “italianità” (dal gelato al tartufo d’Alba) seguiti da una lunga lista di personaggi cardine, simboli di eccellenza e non sempre omaggiati abbastanza. La vicenda di Leonardo Da Vinci e dei suoi errabondaggi in Francia; ma anche la storia delle maschere della Commedia dell’Arte – Arlecchino, Pulcinella, Scaramuccia –, il loro andare e tornare di qua e di là delle Alpi in una diaspora capace di lasciare «tracce fertili e profonde». Dietro Scaramuccia, in particolare, c’era Tiberio Fiorilli, napoletano poi divenuto amico di Molière. Toscano ricorda lo straordinario successo della Commedia dell’arte (George Sand scrisse che senza di essa Molière mai avrebbe potuto creare la Comédie française). Spaziando altrove, rievoca come anche la storia musicale sia un firmamento di astri italiani: Rossini, Giovanni Battista Lulli poi ribattezzato Lully, molto più tardi Dalida e il suo amore con Luigi Tenco, o “ l’italien”Serge Reggiani. Giù, giù, sino a ulteriori eccellenze e talenti rappresentativi di altre arti e discipline, De Nittis, Gino Bartali, Renzo Piano… Dove la ricognizione si svincola dal rischio della mera tassonomia per assumere un valore storiografico di maggior rilievo è nel racconto della storia politica e di quella dell’emigrazione. Importante e poco nota la vicenda della presenza italiana nella Resistenza francese (in primo piano la figura di Silvio Trentin, che acquistò a Tolosa una libreria, divenuta importante luogo di ritrovo di tanti esuli in fuga dalla repressione franchista). Sul versante dell’emigrazione, il dramma di Aigues-Mortes, località nel sud della Francia dove i lavoratori emigrati dall’Italia furono oggetto di intolleranza, accusati di «rubare il pane dei francesi» e di accettare condizioni salariali troppo sfavorevoli danneggiando così la manodopera locale. Prodromi di intolleranza e razzismo che ben conosciamo. Ne risulta l’affresco di un popolo migratore, quello italiano, eccezionale nel sapersi integrare lavorando, faticando e ancora faticando. E così contribuendo a “fare” un Paese – che vuol dire amarlo, abitarlo, averlo compreso e contribuire al suo prosperare. «I veri italiani che hanno “fatto la Francia” – scrive Toscano – sono quei milioni di donne e di uomini che hanno sempre pensato al lavoro. Perché lavoro fa rima con futuro». Parole amaramente contemporanee, messo a parte il rischio di una lieve retorica. (Lisa Ginzburg - Avvenire)
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Benedizione a famiglie migranti
Londra - La messa è finita. La folta comunità della chiesa di Brixton Road dei padri Scalabriniani, al canto finale, si separa in due e lascia passare il nostro piccolo plotone: uomini e bambine in costumi tradizionali portoghesi rosso-fuoco, bandiere dello stesso colore, orchestrina e... il missionario benedicente. Per noi, tutto comincia adesso. E sarà una battaglia campale fino a notte: si parte per la “visita dello Spirito Santo” (in questo modo, la chiamano da secoli) alle famiglie dei nostri migranti portoghesi.
Così, ogni domenica da Pasqua a Pentecoste per la nostra assemblea eucaristica di migranti si ripete questo gesto di invio in missione. Questa, però, non è altro se non l’immensa città di tutte le razze: Londra dei nostri giorni, città multiculturale per eccellenza. Inedito impegno paolino, stressante e confortante allo stesso tempo!
Sorpresa, meraviglia e curiosità ci attendono presso tutti i vicini di casa. Forse, anche un po’ di quello che non manca mai nel nostro sguardo: una punta di invidia. Gli inglesi si domandano, infatti, il perchè di questo arrivo musicale, inaspettato e quasi danzante: meravigliosa invasione mai vista! Incanto ed emozione, invece, nelle famiglie dei nostri emigranti. Lo si nota subito, entrando, quando baciano le bandiere su cui vi è la colomba dello Spirito, asciugandosi gli occhi con queste... La visita dello Spirito Santo in tempo pasquale colma l’attesa di un anno. E ripete all’estero una tradizione vissuta da secoli nella loro terra, Madeira.
Le tre bambine, ognuna con un cesto pieno di petali di rosa, intonano un’antica, dolce cantilena di preghiera: è per la famiglia che accoglie, per un malato, una ragazza da sposare, un bambino appena nato... Il missionario fa la sua calma benedizione tra una nuvola di petali lanciata su tutti i presenti, che in ogni casa tra parenti, vicini e invitati sono già un piccolo popolo. Uno del nostro drappello impugna alto il crocifisso, che tiene in mano tutta la giornata. La chitarra di un altro e la vecchia fisarmonica riprendono voce, mentre Filiberto, pizzicando il suo mandolino, si abbandona a un canto struggente: “Migrante suo, chora Linda…”(sono migrante, piangi Linda)
Sì, è la loro stessa vita che canta, mentre un nodo alla gola ti afferra di emozione e il messaggio tra pareti domestiche si fa nella sua verità ancora più autentico. Perfino, toccante.
La vita dispersa e tormentata di ogni migrante è presentata oggi come su un piatto d’argento: la musica gonfia la commozione, la parole si fanno universali. Mai abbastanza si capirà la tessitura umana del cammino degli Abramo di oggi, dove speranza, illusioni, audacia, scoraggiamento e nostalgia si intrecciano insieme, a volte drammaticamente. In fondo, è lo Spirito di Dio che spinge questi uomini e queste donne a cercare una vita degna di essere vissuta… Lo comprendi, qui e ora.
In ogni casa che si visita è una boccata potente di ossigeno di fede, del senso delle origini e del comune destino. “Sono nato per nascere!” scriveva Pablo Neruda. Sì, a una vita di dignità. Come per incanto, ognuno coglie in questi momenti il senso del suo stesso avventuroso cammino... fatto insieme con Dio. Ed è allora che viene scoperta una lunga tavolata: come per miracolo vi appare ogni ben di dio, con specialità tradizionali e dolci fatti in casa. È l’inizio della festa! Ma per noi c’è appena il tempo di prendere al volo qualcosa e via, cantando... altre case di migranti ci aspettano in questa metropoli. E le emozioni ricominciano...
Fattasi notte, infine, il nostro drappello di uomini e di bambini si trascina fino alla nostra chiesa, per un ultimo momento di preghiera e di ricordo. Sì, in una galoppata simile tra appartamenti, casette e condomini di una Londra smisurata solo i volti ora vi resteranno impressi. Volti di migranti. Con i loro occhi aperti sul mondo di domani, forse più solidale e più fraterno. Grazie anche a loro.
Renato Zilio