18 Maggio 2020 - Città del Vaticano - Un pontificato ricco e fecondo quello di Papa Wojtyla. La data della sua elezione sul soglio di Pietro, 16 ottobre 1978, e quella della sua morte, le 21.37 del 2 aprile 2005, sono entrate nella storia non solo della Chiesa cattolica. Tutti ricordano quel grido “Santo Subito” che si levò in Piazza San Pietro in occasione dei suoi funerali. Un grido diventato realtà domenica 27 aprile del 2014 con la canonizzazione in piazza San Pietro presieduta da papa Francesco.
Oggi papa Wojtyla avrebbe compiuto un secolo di vita da quel 18 maggio 1920: per 27 anni ha guidato la Chiesa. Anni durante i quali non ha mancato di portare l’attenzione sul mondo della mobilità umana: dai migranti, ai fieranti, agli immigrati, etc. Ma anche al mondo dell’emigrazione italiana come ha fatto visitando Canale d’Agordo, il paese natale del suo predecessore, Giovanni Paolo I. In quell’occasione, era il 26 agosto 1979, parlò di una terra che dopo la prima guerra mondiale fu di “perdurante e sempre triste necessità dell’emigrazione, sia essa permanente o stagionale”.
Siamo a circa un anno dalla sua elezione sul soglio di Pietro. Dopo qualche mese, all’ONU ricorda, tra i diritti fondamentali della persona, “il diritto alla libertà di movimento e alla migrazione interna ed esterna”. Un tema ripreso anche nella sua prima enciclica Laborem exercens dove scrive che “l’uomo ha il diritto di lasciare il proprio paese d’origine per vari motivi – come anche di ritornarvi – e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese”. E nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, sottolinea il necessario impegno che si deve dare a diverse categorie “di famiglie di migranti per motivi di lavoro; di famiglie di quanti sono costretti a lunghe assenze, quali ad esempio i militari, i naviganti, gli itineranti d’ogni tipo; delle famiglie dei carcerati, dei profughi e degli esiliati”. E sottolineava che le famiglie dei migranti “devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa la loro patria. È questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità”.
E poi tanti i riferimenti al tema nei messaggi per le Giornate Mondiali del Migrante e del rifugiato. Tanti anche gli incontri con il mondo dello spettacolo viaggiante. Alle sue udienze non sono mancati lunaparkisti, circensi, etc che rappresentano “uno spazio di festa e di amicizia”. E poi i rom e sinti a partire dal suo viaggio al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove si inginocchiò davanti alle lapidi e disse: “Mi inginocchio davanti a tutte le lapidi che si susseguono e sulle quali è incisa la commemorazione delle vittime di Oswiwcim nelle seguenti lingue: polacco, inglese, bulgaro, zingaro, ceco, danese, francese, greco, ebraico, yddish, spagnolo, fiammingo, serbo-croato, tedesco, norvegese, russo, rumeno, ungherese e italiano”, quasi a ricordare e riconoscere il popolo rom tra i popoli d’Europa. Un papa, come ha detto questa mattina papa Francesco, uomo di preghiera, di vicinanza e giustizia anche per il mondo della mobilità umana.
Raffaele Iaria