30 Marzo 2021 - L'accoglienza, l'amore, la stima, il servizio molteplice ed unitario - materiale, affettivo, educativo, spirituale - per ogni bambino che viene in questo mondo dovranno costituire sempre una nota distintiva irrinunciabile dei cristiani, in particolare delle famiglie cristiane: così i bambini, mentre potranno crescere «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52), porteranno il loro prezioso contributo all'edificazione della comunità familiare e alla stessa santificazione dei genitori. (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.26, 22 novembre 1981)
«Lasciate che i bambini vengano a me… perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio». È ancorandosi a queste così perentorie parole di Gesù che Papa Giovanni Paolo II sviluppa il suo discorso sui diritti del bambino e sulla specialissima dignità personale che dobbiamo riconoscere ad ogni nostro figlio, tanto più se piccolo e bisognoso di tutto, malato, sofferente o disabile. Che ruolo hanno i bambini nel mondo? Che posto occupano nei nostri pensieri? Sappiamo offrire loro gli strumenti perché siano protagonisti del loro futuro? Con l’invito a che la Chiesa sia sempre accogliente nei confronti della vita fin dal suo concepimento e di ogni bambino che nasce, il Papa ci sprona ad un’attenzione particolare di cui la famiglia non può che essere la prima protagonista. È l’attenzione di un ascolto qualificante dei nostri figli. Considerarli degni di un ascolto serio, che non riguarda solo il soddisfacimento dei bisogni primari e secondari (quante volte si pensa di barattare servizi e favori al posto di tempo e comprensione!), quanto piuttosto la capacità di entrare in sintonia con i loro sentimenti, con la loro visione del mondo, con quella loro propensione a ciò che è essenziale, davvero centrale nella vita. Ascoltare così i bambini apre orizzonti imprevedibili e fa bene anche a noi adulti invitandoci a liberarci di tante apprensioni per sovrastrutture che possono far perdere energie preziose. Possiamo abbeverarci alla fantasia dei bambini e riscoprire attraverso il loro sguardo la passione per la vita che in noi tende talvolta a scemare. Riconoscere la dignità dei nostri figli vuol dire anche saperli donare al mondo. Essi sono frutto dell’amore sponsale, ma dal giorno della loro nascita non sono proprietà dei genitori e questa è una verità difficile da far propria. Padri e madri sono chiamati ad un amore superiore a quello dell’attaccamento fisico, essi sono chiamati ad amare la libertà dei loro figli e quindi ad educarli perché nella vita siano sempre più liberi e coraggiosi, non schiavi di nessun potere. Oltre ai tanti diritti essenziali che il Papa ricorda, i bambini hanno diritto ad un’educazione che li faccia crescere non solo nell’obbedienza delle regole, ma nella piena consapevolezza di sé, dei propri talenti e dei propri limiti, pronti per affrontare a testa alta le sfide dell’esistenza. Infine la cura del bambino – dice ancora il Papa – «è la primaria e fondamentale verifica della relazione dell’uomo all’uomo». In sostanza stare con i bambini, accudirli, trascorrere del tempo con loro ci rende più umani, ci abitua a saper ritrovare ritmi più naturali, ma soprattutto ci riconcilia con la vita, ci provoca con una costante sollecitazione alla positività, a guardare al futuro con speranza. Il Papa cita il suo discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite, il 2 ottobre 1979 in cui aveva chiamato i bambini «primavera della vita». Esattamente dieci anni dopo quel discorso, il 20 novembre 1989, fu emanata la Convenzione sui diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite. Come non immaginare che anche il Papa e la Chiesa abbiano contribuito a quel testo fondamentale e punto di riferimento per il mondo, ma oggi a che punto siamo? Inutile fare del facile disfattismo, molti passi sono stati fatti, ma certo ci sono ancora tanti traguardi da raggiungere: solo quando non ci sarà più infanzia abusata, solo quando non ci saranno più bambini schiavizzati in condizione disumane di lavoro, solo quando non ci saranno più bambini soldato, solo allora potremo chiamare umana la nostra civiltà. (Giovanni M. Capetta - Sir)
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Educare al rispetto
16 Marzo 2021 - Della donna è da rilevare, anzitutto, l'eguale dignità e responsabilità rispetto all'uomo: tale uguaglianza trova una singolare forma di realizzazione nella reciproca donazione di sé all'altro e di ambedue ai figli, propria del matrimonio e della famiglia. Quanto la stessa ragione umana intuisce e riconosce, viene rivelato in pienezza dalla Parola di Dio: la storia della salvezza, infatti, è una continua e luminosa testimonianza della dignità della donna. […]. Purtroppo il messaggio cristiano sulla dignità della donna viene contraddetto da quella persistente mentalità che considera l'essere umano non come persona, ma come cosa, come oggetto di compravendita, al servizio dell'interesse egoistico e del solo piacere: e prima vittima di tale mentalità è la donna. (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, dai nn. 22 e 24, 22 novembre 1981)
La terza parte dell’esortazione apostolica Familiaris Consortio si apre con un monito che è stato da molti giustamente ripreso: “Famiglia, diventa ciò che sei!”. Un monito che è anche un auspicio secondo il quale la famiglia nel disegno di Dio Creatore e Redentore può davvero trovare la sua piena identità ed anche la sua missione. Come si organizzano i compiti della famiglia cristiana? Prima di tutto nella formazione di una comunità di persone, poi nel servizio alla vita; con la partecipazione allo sviluppo della società e con la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa. Nell’ambito del primo gruppo di compiti, dopo alcuni paragrafi che il Papa dedica alla natura indissolubile della comunione di amore che si instaura fra i coniugi, l’esortazione si sofferma sui diritti e compiti della donna. Una privilegiata attenzione che il Sinodo ha voluto rimarcare con spirito profetico richiamando l’eguale dignità e responsabilità della donna rispetto all’uomo. Fondare questa uguaglianza di maschio e femmina nel disegno della Creazione è di vitale importanza per riconoscere alla donna dei diritti che la storia ha spesso negato. Donna è Maria Vergine attraverso cui il Verbo si fa carne, donna è Maddalena a cui per prima si rivolge Cristo risorto. La Parola di Dio è una fucina di donne che hanno inciso profondamente nella società a cui appartenevano e la Chiesa non può che riconoscere il pieno diritto delle donne di accedere ai compiti pubblici e vedere nel contempo riconosciuto l’onore e l’onere – spesso affidato loro in esclusiva – del lavoro domestico e dell’accudimento della prole. Se da un lato le donne non dovrebbero essere costrette al lavoro fuori casa e dovrebbero, se lo vogliono, potersi occupare solo della casa senza perdere in rispetto e dignità da parte degli uomini; così le donne oggi devono poter competere con gli uomini in ogni ambito del sapere e del lavoro umano. C’è da sviluppare un’attenzione più che alla parità, alla complementarietà, in un progetto organico che vede uomini e donne cooperare per lo sviluppo della società e nel contempo una crescita armonica delle famiglie. Purtroppo come nel passato le donne sono state vittime di una sottomissione indebita, ancora oggi subiscono discriminazioni che non hanno fondamento alcuno e sono da condannare con determinazione. Dalla strumentalizzazione della persona come cosa derivano tante forme di iniquità come la schiavitù, l’oppressione dei deboli, la prostituzione e la pornografia. Ci sono, poi, alcune categorie di donne che più di altre subiscono le discriminazioni che derivano da una visione materialista della realtà: sono le spose senza figli, le vedove, le separate, le divorziate, le madri nubili. A tutte queste persone il Papa rivolge un’attenzione speciale. Sono ormai passati quarant’anni da questa presa di posizione di Giovanni Paolo II, ma da allora la Chiesa non ha mai abbassato la guardia nei confronti della fragilità con cui spesso il genere femminile deve confrontarsi nel suo approccio al mondo. Non più tardi di una settimana fa, in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, così ha scritto l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini: “L’uomo senza la donna, la donna senza l’uomo cantano la malinconica elegia dell’incompiuto. Contro la viltà del prepotente, contro la violenza ottusa che colpisce, contro la pretesa aggressiva di possedere, contro la perfidia dell’umiliare, alzerò il grido della protesta. E sarò la voce di ogni donna ferita, di ogni giovinezza negata, di ogni bellezza sfruttata, di ogni fedeltà tradita”. Se la contemporaneità non ha fatto tanti passi in avanti in questo senso, compito della comunità cristiana non è in prima istanza quello di produrre leggi a protezione della donna – onere che va alle istituzioni – quanto quello di educare le coscienze ad un rispetto che dovrebbe essere naturale, ma spesso non si dà come dovrebbe. È vitale per la crescita armonica delle nostre famiglie che le donne si sentano libere di essere professioniste, mogli e madri in un contesto sociale che valorizzi sempre il loro ruolo senza approfittarsi di esse o sminuirne gli sforzi. Al di là di decreti e quote rosa, sono le anime che devono essere educate e questo, ancora una volta, è in famiglia che avviene fin dai primi anni di vita. Una convivenza fra maschi e femmine che si alimenta di rispetto, accoglienza e comprensione in un cammino lungo e a tratti faticoso ma in cui non ci si può fermare. (Giovanni M. Capetta)
Papa Francesco indice Anno Famiglia Amoris Laetitia
28 Dicembre 2020 - Città del Vaticano - Dal 19 marzo al 26 giugno 2022 papa Fracesco promuove un anno di riflessione sull’Amoris laetitia. “Queste riflessioni – ha detto ieri durante l’Angelus - saranno messe a disposizione delle comunità ecclesiali e delle famiglie, per accompagnarle nel loro cammino”. Le iniziative saranno coordinate e promosse dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita” a 5 anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” sulla bellezza e la gioia dell’amore familiare. “L’esperienza della pandemia ha messo maggiormente in luce il ruolo centrale della famiglia come Chiesa domestica – sottolinea il Dicastero in una nota - e ha evidenziato l’importanza dei legami tra famiglie, che rendono la Chiesa una ‘famiglia di famiglie’ (AL 87)”. Attraverso le iniziative spirituali, pastorali e culturali programmate nell’Anno “Famiglia Amoris Laetitia” Papa Francesco intende rivolgersi a tutte le comunità ecclesiali nel mondo esortando ogni persona a essere testimone dell’amore familiare. Nelle parrocchie, nelle diocesi, nelle università, nell’ambito dei movimenti ecclesiali e delle associazioni familiari saranno diffusi strumenti di spiritualità familiare, di formazione e azione pastorale sulla preparazione al matrimonio, l’educazione all’affettività dei giovani, sulla santità degli sposi e delle famiglie che vivono la grazia del sacramento nella loro vita quotidiana. Verranno inoltre organizzati simposi accademici internazionali per approfondire i contenuti e le implicazioni dell’esortazione apostolica in relazione a tematiche di grande attualità che interessano le famiglie di tutto il mondo.
L’anno si concluderà il 26 giugno 2022 in occasione del X Incontro mondiale delle famiglie a Roma con il Papa. (R.Iaria)
Come celebrare il Natale?
22 Dicembre 2020 - Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia (Seconda Lettera ai Corinzi 9,7)
Si avvicina il tempo del Natale, il tempo delle feste. Quante volte, la domanda che si fa tanta gente è: “Cosa posso comprare? Cosa posso avere di più? Devo andare nei negozi a comprare”. Diciamo l’altra parola: “Cosa posso dare agli altri?”. Per essere come Gesù, che ha dato sé stesso e nacque proprio in quel presepio. (Papa Francesco, Omelia, Santa Messa nella Giornata mondiale dei poveri, 15 novembre 2020)
Ma questo Natale ormai alle porte, come faremo? Da sempre è il periodo più festoso dell’anno, non c’è ricorrenza che possa competere e la stessa Pasqua, culmine dell’anno liturgico, dal punto di vista mondano non può essere paragonata coi giorni dal 25 dicembre al 7 gennaio. A portarci via l’atmosfera natalizia sono le misure anticontagio, i provvedimenti ministeriali per ridurre i rischi di allargamento della pandemia. Ecco allora negozi chiusi o ad orario ridotto, centri commerciali aperti in modo contingentato e soprattutto distanze imposte per decreto lungo tutto il periodo delle festività. I giorni che da sempre ci pregustiamo con i cari che non si vedono se non in questa occasione sono stati cancellati, niente vacanze in montagna, nessun raduno famigliare o con gli amici più cari. È una sorta di nuovo lockdown delle feste quello che ci accingiamo a vivere. Ogni famiglia dovrà saper essere sufficientemente espansiva da scaldarsi da sola, senza contare sul principio che l’unione fa la forza. Genitori e figli insieme e questo basti. Il pensiero corre a tutti i nonni soli o in coppia, ma comunque separati da un nucleo famigliare, costretti a trascorre i giorni culminanti delle feste in solitudine, senza il conforto di una compagnia, come quella che veniva a crearsi ogni anno a quest’epoca. A loro dovrebbero essere dedicati gli auguri più calorosi, auguri che resistono al tempo e superano le distanze. Come celebrare ugualmente Natale? Forse possiamo trovare un’occasione propizia in questo stato di necessità. Forse possiamo non prendere d’assalto Amazon e compagni e pensare che l’unica forma di vicinanza riacquistabile sia quella dei regali materiali da recapitare a destra e a manca. Tornare in noi stessi e meditare di fronte ad un diminuire del rumore della carta quando si spacchettano i regali. Un Natale senza regali può paradossalmente essere un Natale ancora più vero… più vicino a quello di Gesù che in quella mangiatoia non aveva niente e già si donava interamente per quello che era: un bambino. Siamo in grado di tornare all’essenziale? Questo impedimento nei rapporti ci spinge a riqualificare le nostre relazioni, a renderle più autentiche. Torniamo a scrivere lettere intrise d’affetto alle persone a cui vogliamo bene e diciamoglielo il nostro amore, senza aspettare che sia troppo tardi. Alziamo il telefono e parliamo con chi non sentiamo mai, o raramente. Doniamo il nostro tempo perché sarà sempre il regalo più prezioso. In casa c’è sicuramente ancora spazio fra noi e ci si può stringere maggiormente, attraverso un ascolto di qualità dei desideri, dei sogni, ma anche delle ansie e delle preoccupazioni di cui tutti siamo fatti. Mai come in questo periodo, anche coloro – e sono rari – che non hanno subito lutti più o meno gravi, sono chiamati ad interrogarsi sul senso della propria esistenza. Non conduce da nessuna parte la corsa ad avere sempre qualcosa in più degli altri, mentre porta frutto la ricerca di essere sempre per qualcuno. In quest’ottica possiamo sperare di trascorrere un Natale altrettanto ricco e sereno di quelli vissuti nel passato. Con maggiore dedizione e attenzione per chi sta al nostro fianco, facciamo esercizio e prepariamoci per quando potremo abbracciare le persone lontane. Viviamo nella sobrietà – anche se qualche specialità tipica del periodo potremo sempre concedercela – e offriamo al Signore che nasce i doni della nostra quotidianità: l’accoglienza, l’attenzione, l’ascolto. Il Figlio di Dio che nasce a Betlemme non ha bisogno della ricchezza dei potenti ma della veglia e dello stupore dei pastori. (Giovanni M. Capetta)
Un prete per amico
10 Novembre 2020 - È compito dei sacerdoti, provvedendosi una necessaria competenza sui problemi della vita familiare, aiutare amorosamente la vocazione dei coniugi nella loro vita coniugale e familiare con i vari mezzi della pastorale, con la predicazione della parola di Dio, con il culto liturgico o altri aiuti spirituali, fortificarli con bontà e pazienza nelle loro difficoltà e confortarli con carità, perché si formino famiglie veramente serene. (Gaudium et Spes, n. 52 – 7 dicembre 1965)
Quasi al termine del capitolo dedicato alla famiglia, la Gaudium et Spes presenta un paragrafo interessante in cui si pone a tema il ruolo dei sacerdoti in relazione alla vocazione dei coniugi. Molti di noi avranno tante esperienze da raccontare riguardo al rapporto della propria famiglia con preti o religiosi, ma forse non tutti sono a conoscenza che il Concilio ha dato un indirizzo, un’indicazione che aiuta a capire la giusta reciprocità da crearsi fra le due colonne del popolo di Dio. Prima di tutto si dice che il compito dei sacerdoti è quello di formarsi una competenza riguardo ai problemi famigliari. Oltre a quella che, oggi, più di un tempo, si riceve in seminario, con materie di studio che sono propedeutiche alla pastorale famigliare, la formazione a cui si allude riguarda un tirocinio sul campo. Non basta che i preti facciano riferimento alla loro precedente vita di figli in famiglia, ma è necessario che fin dai primi anni di ministero frequentino con umiltà altre famiglie concrete e da esse attingano elementi preziosi per il loro servizio. Ma, poi, cerchiamo di capire in che cosa consista prioritariamente questo servizio: il testo parla di “aiutare amorosamente - espressione dal peso specifico grande - la vocazione dei coniugi” il che significa mettere sacerdoti e famiglie sullo stesso piano senza uno squilibrio gerarchico degli uni rispetto agli altri. Attraverso tutti i mezzi della pastorale, la predicazione della Parola, la liturgia e gli altri aiuti spirituali, fortificare e confortare i coniugi perché si formino famiglie serene. Lo stesso obbiettivo è particolare, ha a che fare con la serenità della vita stessa delle famiglie prima ancora che con la loro santificazione, quasi ad indicare che quest’ultima sia un fine a cui tutti siamo chiamati in virtù del nostro battesimo, ma che i sacerdoti non siano in partenza depositari di una santità più garantita da vivere e offrire al laicato. Da queste poche righe in sostanza si può desumere uno stile, il profilarsi di un modus operandi del prete nei confronti delle famiglie che incontra nella sua esperienza di pastore. È uno stile improntato alla mitezza e alla capacità di saper mettersi al servizio senza imporre una presenza a volte troppo ingombrante. Il prete che vive in parrocchia, incontra fidanzati, neo coppie di sposi, famiglie con figli in età di catechismo o più grandi, famiglie di anziani, una grandissima varietà di situazioni in cui gli è chiesto di entrare in relazione in punta di piedi, con grande rispetto. L’immagine plastica è proprio quella di un invito a casa, in cui l’ospite sacerdote non si senta l’invitato di riguardo a cui tutto è dovuto e servito, quanto piuttosto il compagno che accetta di fare un tratto di strada insieme, offrendo – prima di tutto – la luce della Parola che illumina il cammino. Chi ha accesa questa lanterna non ha la presunzione di possedere la Verità, che è poi sempre la persona di Gesù, ma la generosa volontà di mettere sulla strada giusta il popolo che gli è stato affidato. In quest’ottica allora si può immaginare come il sacerdote possa e debba essere anche la guida nella preghiera, in particolare in quella espressa nella liturgia. Colui che accompagna l’assemblea delle famiglie di cui è composta la comunità a riscoprire ogni volta di più il fondamento e l’alimento del proprio camminare nei sacramenti e in specie nell’Eucarestia. Anche in questo caso un uomo che indica, che eleva, che mostra il Signore senza che la sua voce prevarichi, ma, anche nell’omiletica, sia sempre sincera esegesi delle Scritture, spiegazione, sprone, incoraggiamento. Sono belle quelle famiglie che hanno saputo incontrare e intrecciare la loro strada con quella di qualche sacerdote. Lì veramente si vivono i benefici della comunione ecclesiale. Sono legami in cui davvero virtuosamente ci si arricchisce a vicenda, rafforzando e integrando per osmosi le reciproche vocazioni. Dal Concilio ad oggi si sono fatti tanti passi in avanti, ma ancora molta strada resta da percorrere in questa relazione di scambio che è frutto maturo di una Chiesa adulta nella fede. (Giovanni M. Capetta - SIR)
Fidanzamento, tempo di Grazia
29 Ottobre 2020 - Roma - I fidanzati sono ripetutamente invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare il loro fidanzamento con un amore casto, e gli sposi la loro unione matrimoniale con un affetto senza incrinature. (Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, n. 49 – 7 dicembre 1965)
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS 1). Sono le prime famose e fondamentali parole della Costituzione Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Un approccio tanto nuovo quanto atteso, maturato in seno al Concilio dopo un lungo discernimento. In questo contesto, a partire dall’uomo e per l’uomo, il primo ambito, o “problema” affrontato dal documento nella sua seconda parte, è “la dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione”. Un ampio capitolo che affronta organicamente tutti i numerosi aspetti del tema a partire dalla collocazione del matrimonio nella società contemporanea e la sua santità. È a questo punto che si trova il riferimento ai fidanzati, insieme agli sposi, quali protagonisti dell’amore coniugale. Non può sfuggire quanto sia significativo che i padri conciliari abbiano voluto coinvolgere anche chi è in procinto di sposarsi fra coloro che vivono l’amore coniugale. Quello del fidanzamento è, in effetti, uno speciale tempo di Grazia e se oggi esso viene vissuto in ambito ecclesiale come un fondamentale periodo di discernimento lo dobbiamo proprio anche alla valorizzazione che il Concilio gli ha attribuito. Gli stessi itinerari di preparazione al matrimonio che è necessario seguire presso le parrocchie per poter sposarsi, vedono la luce solo nella stagione postconciliare e sono uno dei frutti di questo evento così importante per la storia della Chiesa. L’invito è quello di affidarsi all’ascolto della Parola di Dio, ovvero cercare nelle pagine della Bibbia quei testi che rispondono alle domande che i fidanzati si possono porre nel loro cammino di avvicinamento al matrimonio e poi “nutrire e potenziare il loro fidanzamento con un amore casto”.
Che cosa può significare per noi questa espressione?
Oggi si è alzata molto l’età media in cui le coppie si sposano e spesso i fidanzati giungono alle nozze dopo un periodo più o meno lungo di convivenza. La castità del loro amore, pertanto, più che nella sola astinenza sessuale, va cercata nella capacità di andare oltre l’egoismo che sempre aggredisce la nostra capacità di amare, significa porsi nei panni dell’altro, crescere nella dimensione del dono e in quella della fecondità del rapporto, una fecondità che viene prima e a prescindere dalla fertilità biologica. Ai futuri sposi è chiesto di potenziare il loro amore attraverso un percorso di purificazione, di ascesi, di conoscenza sempre più approfondita dell’altra persona ma anche del mistero grande che il matrimonio significa nel disegno della Salvezza. Come ad una fonte di acqua inesauribile i coniugi possono “rivolgersi” al loro matrimonio che è sacramento di cui Dio stesso è autore. Agli sposi, infatti, viene chiesto di alimentare la loro unione con un affetto senza incrinature. Quella che emerge come elemento comune è la progressività del cammino a cui sono chiamate le coppie cristiane. Non ci si sposa per un colpo di fulmine, o non solo per quello, né si può pensare che il giorno delle nozze possa essere il più bello (fra i tanti di una vita): fidanzamento e nozze sono tappe di un percorso destinato a durare tutta una esistenza, nella fedeltà, in un progressivo avvicinamento alla santità che è vocazione di ogni cristiano. Una posta in gioco molto alta proporzionata alla quale è l’attenzione è la cura che le nostre comunità cristiane sono chiamate ad esercitare con i fidanzati e, poi, nel prosieguo della formazione, con le giovani coppie di sposi. La Chiesa è fatta dalle famiglie, anzi è una famiglia di famiglie ed è proprio a partire dagli assunti del Concilio che oggi lo possiamo testimoniare con convinzione, così come vedremo proseguendo a leggere Gaudium et Spes. (Giovanni M. Capetta - Sir)
In famiglia: una fede che si trasmette
20 Ottobre 2020 - I coniugi cristiani sono cooperatori della grazia e testimoni della fede l’uno per l’altro, nei confronti dei figli e di tutti gli altri familiari. Sono essi i primi araldi della fede ed educatori dei loro figli; li formano alla vita cristiana e apostolica con la parola e con l’esempio, li aiutano con prudenza nella scelta della loro vocazione e favoriscono con ogni diligenza la sacra vocazione eventualmente in essi scoperta. (Decreto Apostolicam Actuositatem, 11, 18 novembre 1965)
In ordine di tempo, fra i documenti del Concilio Vaticano II che trattano della famiglia, vi è il decreto Apostolicam Actuositatem, che, promulgato da Paolo VI, il 18 novembre 1965, sottolinea l’importanza del laicato all’interno della Chiesa cattolica e tratta della vocazione dei laici e della loro missione nell’evangelizzazione e nella santificazione dell’umanità. Un documento fondamentale per vincere le tendenze clericali sempre latenti nell’esperienza pastorale della Chiesa e un testo che, appunto, nell’ambito dei vari campi di apostolato, dedica un importante paragrafo all’ambito della famiglia. Prima di elencare i doveri dei coniugi e le opere dell’apostolato famigliare, il testo esprime in modo inequivocabile la dignità del matrimonio come principio e fondamento della società e come sacramento. I coniugi cristiani sono chiamati “cooperatori della grazia e testimoni della fede l’uno per l’altro”. È importante questo rilievo fatto alla reciprocità della testimonianza di fede. Significa che la fede, appunto, ha una dimensione viva, che può evolvere, non è acquisita una volta per tutte, ma anzi può avere anche momenti di stanchezza, perfino di buio. Può succedere che uno dei due coniugi venga meno nella perseveranza e debba essere sostenuto dal fervore e dall’esempio dell’altro. La fede poi si trasmette ai figli e agli altri famigliari, ma come? Non solo con l’annuncio tramite la parola, piuttosto – e questo può avvenire in tante fasi della vita, in particolare in quelle in cui i figli, nell’adolescenza, si oppongono per principio alle figure genitoriali – con l’esempio di una testimonianza silenziosa e costante. “Araldi” ed “educatori della fede” quindi lo si è e lo si diventa attraverso una vita coerente con quanto si professa, con uno stile, improntato, per esempio, alla generosità e all’accoglienza, che si disponga facilmente al perdono. Bisogna riconoscere che i figli, soprattutto da bambini, possono anche fare resistenza a percepire gli insegnamenti sotto forma di parole, ma raramente vengono meno ad assimilare i comportamenti e gli atteggiamenti che vedono abitualmente praticati in casa dai genitori. Un papà e una mamma che vivono la loro vocazione di sposi con gioia e con speranza, sentendosi figli di un unico Padre e di un Padre buono non possono che tramettere la loro fede sotto forma di un tesoro, di un plusvalore offerto alla conoscenza e alla libertà dei loro figli. Sarà allora naturale che in casa, prima che in ogni altro luogo, si maturino le scelte più importanti della vita e si risponda ciascuno alla propria vocazione. Il testo poi prosegue entrando nel dettaglio delle opere dell’apostolato famigliare e ne fa un elenco che va dall’ “adottare come figli i bambini abbandonati”, ad “accogliere con benevolenza i forestieri, dare il proprio contributo nella direzione delle scuole, consigliare e aiutare gli adolescenti, aiutare i fidanzati a prepararsi meglio al matrimonio, collaborare alle opere catechistiche”, sostenere le famiglie in difficoltà economica, accogliere gli anziani… un elenco solo esemplificativo ma che prospetta chiaramente come dalla famiglia si diramino una serie di ambiti in cui i laici possono e devono rendersi protagonisti, con un apporto di esperienza e un ruolo specifico nell’annuncio del Vangelo. Ci potremmo chiedere, a distanza di più di mezzo secolo, a che punto siamo nella diffusione di questa consapevolezza da parte delle famiglie in Italia e nel mondo. L’impressione è che ci sia tanto lavoro come dire “sommerso”: le famiglie cristiane fanno tanto all’interno delle mura domestiche, un po’ meno quando si tratta di fornire un servizio alla comunità (catechismo, formazione etc…), ma, ciò che più conta, si sentono davvero e pienamente Chiesa? (Giovanni M. Capetta - SIR)
Famiglia, Chiesa domestica
13 Ottobre 2020 - E infine i coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole essi hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio. Da questa missione, infatti, procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e secondare la vocazione propria di ognuno, quella sacra in modo speciale. (Costituzione dogmatica Lumen Gentium, n. 11, 21 novembre 1964)
L’11 ottobre 1962 si aprì il Concilio Vaticano II: un evento di portata epocale non solo per la Chiesa Cattolica. Vi furono circa 2450 partecipanti fra cui, come osservatori, esponenti delle altre confessioni cristiane. Il lavoro si distribuì in quattro sessioni, la prima fino alla morte di Giovanni XXIII il 3 giugno del 1963, le altre tre convocate e presiedute dal suo successore Paolo VI, fino alla chiusura avvenuta l’8 dicembre 1965.
L’intenso lavoro dei padri conciliari produsse una fondamentale mole di documenti suddivisi in quattro costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. Dopo la Costituzione conciliare Sacrosantum Concilium sulla sacra liturgia, emanata il 4 dicembre 1963, in ordine di tempo viene resa pubblica, l’anno successivo, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa: la Lumen Gentium. È, quindi, in seno al discorso sul mistero della Chiesa e, più precisamente sul sacerdozio comune esercitato nei sacramenti dal popolo di Dio che troviamo il passo sopra trascritto. Il riferimento alla Lettera agli Efesini non è inedito per indicare che il matrimonio significa l’unità e il mistero d’amore fra Cristo e la Chiesa, ma nuova è la sollecitudine con cui da questo assunto sacramentale si dichiara che i coniugi sono chiamati ad aiutarsi a vicenda per raggiungere la santità nella loro vita di sposi. La santità è la meta a cui tutti i cristiani sono universalmente chiamati e gli sposati, non certo nonostante il matrimonio, ma proprio attraverso di esso, hanno indicata la via per la loro santificazione. Dalla missione degli sposi procede la famiglia, nella quale nascono “i nuovi cittadini della società umana”.
Prima ancora di essere battezzati, i figli sono creature nel mondo e già in questo un dono incommensurabile. Col sacramento del Battesimo divengono figli di Dio e vanno a perpetuare il suo popolo. Ed ecco la definizione: Chiesa domestica. Una svolta linguistica che è anche concettuale. Definendo la famiglia come Chiesa domestica i padri conciliari aprono, anzi spalancano una serie di potenzialità ancora oggi non del tutto espresse. Una chiesa domestica è un luogo in cui si possono vivere i sacramenti del battesimo e del matrimonio, in particolare – come dice la Costituzione – assecondando la vocazione di ciascuno. Ma oltre a ciò la famiglia si costituisce come un luogo di preghiera privilegiato. Un luogo in cui, secondo la parola evangelica, quando due o tre si radunano nel Suo nome, il Signore è lì in mezzo a loro (Mt 18, 19-20). Lo abbiamo sperimentato nei mesi di lockdown, in cui le famiglie sono state cellule vive e pulsanti di energia, nonostante le restrizioni sociali. Anche grazie a mezzi di comunicazione che all’epoca del Concilio non erano ancora contemplati, le famiglie si sono potute mettere in rete fra loro e in collegamento con la parrocchia. Se il sacramento dell’Eucarestia non si è potuto vivere pienamente ricevendo la comunione nella specie del pane, ugualmente molti nuclei famigliari hanno potuto collegarsi per vivere a distanza le celebrazioni eucaristiche e i momenti di preghiera. Uno spazio suo proprio ha avuto la preghiera del Rosario che ben si adatta alla dimensione famigliare, con la possibilità di distribuire le decine di Ave Maria fra i diversi componenti della famiglia, spaziando fra un infinito numero di intenzioni. Ma la Chiesa domestica della famiglia è anche luogo di carità e di prossimità nei confronti dei fratelli e non necessariamente di quelli con cui si condivide la fede. Una luce che risplende per tanti anche oltre le mura della casa. Un segno di gratuità, un generatore di energie positive che già nel suo vivere in comunione trasmette un messaggio di speranza. Si pensi a quanto una famiglia può fare per i tanti anziani che vivono soli, o alla solidarietà che si può trasmettere verso quei nuclei famigliari ai loro inizi con figli neonati o molto piccoli. Da adesso la famiglia con “chiesa domestica” ha la sua definizione principe e si installa come cellula vitale contemporaneamente della società e della comunità ecclesiale. (Giovanni M. Capetta - Sir)
Donne, famiglia, lavoro
29 Settembre 2020 - Una propaganda talora incontrollata si serve dei poderosi mezzi della stampa, dello spettacolo e del divertimento per diffondere, specialmente nella gioventù, i germi nefasti della corruttela. È necessario – dicevamo allora – che la famiglia si difenda, che le donne prendano con coraggio, e con acuto senso di responsabilità, il loro posto in quest’opera, e che siano instancabili nel vigilare, nel correggere, nell’insegnare a discernere il bene dal male. […] è grande il compito che attende la donna: che la impegna a non lasciare inaridire a contatto con la pesante realtà del lavoro la ricchezza della sua interiorità, le risorse della sua sensibilità, del suo animo aperto e delicato: a non dimenticare quei valori dello spirito che sono l’unica difesa della sua nobiltà: a non trascurare infine di attingere alle fonti della preghiera e della vita sacramentale, la forza per mantenersi all’altezza della sua missione ineguagliabile. (Giovanni XXIII, Udienza generale, mercoledì 7 dicembre 1960)
Verso la fine del 1960, il Papa riceve in udienza generale le partecipanti al decimo Congresso nazionale del Centro italiano femminile. È un attenzione rinnovata per questo sodalizio quella del pontefice che infatti richiama il discorso fatto allo stesso Cif il primo marzo dell’anno precedente. Il tema del Congresso questa volta è “La donna nella famiglia e nel lavoro” e su questo argomento di cocente attualità Giovanni XXIII si introduce con calore e autorevolezza. Riguardo al rapporto fra donna e famiglia, il Papa richiama la centralità della figura femminile anticipando una sensibilità che solo più avanti negli anni andrà consolidandosi. La donna è vista come insostituibile, come colei che “incoraggia, invita, scongiura” e le cui parole ed esempio rimangono indelebili nella memoria degli altri famigliari. Alle donne nel loro complesso è affidato, all’interno della famiglia, il compito di “vigilare, correggere, insegnare a discernere”: è un ruolo a tutto campo che prende vigore dalla vocazione peculiare di ognuna ad essere moglie e madre. C’è una cultura – il Papa la chiama “propaganda” – che va contrastata, nonostante eserciti ampiamente il suo potere attraverso i mass media. È il pensiero che riduce la donna ad oggetto di piacere, oppure che la vuole equiparare all’uomo secondo il mero principio della produttività. La donna ha una vocazione che va oltre le prestazioni sia all’interno del nucleo famigliare, sia nel mondo del lavoro, il suo compito – come si legge nel secondo passo citato – è di coltivare la ricchezza della propria interiorità senza lasciarla inaridire sotto il peso delle incombenze del lavoro. Un invito prezioso, quest’ultimo e altresì profetico. Nel complesso dilemma fra famiglia e lavoro che viene posto a sempre più donne nella società degli anni Sessanta, il Papa non si permette di chiudere una strada rispetto all’altra, ma apre una finestra più ampia, in cui un ruolo decisivo, per discernere, gioca il criterio della salvaguardia dei valori dello spirito senza i quali non è possibile una piena realizzazione cristiana. In quest’ottica Giovanni XXIII sembra anticipare i moniti dei suoi successori e richiamare istanze che saranno poi ampiamente sviluppate dai pontefici dopo di lui. Del resto ancora oggi, a sessant’anni di distanza, quando tanto cammino è stato fatto sia in ambito di ricerca sociologica, sia di approfondimento pastorale, le donne del mondo occidentale devono fare i conti con sfide difficilissime per riuscire ad essere protagoniste del loro mondo in tutti i campi, ma nello stesso tempo per non stravolgere il senso della propria natura ed identità più profonde. La donna è indispensabile presenza nella famiglia e preziosa cooperatrice nel mondo del lavoro se sa custodire la sua nobiltà, anche abbeverandosi alla fonte della preghiera e dei sacramenti. Quella della donna moderna non è una corsa ad ostacoli per eguagliare un presunto primato maschile, ma la risposta ad una missione ineguagliabile a cui è chiesto di rimanere all’altezza. (Giovanni M. Capetta - Sir)
Luogo di vocazione
8 Settembre 2020 - Ebbene, lo diciamo con un sentimento di grande commozione, e di profonda gratitudine a Dio; sì; alla Nostra famiglia, non così povera in verità come ad alcuno piacque presentarla, ma soprattutto ricca di doni celesti: agli esempi dei Nostri buoni genitori, papà e mamma, sempre scolpiti nel cuore: all’atmosfera di bontà, di semplicità e di rettitudine che abbiamo respirata fin dall’infanzia, dobbiamo gran parte della Nostra vocazione sacerdotale ed apostolica. (Discorso del Santo Padre Giovanni XXIII alle partecipanti al IX Congresso nazionale del Centro italiano femminile, III Domenica di Quaresima, 1 marzo 1959)
A meno di due mesi dall’Angelus commentato nell’articolo di settimana scorsa, papa Giovanni torna sul tema della famiglia incontrando le partecipanti al IX Congresso nazionale del Centro italiano femminile: un’associazione nata nell’ottobre del 1944 (ed ancora esistente) come collegamento di donne e di associazioni di ispirazione cristiana, per contribuire alla ricostruzione del Paese attraverso la partecipazione democratica e l’impegno di promozione umana e di solidarietà. A queste donne riunite in assemblea, il Papa rivolge un esteso discorso in cui, anche in questa circostanza, prevale il calore della testimonianza personale. Poco dopo l’esordio, il suo riferimento alla famiglia d’origine è forte, anche perché questa volta il ricordo si fa sentimento di “profonda gratitudine” in ordine anche alla sua vocazione al sacerdozio. Prima di proseguire nel suo dire il pontefice richiama, dunque, l’attenzione su un atteggiamento che non può essere dato per scontato. Al padre, alla madre, all’ambiente in cui nasciamo, nel bene e nel male noi dobbiamo molto di quello che saremo da grandi, lì si impianta come in embrione la nostra vocazione. È un concetto semplice dal punto di vista della comprensione, ma ciò nonostante non sempre facile da vivere con consapevolezza ed il Papa sembra spontaneamente portato a tornarci più volte offrendo anche a noi oggi uno stimolo a rifletterci. Conseguentemente a ciò Giovanni XXIII prosegue il suo discorso affidando alle donne presenti e a quelle del mondo, più in generale, “l’amore alla famiglia, intesa come naturale ambiente per lo sviluppo della personalità umana, e come provvidenziale rifugio, nel quale si placano e si addolciscono le tempeste della vita, si spengono gli allettamenti delle inclinazioni indisciplinate, e si combattono gli influssi dei mali esempi”. Qui, nel linguaggio, ma anche nella sostanza percepiamo la distanza dei tempi, se non altro perché oggi siamo purtroppo abituati a considerare che molte delle difficoltà delle famiglie – a partire dalle violenze domestiche – nascono all’interno di esse e anzi si cercano fuori le agenzie tese alla cura e al risanamento delle stesse. Forse, però, anche su questo potremmo fare tesoro dell’insegnamento pontificio. Di fatto sono dall’esterno che arrivano molti degli elementi di disgregazione dei nuclei famigliari e questi ultimi possono proteggersi non chiudendosi in un isolamento anacronistico ma facendo rete coltivando i germi positivi che l’istituzione famigliare, prima ancora che il sacramento del matrimonio, porta con sé. È in quest’ottica che il Papa elogia il Centro italiano femminile, la cui azione sociale ha avuto un impatto notevole nel nostro Paese non solo negli anni della ricostruzione. Oggi il numero delle associazioni famigliari, di ispirazione cristiana e no, è aumentato a dismisura, ma è istruttivo constatare come fin dall’inizio non sia mai mancato il sostegno e la “confortatrice” benedizione dei Papi che si sono succeduti e che non hanno mai smesso di mettere la famiglia al centro del loro interesse pastorale. (Giovanni M. Capetta - Sir)