24 Febbraio 2021 - Cesena - «Tutto il nostro Paese è molto dispiaciuto per quanto è accaduto ieri», dice al telefono padre Edmond Kasong, dal 2018 parroco a San Giorgio-Bagnile, nella diocesi di Cesena-Sarsina. Il sacerdote francescano (frate minore) è originario del Congo, del Kasai orientale, una zona molto lontana da dove è avvenuta l'imboscata che ha causato la morte dell’ambascioatore italiano in Congo, Luca Attanasio, del carabinieri Vittorio Iacovacci e del loro autista congolese, Mustafa Milambo, nel nord Kivu, vicino al Rwanda e al Burundi.
«La zona est, del Congo, quella di Goma, è la più esposta e la più pericolosa del Paese - aggiunge il sacerdote parlando con il settimanale della diocesi, “Corriere Cesenate” -. È la zona più sfruttata dalle multinazionali, in particolare per il coltan (materia prima fondamentale per le batterie degli smartphone e le auto elettriche, ndr). È una zona di confine e qui il Rwanda vorrebbe allargare i propri territori. In quelle province muoiono migliaia di persone ogni anno. È un territorio fuori dal controllo del governo».
«Ci sono tanti interessi in gioco», conclude il sacerdote «non c'è pace in quel territorio, dove i bambini non conoscono la scuola e la gente è sempre in fuga. Tanti stanno morendo per difendere la loro terra».
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Don Malonda: l’attentato in Congo induca a riflettere sulla situazione africana
24 Febbraio 2021 - Roma - «Sono molto addolorato, tutta la comunità congolese in Italia è addolorata». Con queste parole don Denis Kibangu Malonda, parroco di S. Maria Goretti in Villalba di Guidonia, Tivoli, e incaricato dell’Ufficio Diocesano Migrantes della diocesi di Tivoli, racconta a www.migrantesonline.it quanto sia sconfortante l’attentato che ha causato la morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere italiano Vittorio Iacovacci e di Mustafa Milambo, l’autista congolese. Don Denis è dal 1988 in Italia. E’ nato in Congo, a circa 2550 chilometri di distanza dal territorio in cui c’è stato l’agguato. «Io personalmente non ho avuto il piacere di conoscere l’ambasciatore – dice - però ho sentito parlare molto bene di lui, sia da amici italiani che con la cooperazione frequentano il Congo, sia dai congolesi che sono beneficiari delle iniziative dell’Ambasciata italiana, che è ben voluta perché è sempre stata molto attenta sulle questioni umanitarie nel mio Paese». Don Denis elogia l’Italia anche per i tanti missionari italiani che operano in Congo e quanti religiosi congolesi sono in Italia. Ricorda i tanti giovani congolesi che si sono formati nel nostro Paese e non solo del clero nei tempi in cui potevano usufruire di borse di studio dello stato o con fondi diversi. La generosità del popolo italiano verso il popolo congolese è qualcosa di molto consolidato, sottolinea. «Io stesso dagli anni Ottanta agli anni Duemila ho aiutato la Caritas italiana per la promozione di diversi progetti di sviluppo in Congo”. Per don Denis dove è successo l’attentato il territorio è talmente martoriato dalla violenza, che è la spina del fianco del Paese da almeno trent’anni. «Questa situazione - dice - così degradata deriva dalla famoso genocidio dei Tuzzi nei confronti degli Uti nel Ruanda. Dopo il genocidio gli Uti sono scappati, hanno attraversato il confine con il Congo, e ora si trovano in quell’area. Ma già prima del genocidio in quella zona si riscontrava un clima di incertezza. Le circostanze geopolitiche dell’insicurezza in quella zona sono molte complesse”. Il sacerdote congolese fa appello alla società internazionale perché le morti dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci non siano morti invano. «La società internazionale - afferma – prenda in seria considerazione questo focolaio e ci metta le risorse necessarie per chiuderlo. Oggi parliamo dell’Ambasciatore, del carabiniere e dell’autista, ma ci sono milioni di persone in questo clima di insicurezza morti dagli anni ’90 in poi». La comunità congolese si associa al lutto delle famiglie e dell’Italia tutta e si chiede come mai un Paese così martoriato sia riconosciuto solo per queste vicende. «Possibile che il mondo sia così spietato verso quel popolo, verso una nazione da non favorisce uno sviluppo effettivo e fattivo, in cui tutti saremmo beneficiari, e invece continuano a morire migliaia di congolesi e non solo in questo olocausto”. Ci tiene a segnalare che l’Ambasciatore Italiano è andato in quella zona perché c’è un programma contro la sottoalimentazione per quella gente ridotta alla fame, una zona ricca per i prodotti agricoli ma scippata dall’interesse per lo sviluppo delle miniere. Nel concludere ribadisce “Quello che è successo tre giorni fa mi auspico che porti all’attenzione internazionale il problema, ogni morte per noi cristiani può essere una radice di una vita nuova, e il prezzo di queste vite possa portare a una radice di totale orientamento per un po’ di pace e giustizia a questo popolo. Spero sulla diplomazia italiana e su quella internazionale”. E rivolgendosi ai potenti della terra cita un pensiero di Papa Giovanni Paolo II: “tutti noi ci presenteremo un giorno davanti al Giudice Supremo”. (NDB)