9 Luglio 2023 - Lampedusa - “Sono passati dieci anni dal primo viaggio apostolico di papa Francesco. Viaggio, secondo me, iniziato a Lampedusa ma non ancora concluso. Venne per piangere le vittime della migrazione, della cultura dello scarto e dell’indifferenza”. Lo ha detto questa mattina il card. Francesco Montenegro, nella celebrazione eucaristica, nella parrocchia di Lampedusa, a conclusione di tre giorni in ricordo del X° anniversario della visita nell’Isola, di papa Francesco. L’iniziativa – promossa dall’Apostolato del Mare della Cei, dalla Fondazione Migrantes e dalla diocesi di Agrigento – si inserisce nelle celebrazioni per la Domenica del Mare che si celebra oggi.
Molto spesso, “voi di Lampedusa e Linosa – ha detto il porporato - avete visto queste donne e uomini piangere e avete pianto con loro, e non solo il 3 ottobre di dieci anni fa; li avete soccorsi ravvisando in loro fame e sete di speranza e desiderio di vita migliori; avete persino aperto le vostre case perché avessero il ristoro di una doccia, il tepore di un tè… e la consolazione di un abbraccio. Avete condiviso il pesce pescato da voi stessi con loro, coi quali lo avete arrostito e mangiato. Avete pregato insieme, pur nel rispetto di altre fedi e altri riti. E, con i loro sguardi ricchi di speranza ma carichi di orrore, avete ascoltato le loro storie di persecuzioni, di stupri e vessazioni, di percosse violente e molestie di ogni genere… insieme alla struggente nostalgia di casa e degli affetti più cari”. Per il card. Montenegro la fraternità è “la festa della paternità di Dio. Invochiamo lo Spirito perché ciò avvenga. È vero che la fraternità la vogliamo e costruiamo noi, ma è vero che è dono dello Spirito. Senza lo Spirito che è Pace, Giustizia, Amore, Libertà, Verità, la fraternità rischia di essere semplice velleità. Continuiamo perciò con Papa Francesco il viaggio della speranza, cominciato da qui; non stanchiamoci; il Crocifisso sopra l’altare che il Papa ci ha regalato ce lo ricordi; osiamo come Papa Francesco, non lasciamolo solo ma soprattutto accogliamo sorridenti Gesù nei fratelli che vengono dall’altro continente”. (Raffaele Iaria - www.migrantesonline.it)
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Card. Montenegro: “Sogniamo che si scelga la civiltà dell’amore e non il suo naufragio”
8 Luglio 2023 - Lampedusa - “Immigrati morti in mare”. Dieci anni fa papa Francesco, “pellegrino a Lampedusa, iniziava così la sua omelia, tracciando poi una linea di distinzione tra le acque della morte e quelle della vita. Se dovesse tornare, purtroppo, ripeterebbe le stesse parole”. Lo ha detto, questa mattina, il card. Francesco Montenegro, arcivescovo emerito di Agrigento, davanti alla “Porta d'Europa” nel decimo anniversario della visita, la prima del suo pontificato, papa Francesco a Lampedusa l'8 luglio 2013.
A Lampedusa, ieri, l’inizio di una tre giorni in occasione dell’anniversario del viaggio e della Domenica del Mare che l’ufficio nazionale dell’Apostolato del Mare della Cei ha voluto celebrare nell’Isola delle Palagie.
Un serie di eventi, promossi insieme alla Fondazione Migrantes e alla diocesi di Agrigento, sul tema “Chi di noi ha pianto? Il mare luogo di vita”. Nel Libro dell’Esodo – ha detto il card. Montenegro - la libertà degli oppressi “non prevede la costruzione dei lager, o dei container adibiti a luoghi di inumana detenzione. Invece, nelle acque delle tante Lampeduse politiche, prima che fisiche, si assiste all'opera malefica di smarrimento, di cancellazione della memoria dei ‘nomi’ - sono solo migranti non esseri umani - trasformando la nostra in una civiltà senza memoria e una società senza dolore”. Così nelle Lampeduse che sono Cutro, Lesbo, Lampedusa…naufragano insieme il nome di Dio e i nomi delle sue figlie e dei suoi figli, delle sue bambine e dei suoi bambini…naufraga la civiltà”.
La “Porta d'Europa” di Lampedusa, come il molo Favarolo, sono “testimoni silenti del processo che va contro la creazione di Dio. Sono testimoni di una guerra non meno fratricida della guerra in Ucraina e delle altre guerre che insanguinano il mondo solo che qui gli arsenali sono costituiti non da armi dai corpi dei migranti. Corpi che la politica esibisce come numeri, se restano vivi; corpi di reato, che non meritano neppure di essere contati, se muoiono per annegamento nel Mediterraneo o nell'Egeo e/o di stenti nella rotta balcanica, di sete nel deserto del Niger, di stupri e violenze nei lager della Libia”. Per il porporato, nella “triste vicenda delle migrazioni questo nostro porto da luogo di vita è diventato approdo di salme e/o di esseri ‘mezzi vivi’: avamposto della tumulazione per i primi, primo luogo di ‘trattenimento’ per i secondi, considerati subito stranieri irregolari”. Un porto, questo di Lampedusa, “testimone tanto del transito pietoso di numerosi morti, quanto delle vite estratte dalla morsa della morte. Vite salvate, nutrite, curate… da sanitari, forze dell'ordine, volontari, cittadini e cittadine mossi, non importa se dalla fede o dal senso del dovere, certamente da compassione e tenerezza che sottraggono i corpi dei migranti defunti al ludibrio e allo scempio custodendoli prima nella pietà e poi nei loculi dei cimiteri”. “Sogniamo” qui con tutti, perché “si scelga la civiltà dell’amore e non il suo naufragio”, ha concluso il porporato.
Questa mattina, prima dell’arrivo alla “porta d’Europa”, il percorso commemorativo dal sagrato della chiesa parrocchiale di Lampedusa con interventi, durante il percorso, di Filippo Mannino, sindaco di Lampedusa, di mons. Alessandro Damiano, arcivescovo di Agrigento e di don Bruno Bignami, direttore nazionale dell’Apostolato del mare della Cei. Alle 21.00 è prevista inoltre una tavola rotonda a cui prenderanno parte mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes, don Stefano Nastasi, già parroco di Lampedusa, Enzo Riso, pescatore, e i rifugiati Fardusa Osman Ahmed e Moussa Modibo Camara del Centro Astalli. Domani una celebrazione eucaristica nella chiesa parrocchiale presieduta dal card. Montenegro. All'incontro è presente anche il direttore generale della Fondazione Migrantes, mons. Pierpaolo Felicolo. (Raffaele Iaria- Migrantesonline)
Card. Montenegro: “a Lampedusa si impara a guardare l’altro libero da pregiudizi e privilegi”
12 Maggio 2022 -
Roma - “Tutto ciò che avveniva a Lampedusa con il continuo arrivo di migranti ha scosso non solo quella comunità parrocchiale e la diocesi agrigentina ma, mi sento di dire, il mondo intero”. Lo ha detto oggi il card. Francesco Montenegro, arcivescovo emerito di Agrigento e membro del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, intervenendo alla conferenza stampa di presentazione del Messaggio di Papa Francesco per la 108ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che sarà celebrata domenica 25 settembre 2022 . “Cosa fare di fronte a migliaia di persone che ogni giorno arrivano con mezzi di fortuna? Cosa fare quando – come nel 2013 – diverse centinaia di loro affondarono a pochi metri dalla costa perdendo la vita?”, si è chiesto il cardinale Montenegro: “Quando ti trovi di fronte a questi fatti – ha detto – ti accorgi che solo il principio della fraternità ti può aiutare. Se riesci a guardare negli occhi quell’uomo, quella donna o quel bambino capisci che è uguale a te, che è tuo fratello. In quell’istante cadono tutte le distinzioni, le diatribe politiche, le logiche dei numeri o le normative di questo o di quel Paese. Quegli occhi ti dicono la dignità di quella persona prima e più della sua appartenenza a un Paese ‘X’ o a una religione ‘Y’. Costruire il futuro richiede questo sguardo sull’altro libero da ogni pregiudizio e da ogni privilegio”. Il Papa, ha ricordato il cardinale, “insiste molto sul fatto che questa prospettiva può rivelarsi una opportunità di crescita per tutti. La storia ci insegna che laddove il futuro lo si è costruito in una logica inclusiva, alla fine, ci hanno guadagnato tutti, non solo in termini di rispetto ma anche economicamente e culturalmente”. Anche il titolo della giornata “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati” invita “a passare dalla logica della semplice accoglienza a quella evangelica della fraternità universale in cui l’altro – e in particolare il povero – è il fratello col quale sono chiamato a camminare”: “Non ci sono alcuni che accolgono e altri che vengono accolti ma fratelli che dobbiamo amarci, imparando a fare della diversità culturale, religiosa o sociale una grande opportunità di crescita per tutti”.
(Foto Siciliani/SIR)
Morti in mare: da lunedì un “digiuno staffetta”
26 Marzo 2021 - Roma - Da lunedì 29 marzo partirà un "digiuno staffetta" per richiamare l’attenzione alla tragedia dei morti in mare. Si tratta di Fame e sete di giustizia, promosso da Cantiere Comune, espressione dei missionari comboniani. Oggi, nel corso di una conferenza stampa on line, è stata presentata l’iniziativa che – ha detto p. Alex Zanotelli, nasce per «condividere quello di milioni di persone che fanno la fame, è un gesto di protesta contro un sistema profondamente ingiusto, che permette al 10 per cento della popolazione mondiale di mangiare lautamente il 90 per cento dei beni di questo pianeta». Per il religioso comboniano il Mediterraneo oggi è «diventato un mar nero, un cimitero dei volti oscuri che bussavano alla nostra porta ma che sono periti in questo mare». Migrazioni che, ha sottolineato l’arcivescovo di Agrigento, il card. Francesco Montenegro – già presidente della Fondazione Migrantes - «non rappresentano una emergenza, quanto piuttosto un fenomeno strutturale nella vita del mondo» evidenziando che sull’immigrazione «si gioca il futuro e si misura la vitalità della società e della Chiesa». Il "digiuno a staffetta" – ha quindi aggiunto il porporato - «non è ‘per’ bensì ‘con’: dobbiamo condividere la fame. I migranti vengono perchè hanno fame, vengono a riprendersi ciò che noi paesi civili abbiamo tolto. Ma noi siamo la civiltà, eppure non vogliamo capire che esistono le civiltà». E parlando del Mediterraneo il card. Montenegro ha evidenziato che questo mare è diventato un «cimitero liquido, ma le morti non ci toccano e quindi ci ritroviamo con una coscienza in qualche modo falsa, perché ci sentiamo buoni, ma in effetti non lo siamo. Noi degli immigrati ne abbiamo fatto una categoria e ci siamo dimenticati che sono uomini, donne e bambini, forse dovremmo ricordare che quando c'è un uomo che muore ingiustamente ne siamo un po' tutti colpevoli, ma noi abbiamo le mani pulite, perché noi, al limite, desideriamo che se ne tornino a casa loro, come se questa fosse la soluzione migliore: tornare a casa loro e tornare in quella povertà che è invivibile, tornare a casa loro e ripassare dalla Libia dove ci sono le torture, tornare a casa loro è andare incontro alla morte per molti, questa è la fotografia». E parlando, poco dopo, alla Radio Vaticana, il card. Montenegro ha sottolineato che «è facile che ci si commuova davanti ad un crocifisso di legno o di gesso, ma non siamo capaci di commuoverci davanti al Cristo vivente, alla carne sanguinante di Cristo che incontriamo. Siamo riusciti a sentirci a posto, perché quando vediamo il pane che si spezza sull'altare, noi diciamo quello è Gesù, però poi, quando uscendo, lungo le scale della chiesa, lo vediamo seduto con la mano tesa, ecco quello un poveraccio non è più il Gesù di prima, quando in effetti e quel pane e quel povero hanno la stessa identità. La nostra fede è diventata una fede facile, una fede che non si vuole sporcare, vissuta ad occhi chiusi per non essere disturbati nella preghiera, ma a furia di tenere gli occhi chiusi, non vediamo più niente e non sappiamo più che cosa presentare nella preghiera». (Raffaele Iaria)