Palermo – Una famiglia per costruire un futuro migliore, una vita lontana da povertà e disperazione. Lampedusa non è solo la terra divenuta il simbolo della migrazione dei popoli, è anche il laboratorio di una nuova umanità. La storia di S. (la sua minore età ci consiglia di citarne solo l’iniziale del nome) ne è la dimostrazione.
Era il 3 gennaio quando questo sedicenne proveniente dal Senegal approdava, assieme ad altri migranti, ad Augusta, dopo essere stato soccorso da una delle navi della Marina Militare impegnate nell’operazione Mare Nostrum. Epilogo fortunato di un viaggio durato due anni che, appena adolescente, lo ha visto attraversare quattro stati africani, prima di arrivare in Libia, qui vedersi derubato di tutti i suoi averi e infine salpare a bordo di un gommone carico di cento persone. A spingere il suo cammino attraverso il deserto e ad un barcollante destino è stata la necessità di trovare un lavoro dignitoso e così sostenere una famiglia numerosa, composta da tre figli, di cui è il maggiore. Appena arrivato in Sicilia viene ospitato nel Centro di prima accoglienza “Casa Mosè”, struttura che sorge nella periferia di Messina e che accoglie i minori non accompagnati. Poi, il miracolo. Passa appena qualche giorno e il ragazzo venuto dal paese dei cereali e degli arachidi può atterrare a Lampedusa. Sull’isola lo attende la famiglia Maggiore – i coniugi Lillo e Piera, con le figlie Maria ed Eleonora – pronta e preparata a prendersi cura di lui. Il prezioso tramite per questa provvidenziale unione è stato l’associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi.): “Abbiamo molto penato prima di raggiungere questo traguardo, a causa dei mille ostacoli burocratici che hanno bloccato per mesi la nostra pratica – racconta Lillo Maggiore –. Poi, quando avevamo ormai perso le speranze, abbiamo affidato ad Ai.Bi. la nostra richiesta di potere avere in affido uno di questi ragazzi che scappano dall’Africa e appena 30 giorni dopo ci è arrivata la bella notizia”.
Per questa famiglia non si tratta del primo impatto con chi approda sull’isola, in fuga da guerre e persecuzioni. Nel tempo i Maggiore hanno maturato un ricco “curriculum” di accoglienza e solidarietà. È il 2011 quando i coniugi fanno esperienza di accudimento e sostegno ad un giovane fuggito dalla Tunisia, sull’onda della Primavera araba. Quindi, la strage del 3 ottobre, con il supporto prestato a due naufraghi, Alex e Tami, con i quali sono rimasti in contatto anche dopo che i due profughi hanno raggiunto il Nord Europa. Nasce in quella situazione il desiderio di aiutare in maniera più stabile un minore non accompagnato. L’arrivo di S. è stato un regalo, non solo perché tanto atteso e desiderato, ma anche per le doti di questo ragazzo.
“Quando è arrivato – ricorda Lillo – era restio a raccontare la propria vicenda e ad aprirsi, soprattutto con le ragazze. Poi, con il tempo, è riuscito ad affiatarsi in famiglia, tanto che con le nostre figlie è come se fossero fratelli di sangue. Nell’isola, poi, è conosciuto e benvoluto da tutti. È un ragazzo educatissimo e molto attento all’osservanza dei precetti previsti dalla religione musulmana. Siamo stati fortunati perché, accogliendo lui, abbiamo trovato un angelo”. Nell’apprendimento della lingua italiana questo “nuovo lampedusano” ha fatto passi da gigante: “Non era mai andato a scuola, non ne aveva avuto mai la possibilità – spiega Lillo, nominato tutore dopo 7 mesi di attesa –. Eppure, in pochi mesi, è riuscito ad imparare a leggere e a scrivere, anche grazie all’insegnante di lettere, alla quale si è molto legato e che gli ha dedicato tempo e attenzione”.
Anche lo sport si è rivelato un importante terreno di integrazione. A S. piace molto giocare a calcio, da qui l’iscrizione in una squadra locale, con cui ha iniziato a disputare i primi tornei e che gli permette di allenarsi tre volte la settimana. Il giovane, però, vuole anche darsi da fare per gli altri. L’aiuto che ha ricevuto lo vuole restituire al prossimo, a cominciare da chi, dopo di lui, ha toccato il molo Favarolo, dopo giorni di mare e di sofferenza. Da qui la decisione di diventare volontario della Croce Rossa, grazie ad un corso che seguirà insieme a “Papà Lillo”. La distanza, certo, non attenua il legame affettivo con la propria casa. “Ogni settimana chiama i propri genitori, i quali sono contenti di saperlo sereno e affidato alle nostre cure”, sottolinea Lillo, orgoglioso dei progressi fatti dal minore. “Mamma Piera”, intanto, aspetta che il terzo figlio torni dagli allenamenti e prepara la cena per la famiglia. Annuisce ripensando ai piccoli grandi passi compiuti finora ed alle nuove sfide che li attendono. Anche la paura del mare se ne andrà con la stessa facilità con cui cambia il vento. Lo aspettano nuovi mari da solcare, non più da solo, ma con la sua nuova famiglia lampedusana. (Luca Insalaco)