Lampedusa – L’ennesima tragedia del mare arriva a Lampedusa come l’eco di un suono lontano, ovattato. I media hanno fatto passare il naufragio come consumatosi al largo dell’isola. Stavolta, però, ai lampedusani è stato evitato lo strazio di recuperare i cadaveri, di ricomporre le salme. Il lutto per le vittime del 3 ottobre non è stato ancora elaborato. La delusione per gli annunci dei rappresentati dell’Ue, ancora una volta traditi, non è stata digerita. “A sud di Lampedusa” non è più uno spazio geografico ben definito, è diventato ormai un luogo dell’anima, il posto in cui il dolore per chi si è inabissato e la speranza di quanti inseguono un sogno di riscatto si incontrano e si affratellano. Per il sociologo Ilvo Diamati la più grande delle Pelagie è divenuta un mito, rappresenta le Colonne d’Ercole del “nostro” tempo. Poco importa, quindi, che il nuovo naufragio sia avvenuto a 50 miglia dalle coste libiche e a ben 100 miglia da quelle lampedusane. Le distanze, come la fredda conta dei morti e dei superstiti, appartengono al mondo dei numeri e delle statistiche. Un barcone che affonda in acque italiane non è meno importante se si colloca il dramma in acque internazionali, oltre il muro invisibile che delimita gli spumosi confini del mare. Così almeno dovrebbe essere. Eppure, per pigrizia o per tornaconto, la notizia di un naufragio può trovare una localizzazione differente, per ragioni di audience o per lavarsi la coscienza. In campagna elettorale può anche servire per giocare a chi urla più forte all’indirizzo di un colpevole che, guarda caso, non corrisponde mai con la propria fazione.
Sull’isola l’assalto dei reporter è ormai un fenomeno conosciuto. I giornalisti non sempre hanno reso un buon servizio alla verità dei fatti e qualcuno di loro, nelle fasi più calde della cronica “emergenza”, si è sorbito più di qualche rimbrotto dagli isolani. Ecco perché ora si guarda con diffidenza a chi parla di “sbarchi” e di fantomatiche epidemie. I pensieri e le attività dei residenti sono rivolti alla stagione turistica ormai alle porte. Anche quest’anno l’Isola dei Conigli si è guadagnata il titolo di spiaggia più bella d’Europa. Nonostante questo le prenotazioni per il mese di maggio sono state al di sotto delle aspettative degli operatori del settore. In mezzo i problemi di sempre, i trasporti insufficienti, le infrastrutture che latitano, la sanità malferma. Gli specialisti che operano presso il poliambulatorio di contrada Grecale sono costretti a visitare i pazienti con la valigia in mano. Alcuni arrivano con il volo del mattino e ripartono con quello del pomeriggio. Ovvio che al loro ingresso nella struttura medica trovino una fila indicibile di persone che attendono una consulenza. Tre-quattro ore di servizio settimanale per rispondere alla domanda di sanità di cinquemila abitanti (senza contare migranti e turisti). Una miseria per una popolazione che non gode delle alternative sanitarie offerte dai privati. Ecco perché le iniziative sporadiche, come quelle organizzate recentemente dall’Asp (la tanto reclamizzata “Asp in piazza”) appaiono a tanti come fumo negli occhi. Un palliativo per un malato che invece avrebbe bisogno di una terapia d’urto. Anche questa è Lampedusa, Italia, Europa. (Luca Insalaco – Lampedusa)