19 Giugno 2022 –
Milano – Non si può essere integrati nella società in cui si vive senza avere un lavoro. Ogni processo inclusivo deve porsi l’ obiettivo dell’ occupazione, soprattutto quando riguarda uno straniero che è stato costretto a emigrare a causa di una guerra, una carestia o una persecuzione.
Ma nella maggior parte dei casi per avere un posto serve il “pezzo di carta” che attesta una qualifica o le competenze utili a svolgere un mestiere o una professione. In Italia, nel 2021, sono oltre 900 i rifugiati che hanno ottenuto il riconoscimento del loro titolo di studio. Il dato arriva dal Cimea (Centro di informazione su mobilità ed equivalenze accademiche) che ha preso in carico più di 1.300 richieste di valutazione di lauree e diplomi in possesso di soggetti con asilo politico nel nostro Paese. I documenti esteri sono stati esaminati per verificarne la «comparabilità » con il nostro sistema scolastico e universitario: chi ha ottenuto il riconoscimento potrà quindi proseguire gli studi in Italia o immettersi nel mercato del lavoro. «Siamo convinti che gli strumenti che abbiamo messo a disposizione possano incentivare l’ integrazione di persone che scappano da conflitti o persecuzioni e cercano di iniziare un nuovo percorso di vita nel nostro Paese» commenta Luca Lantero, direttore generale Cimea.
«Abbiamo notato che chi ha ottenuto l’ attestato non solo ha proseguito gli studi in Università o ha trovato un lavoro, ma si è sentito accolto anche nella nostra società: è proprio qui che sta l’ integrazione, che noi continueremo a promuovere e che trova nelle università italiane un luogo aperto al dialogo e di esempio per tutto il Paese». Dall’ inizio del conflitto in Ucraina, inoltre, il Cimea ha già ricevuto 41 richieste di riconoscimento di titoli.
Ma il nodo principale rimane quello del lavoro. Grazie al progetto Job Clinic Online di ItaliaHello, vincitore dell’ ultimo bando di Otb Foundation (un contributo di 200mila euro), 33 rifugiati hanno trovato un’ occupazione negli ultimi 4 mesi.
Si tratta di uno strumento digitale innovativo nato per facilitare l’ incontro tra domanda e offerta di lavoro e promuovere l’ integrazione socio-economica di migranti e stranieri tra i 18 e i 45 anni.
Da febbraio ad oggi sono stati inseriti nella piattaforma 314 curricula (25-30 ogni settimana) che sono stati incrociati con gli annunci di lavoro presentati dalle imprese (20 a settimana) e hanno portato a sostenere 94 colloqui, di cui 33 andati a buon fine (il 20% dei beneficiari sono donne). I profughi o richiedenti asilo hanno trovato un posto nella ristorazione (lavapiatti, aiuto cuoco), nel turismo (camerieri d’ albergo e receptionist), nello stoccaggio merci (magazzinieri), nella mediazione linguistico-culturale, nell’ assistenza familiare e domestica (pulizie, baby-sitter, colf e badanti) e nell’ edilizia (operai generici e carpentieri), 41 persone hanno invece frequentato i corsi di formazione professionale e di falegnameria. Organizzati anche 9 seminari formativi incentrati sul miglioramento delle proprie competenze nell’ ambito, ad esempio, della stesura del proprio curriculum o della conoscenza del mercato del lavoro in Italia.
Makan Keita, 23 anni, arrivato dal Mali quando era un minore non accompagnato racconta: «Mi sono sempre impegnato molto, ho cercato di studiare e imparare la lingua ma purtroppo non ho avuto molta fortuna all’ inizio e appena sono uscito dal percorso di accoglienza previsto per i minori, ho affrontato un periodo di grande difficoltà e isolamento, avevo bisogno di trovare un impiego per mantenermi ma anche per sentirmi attivo ». Ora Makan lavora nella cucina di un ristorante e può pagarsi una piccola camera in condivisione: all’ inizio viveva in strada. Rasemany, 49 anni, è originario del Burkina Faso: cercava una vita migliore e più sicura. Parla diverse lingue e dialetti locali, il che gli ha permesso di trovare un lavoro, attraverso Job Clinic, come mediatore linguistico-culturale presso la Croce Rossa. «Adesso non solo sono autonomo e non faccio più una vita da clochard – dice – ma svolgo un’ attività che mi permette di aiutare tante persone che si trovano nella mia stessa situazione». La sua è una storia di riscatto come quella di Iyobosa Ohenhen, nigeriano: «Dopo aver fatto vari lavori, tra cui il mediatore culturale ho trovato lavoro per un’ impresa edile come elettricista-idraulico». I titolari dell’ azienda, notando il suo entusiasmo, ne hanno favorito l’ aggiornamento professionale: «Ho un buon stipendio e sono molto contento» commenta. L’ impresa sta cercando falegnami e Yiobosa ha segnalato l’ opportunità attraverso Job Clinic indicando due persone con esperienza in questo lavoro nel loro Paese: ora stanno partecipando a un corso di formazione presso una realtà del network. A breve avranno un colloquio. È la loro chance.
RIPRODUZIONE RISERVATA Cimea: nel 2021 sono stati 900 i rifugiati che in Italia hanno ottenuto il riconoscimento del diploma. E con Job Clinic in 33 hanno trovato un’ occupazione Iyobosa Ohenhen. (Fulvio Fulvi – Avvenire)
Ma nella maggior parte dei casi per avere un posto serve il “pezzo di carta” che attesta una qualifica o le competenze utili a svolgere un mestiere o una professione. In Italia, nel 2021, sono oltre 900 i rifugiati che hanno ottenuto il riconoscimento del loro titolo di studio. Il dato arriva dal Cimea (Centro di informazione su mobilità ed equivalenze accademiche) che ha preso in carico più di 1.300 richieste di valutazione di lauree e diplomi in possesso di soggetti con asilo politico nel nostro Paese. I documenti esteri sono stati esaminati per verificarne la «comparabilità » con il nostro sistema scolastico e universitario: chi ha ottenuto il riconoscimento potrà quindi proseguire gli studi in Italia o immettersi nel mercato del lavoro. «Siamo convinti che gli strumenti che abbiamo messo a disposizione possano incentivare l’ integrazione di persone che scappano da conflitti o persecuzioni e cercano di iniziare un nuovo percorso di vita nel nostro Paese» commenta Luca Lantero, direttore generale Cimea.
«Abbiamo notato che chi ha ottenuto l’ attestato non solo ha proseguito gli studi in Università o ha trovato un lavoro, ma si è sentito accolto anche nella nostra società: è proprio qui che sta l’ integrazione, che noi continueremo a promuovere e che trova nelle università italiane un luogo aperto al dialogo e di esempio per tutto il Paese». Dall’ inizio del conflitto in Ucraina, inoltre, il Cimea ha già ricevuto 41 richieste di riconoscimento di titoli.
Ma il nodo principale rimane quello del lavoro. Grazie al progetto Job Clinic Online di ItaliaHello, vincitore dell’ ultimo bando di Otb Foundation (un contributo di 200mila euro), 33 rifugiati hanno trovato un’ occupazione negli ultimi 4 mesi.
Si tratta di uno strumento digitale innovativo nato per facilitare l’ incontro tra domanda e offerta di lavoro e promuovere l’ integrazione socio-economica di migranti e stranieri tra i 18 e i 45 anni.
Da febbraio ad oggi sono stati inseriti nella piattaforma 314 curricula (25-30 ogni settimana) che sono stati incrociati con gli annunci di lavoro presentati dalle imprese (20 a settimana) e hanno portato a sostenere 94 colloqui, di cui 33 andati a buon fine (il 20% dei beneficiari sono donne). I profughi o richiedenti asilo hanno trovato un posto nella ristorazione (lavapiatti, aiuto cuoco), nel turismo (camerieri d’ albergo e receptionist), nello stoccaggio merci (magazzinieri), nella mediazione linguistico-culturale, nell’ assistenza familiare e domestica (pulizie, baby-sitter, colf e badanti) e nell’ edilizia (operai generici e carpentieri), 41 persone hanno invece frequentato i corsi di formazione professionale e di falegnameria. Organizzati anche 9 seminari formativi incentrati sul miglioramento delle proprie competenze nell’ ambito, ad esempio, della stesura del proprio curriculum o della conoscenza del mercato del lavoro in Italia.
Makan Keita, 23 anni, arrivato dal Mali quando era un minore non accompagnato racconta: «Mi sono sempre impegnato molto, ho cercato di studiare e imparare la lingua ma purtroppo non ho avuto molta fortuna all’ inizio e appena sono uscito dal percorso di accoglienza previsto per i minori, ho affrontato un periodo di grande difficoltà e isolamento, avevo bisogno di trovare un impiego per mantenermi ma anche per sentirmi attivo ». Ora Makan lavora nella cucina di un ristorante e può pagarsi una piccola camera in condivisione: all’ inizio viveva in strada. Rasemany, 49 anni, è originario del Burkina Faso: cercava una vita migliore e più sicura. Parla diverse lingue e dialetti locali, il che gli ha permesso di trovare un lavoro, attraverso Job Clinic, come mediatore linguistico-culturale presso la Croce Rossa. «Adesso non solo sono autonomo e non faccio più una vita da clochard – dice – ma svolgo un’ attività che mi permette di aiutare tante persone che si trovano nella mia stessa situazione». La sua è una storia di riscatto come quella di Iyobosa Ohenhen, nigeriano: «Dopo aver fatto vari lavori, tra cui il mediatore culturale ho trovato lavoro per un’ impresa edile come elettricista-idraulico». I titolari dell’ azienda, notando il suo entusiasmo, ne hanno favorito l’ aggiornamento professionale: «Ho un buon stipendio e sono molto contento» commenta. L’ impresa sta cercando falegnami e Yiobosa ha segnalato l’ opportunità attraverso Job Clinic indicando due persone con esperienza in questo lavoro nel loro Paese: ora stanno partecipando a un corso di formazione presso una realtà del network. A breve avranno un colloquio. È la loro chance.
RIPRODUZIONE RISERVATA Cimea: nel 2021 sono stati 900 i rifugiati che in Italia hanno ottenuto il riconoscimento del diploma. E con Job Clinic in 33 hanno trovato un’ occupazione Iyobosa Ohenhen. (Fulvio Fulvi – Avvenire)