13 Settembre 2021 – Città del Vaticano – C’è la storia d’Ungheria nella piazza dove Papa Francesco celebra la conclusione del 52mo Congresso eucaristico internazionale, prima di raggiungere la Slovacchia, trentaquattresimo viaggio internazionale. Il monumento ricorda, nelle statue lungo il colonnato, i sette capi tribù che hanno dato vita alla nazione ungherese, i cinque membri della dinastia degli Asburgo; su quella piazza nel giugno del 1989 si è svolta una cerimonia per commemorare Imre Nagy, ucciso nel 1958 dalla repressione sovietica. Sempre su questa piazza Giovanni Paolo II, al termine della celebrazione per la festa di Santo Stefano patrono d’Ungheria, rivolse un appello per la liberazione del segretario generale del Pcus, Michail Gorbaciov, recluso in una località segreta dopo un tentativo di colpo di stato. Il Papa chiedeva di non fermare il processo iniziato da Gorbaciov.
Su questa piazza papa Francesco parla all’Europa, in un tempo difficile, per il vecchio continente. Parla della croce e, citando l’inno del Congresso eucaristico, si rivolge così agli ungheresi: “per mille anni la croce fu colonna della tua salvezza, anche ora il segno di Cristo sia per te la promessa di un futuro migliore”. La croce come “ponte tra il passato e il futuro”; invito a “radicarci bene”; croce che “innalza ed estende le sue braccia verso tutti: esorta a mantenere salde le radici, ma senza arroccamenti; a attingere alle sorgenti, aprendoci agli assetati del nostro tempo. L’augurio di Francesco: “che siate così: fondati e aperti, radicati e rispettosi”. Parole che esprimono accoglienza, attenzione all’altro, nella nazione che ha come primo ministro Viktor Orbàn capofila del sovranismo, fautore di politiche, soprattutto in materia di accoglienza, certo non in sintonia con le idee del Papa, oltre che dell’Europa comunitaria. Ancora, incontrando i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese – c’è anche il patriarca ortodosso Bartolomeo – delle comunità ebraiche, decimate dall’odio nazista, Francesco evoca “la minaccia dell’antisemitismo, che ancora serpeggia in Europa e altrove. È una miccia che va spenta. Ma il miglior modo per disinnescarla è lavorare in positivo insieme, è promuovere la fraternità”.
Angelus davanti a centomila persone, invito a seguire “la logica di Dio” che non è ricerca del successo personale, ma servizio agli altri, è lasciare che Gesù “risani le nostre chiusure e ci apra alla condivisione, ci guarisca dalle rigidità e dal ripiegamento su noi stessi”, è seguire la croce che “estende le sue braccia verso tutti”. Cristo “pane spezzato” che “si lascia spezzare, distribuire, mangiare”. Per salvarci “si fa servo; per darci vita, muore”. Angelus nella domenica in cui il Vangelo ci descrive l’inizio del cammino di Gesù da Cesarea di Filippo, nell’estremo nord del territorio della Palestina, verso Gerusalemme, il luogo del compimento delle scritture; un pellegrinaggio che, per la prima volta, annuncia segnato da sofferenze, morte, rifiuto, il venerdì seguito dalla domenica di resurrezione. Marco ci racconta la reazione di Pietro, tipicamente umana: quando si profila la croce, la prospettiva del dolore, l’uomo si ribella. E Pietro, dopo aver confessato la messianicità di Gesù, si scandalizza delle parole del Maestro e tenta di dissuaderlo dal procedere sulla sua via. La croce non è mai di moda, ma “guarisce dentro”. È davanti al Crocifisso che sperimentiamo una benefica lotta interiore, l’aspro conflitto tra il “pensare secondo Dio” e il “pensare secondo gli uomini”. Da un lato, c’è la logica di Dio, che è quella dell’amore umile. La via di Dio rifugge da ogni imposizione, ostentazione, da ogni trionfalismo, è sempre protesa al bene altrui, fino al sacrificio di sé. Dall’altro lato c’è il “pensare secondo gli uomini”: è la logica del mondo, della mondanità, attaccata all’onore e ai privilegi, rivolta al prestigio e al successo.
La differenza, per Francesco, “non è tra chi è religioso e chi no”, ma “tra il vero Dio e il dio del nostro io. Quanto è distante colui che regna in silenzio sulla croce dal falso dio che vorremmo regnasse con la forza e riducesse al silenzio i nostri nemici! Quanto è diverso Cristo, che si propone solo con amore, dai messia potenti e vincenti adulati dal mondo!”. Gesù scuote le “nostre chiusure”, ci apre “alla condivisione”, guarisce le nostre rigidità. (Fabio Zavattaro – Sir)