27 Ottobre 2020 – Roma – La storia del Rapporto Italiani nel Mondo (RIM) è iniziata nel 2006. Mentre l’opinione pubblica era concentrata sugli arrivi nel nostro Paese, la Fondazione Migrantes, grazie all’intuizione dell’allora direttore generale mons. Luigi Petris e del direttore dell’Ufficio per la Pastorale degli italiani nel Mondo, don Domenico Locatelli, ebbe l’idea di raccontare l’Italia che era partita per il mondo, o che non aveva mai smesso di farlo.
In 15 anni il RIM – la cui edizione 2020 è stata presentata questa mattina – ha fotografato un fenomeno con un incremento paragonabile a quello registrato nel Secondo Dopoguerra.
Se nel 2006 gli italiani regolarmente iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) erano 3.106.251, nel 2020 hanno raggiunto quasi i 5,5 milioni: in quindici anni la mobilità italiana è aumentata del +76,6%.
Una crescita ininterrotta che ha visto sempre più assottigliarsi la differenza di genere (le donne sono passate dal 46,2% sul totale iscritti 2006 al 48,0% del 2020). Si tratta di una collettività che, rispetto al 2006, si sta ringiovanendo grazie alle nascite all’estero (+150,1%) e alla nuova mobilità costituita sia da nuclei familiari con minori al seguito (+84,3% della classe di età 0-18 anni) sia dai giovani e giovani adulti immediatamente e pienamente da inserire nel mercato del lavoro (+78,4% di aumento rispetto al 2006 nella classe 19-40 anni).
Nel 2019 (gennaio-dicembre) hanno lasciato l’Italia ufficialmente 131 mila cittadini verso 186 destinazioni del mondo da ogni provincia italiana.
Complessivamente, le nuove iscrizioni all’Aire nel 2019 sono state 257.812 (di cui il 50,8% per espatrio, il 35,5% per nascita, il 3,6% per acquisizione cittadinanza).
Negli ultimi 15 anni (2006-2020) la presenza italiana all’estero si è consacrata euroamericana, ma con una differenza sostanziale.
Il continente americano, soprattutto l’area latino-americana è cresciuta grazie alle acquisizioni di cittadinanza (+123,4% dal 2006) coinvolgendo soprattutto il Brasile (+221,3%), il Cile (+123,1%), l’Argentina (+114,9%) e, solo in parte in quanto la crisi è sicuramente più recente, il Venezuela (+47,4%). Oltre il 70% (+793.876) delle iscrizioni totali avute in America dal 2006 ha riguardato soltanto l’Argentina (+464.670) e il Brasile (+329.206).
L’Europa, invece, negli ultimi quindici anni, è cresciuta maggiormente grazie alla nuova mobilità (+1.119.432, per un totale, a inizio 2020, di quasi 3 milioni di residenti totali). A dimostrarlo gli aumenti registrati nelle specifiche realtà nazionali. Se, però, i valori assoluti fanno risaltare i paesi di vecchia mobilità come la Germania (oltre 252 mila nuove iscrizioni), il Regno Unito (quasi 215 mila), la Svizzera (più di 174 mila), la Francia (quasi 109 mila) e il Belgio (circa 59 mila), sono gli aumenti in percentuale, rispetto al 2006, a far emergere le novità più interessanti. Per questi stessi paesi, infatti, si riscontrano le seguenti indicazioni: Germania (+47,2%), Svizzera (+38,0%), Francia (+33,4%) e Belgio (+27,3%). Per il Regno Unito, invece, e soprattutto per la Spagna, gli aumenti sono stati molto più consistenti, rispettivamente +147,9% e +242,1%. Le crescite più significative, comunque, dal 2006 al 2020, restando in Europa, caratterizzano paesi che è possibile definire “nuove frontiere” della mobilità: Malta (+632,8%), Portogallo (+399,4%), Irlanda (+332,1%), Norvegia (+277,9%) e Finlandia (+206,2%). In generale, però, lo sguardo degli italiani si è spostato anche a Oriente, più precisamente agli Emirati Arabi o alla Cina.
Se nel 2006, stando ai dati ISTAT, il 68,4% dei residenti ufficiali all’estero aveva un titolo di studio basso – licenza media o elementare o addirittura nessun titolo – il 31,6% era in possesso di un titolo medio alto (diploma, laurea o dottorato).
Dal 2006 al 2018 si assiste alla crescita in formazione e scolarizzazione della popolazione italiana residente oltreconfine: nel 2018, infatti, il 29,4% è laureato o dottorato e il 29,5% è diplomato mentre il 41,5% è ancora in possesso di un titolo di studio basso o non ha titolo. Se, però, rispetto al 2006 la percentuale di chi si è spostato all’estero con titolo alto (laurea o dottorato) è cresciuta del +193,3%, per chi lo ha fatto con in tasca un diploma l’aumento è stato di ben 100 punti decimali in più (+292,5%).
Viene così svelato un costante errore nella narrazione della mobilità recente raccontata come quasi esclusivamente composta da altamente qualificati occupati in nicchie di lavoro prestigiose e specialistiche quando, invece, a crescere sempre più è la componente “dei diplomati” alla ricerca all’estero di lavori generici.