15 Ottobre 2020 – Roma – Ci si occupa di dargli cibo e un tetto. Ma a volte si trascurano gli aspetti psicologici di chi arriva sulle nostre coste. Così, ad esempio, a Lampedusa c’è un progetto che si occupa di questo. Come pure la formazione professionale di chi arriva attraverso la rotta balcanica ad Udine. O ancora i laboratori agricoli con i lavoratori nei ghetti del metapontino, l’assistenza ai minori e la promozione culturale delle donne rom in Albania. Sono queste alcune delle 130 esperienze della Campagna ‘Liberi di partire, liberi di restare’, ma più di tante spiegazioni parlano i gesti. “Il risultato più bello è vedere adesso i nostri giovani che lavorano nei campi invitati alle cene dai colleghi, oppure le ragazze strappate alla tratta che vivono in parrocchia invitate a pranzo la domenica anche dai parrocchiani più scettici all’inizio”. Don Antonio Polidoro, direttore dell’ufficio Migrantes di Matera, racconta del ghetto di 500 persone che si era creato anche a seguito dei decreti sicurezza. Da lì il progetto con cui si è cercato di integrare molti di loro nella raccolta delle fragole.
Parla invece delle “ferite invisibili” che cerca di curare con il progetto portato avanti sull’isola porta d’Europa Germano Garatto, coordinatore Re-agire con i migranti onlus, “dell’amarezza di un continente che non si aspettavano così, della consapevolezza di quanto le famiglie d’origine hanno riposto anche economicamente nella loro partenza, del loro sentirsi in retrocessione sociale, non liberi in quella che consideravano patria di diritti”. A Udine è stato attivato invece il progetto “Liberi di stare bene”, dove l’accoglienza si fa attraverso i laboratori di cucina, sartoria e falegnameria. “Consideriamo l’accoglienza una forma di resistenza culturale – ha spiegato il vice direttore Caritas Paolo Zenarolla – le nostre comunità vengono alimentate dalla cultura del rifiuto”. In Albania, invece, grazie a borse di studio alcune ragazze sono riuscite a laurearsi e si cerca di aiutare i giovani a non andare via. “Gli scafisti si stanno riorganizzando, siamo preoccupati – ha ammesso padre Antonio Leuci, direttore di Caritas Albania – Mentre tutti vanno via, noi Chiesa restiamo a lottare e soffrire con il popolo». E ci sono ancora tanti progetti in corso. “Speriamo di aver contribuito ad innescare prassi virtuose – la conclusione di Don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo –. Far percepire i migranti come fratelli e non come nemici”. (Alessia Guerrieri – Avvenire)