La sorpresa dei volontari stranieri: “Noi, al servizio di chi ci ha accolti”

12 Giugno 2020 –

Milano – Cronache di una piccola rivoluzione, quella del volontariato degli stranieri in Italia. Quella compiuta negli ultimi 25 anni dagli immigrati, che perlopiù sono regolari (circa 5,8 milioni) e continuano a integrarsi, ad acquisire la cittadinanza a ritmo sostenuto (nonostante i limiti della legge del 1992) e svolgono attività solidali per restituire quanto ricevuto nei confronti della comunità che li ha accolti. A impegnarsi in queste attività per il bene comune, sono soprattutto donne giovani e con un alto livello di istruzione.

Uno studio che verrà pubblicato il 22 giugno dimostra per la prima volta che sta aumentando il numero delle persone straniere regolarmente residenti nel Belpaese e impegnate a titolo gratuito nelle associazioni. La prima ricerca nazionale sull’argomento, che stravolge tutti gli stereotipi imperanti nei media e nei social che contribuiscono a metterci stabilmente all’ultimo posto (secondo Ipsos–Ocse) nella classifica dei più disinformati in materia nel mondo occidentale, si intitola “Volontari inattesi. L’impegno sociale delle persone di origine immigrata” (Erickson), promossa da Csvnet e realizzata dal Centro studi Medì di Genova. Gli autori sono il sociologo Maurizio Ambrosini, docente della facoltà di Scienze politiche alla Statale di Milano, da anni esperto di migrazioni e membro del Cnel, e Deborah Erminio (Università di Genova, Centro Medì). Ha collaborato la rete dei Centri di servizio per il volontariato raccogliendo dati at- traverso centinaia di questionari e interviste. L’immagine assistenziale dei migranti, visti solo come destinatari di accoglienza e aiuto, viene ribaltata. Un gran numero si impegna nelle forme più disparate di solidarietà a favore degli italiani. Ambrosini, Erminio e il Centro Medi hanno utilizzato 658 questionari e più di 100 interviste, effettuate in 163 città italiane a immigrati volontari residenti stabilmente e provenienti da 80 Paesi. Le loro esperienze sono avvenute in cinque grandi reti nazionali del non profit (Avis, Aido, Fai, Misericordie, Touring Club) che li hanno coinvolti nelle loro attività. La prima nota di rilievo è che il 52 % dei volontari immigrati è donna; il 42% ha un’età media tra 20 e 35 anni. Vivono in Italia da circa 15 anni e il 4% è nato nel nostro Paese. Il 42 % è cittadino italiano, 6 su 10 lavorano, il 41 % è laureato mentre i diplomati si attestano al 36. Più della metà dei volontari di origine straniera s’impegna con una media di circa 6 anni di attivismo. I più saltuari rappresentano un quarto circa del campione, con un’esperienza di volontariato di circa 3–4 anni. Si tratta soprattutto di casalinghe oppure persone che lavorano in modo occasionale o che hanno un impiego part–time.

L’associazione nella quale svolgere attività si trova perlopiù con il passaparola, mentre nei campi di impegno al primo posto si collocano le attività culturali anche a sfondo sociale come la promozione del patrimonio, l’organizzazione di mostre e visite guidate ma anche progetti educativi con bambini e ragazzi in doposcuola o sostegno scolastico. Seguono le iniziative ricreative e di socializzazione – feste, eventi, sagre – insieme ai servizi di assistenza sociale negli sportelli di accoglienza e ascolto, mensa sociale, distribuzione di vestiario o di pacchi alimentari. Sono molto coinvolti inoltre negli empori solidali delle Caritas diocesane, dove persone e famiglie in difficoltà economica possono fare la spesa gratuitamente. Secondo il primo rapporto Caritas Italiana e Csvnet del dicembre 2018, i volontari stranieri sono presenti in un terzo dei quasi 200 empori con una media di quattro unità per servizio. Lo si è visto, del resto, in questi mesi di emergenza alimentare per i più poveri dovuti alla pandemia. L’impegno individuale – senza far parte di un gruppo o associazione – riguarda un quarto dei volontari immigrati, stessa percentuale di chi sceglie di fare volontariato più strutturato.

La metà non aveva mai fatto attività spontanee e gratuite per la comunità nel proprio paese di origine e in Italia ha fatto la sua prima esperienza. Le motivazioni? La causa per cui opera l’associazione, seguita dalla possibilità di svolgere attività con gli amici, oltre alla possibilità di incontrare altre persone. Ora è tempo di accorgersi che la società è cambiata e va cambiata la narrazione per adeguarsi alla nuova realtà cresciuta in silenzio. E chissà che con un racconto nuovo degli stranieri che sono autentiche risorse, non si inizi a contrastare l’odio, il razzismo e la xenofobia. (Paolo Lambruschi – Avvenire)

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