Firenze – I problemi legati alla immigrazione sono “ricondotti ad aspetti di ordine pubblico, mentre sono umani, molto umani”. Le migrazioni, infatti, “non sono un fatto congiunturale”, ma “strutturale” ad ogni società, sempre più multietnica e multiculturale, per cui “sono un fattore irreversibile di ogni società e di ogni civiltà”.
E’ quanto ha detto questa mattina mons. Bruno Schettino, presidente della Commissione per le Migrazioni della Cei (Cemi) e della Fondazione Migrantes, intervenendo al convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita che si è aperto ieri pomeriggio – fino a domani 6 novembre – a Firenze sul tema “Nessuna vita ci è straniera”.
Mons. Schettino, trattando il tema “Essere madri in terra straniera” ha sottolineato l’importanza della famiglia che “può metabolizzare il problema e potrà essere fattore di sviluppo contro ogni forma di condizionamenti sociali o degradi” ma anche l’importanza dell’accoglienza e della integrazione di carattere “sistemico e strutturale, che parta dal riconoscimento della risorsa degli immigrati non solo per la nostra economia, ma anche per la costruzione di solidi e positivi legami sociali”. Da qui l’importanza del ricongiungimento familiare, per “la costruzione – ha detto il presule – di un progetto di vita radicato e duraturo. Questo rende un valido servizio per la costruzione di legami sociali, nell’ambito della stessa società e nella famiglia”.
“In questi ultimi tempi – ha spiegato il presidente della Cemi – si è pervenuti a situazioni di immigrazione dell’intero nucleo familiare. Ormai si può affermare che vi è una parità numerica di maschi e femmine”: la stima, in Italia, delle collaboratrici domestiche è più di un milione, una presenza ormai “assolutamente indispensabile” per le famiglie, specie dove vi sono minori, anziani e malati. Citando poi alcuni dati mons. Schettino ha detto che gli immigrati sono più giovani e la fecondità è “notevolmente più alta tra le donne straniere con un valore di 2, 4 figli rispetto a 1, 25 tra le donne italiane. Negli ultimi 10 anni la nascita di bambini stranieri ha fatto registrare un fortissimo incremento, passando da poco più di 9 mila nati del 1995 a 57 mila nel 2006 e così a questa data i minori stranieri sono diventati 586.000 con un’incidenza del quinto sulla popolazione straniera, quasi quattro punti percentuali più di quanto avvenga tra gli italiani, e questo come effetto delle nuove nascite e dei ricongiungimenti familiari”. Per la donna i “percorsi migratori” sono due: il primo è legato al ruolo di madre di famiglia e quindi legato al ricongiungimento familiare, mentre il secondo – ha spiegato il relatore – è legato al lavoro, in particolare all’ambiente familiare come collaboratrici. Queste persone “affrontano una vita molto impegnativa”, ha aggiunto. Nella realizzazione della loro affettività le donne divorziate sono il 2, 5 %, le separate lo 0, 4 e le vedove il 2, 9%. Un terzo delle interruzioni di gravidanza è a loro addebitabile. Su poco più di 100.000 aborti le donne straniere incidono per il 30 %. Uno dei problemi, poi, citati dal presule è quello della prostituzione di donne straniere: sono circa 50 mila. “Solo una parte – ha spiegato – è reclutata con violenza, la maggior parte viene raggirata, complice la vita di stenti, che si vuole abbandonare. È difficile uscire dal giro della prostituzione sia per la sudditanza psicologica che per le minacce nei loro confronti o dei loro parenti. Vi sono quelle che riescono a liberarsi, denunciando gli sfruttatori, rendendosi disponibili a seguire i percorsi di reinserimento previsti dalla legge”. In questo panorama per mons. Schettino un capitolo “più triste e drammatico” è quello sulla condizione della popolazione carceraria femminile che, “seppur di molto inferiore a quella maschile, rappresenta una realtà in forte crescita soprattutto per reati relativi alla prostituzione, alla droga, allo spaccio e al traffico di sostanze stupefacenti e per sanzioni legate alla legge sugli stranieri”. La situazione nella quale vivono le donne straniere detenute, spesso madri nubili minorenni, donne che hanno subito violenze, etc, “impone, nell’ambito di azione a favore delle pari opportunità di genere e dei diritti delle persone, di programmare adeguate soluzioni che permettono la piena e completa re-immissione nel circuito sociale”. Da qui l’importanza delle misure dell’affidamento in prova al servizio sociale che consente al condannato di usufruire di maggiore libertà, con l’unico vincolo di rientrare al domicilio entro un orario predeterminato, detenzione domiciliare, semilibertà. Misure che “possono “incidere concretamente sulle politiche di reinserimento sociale e lavorativo delle donne immigrate attraverso l’offerta di un contesto abitativo come recupero e sviluppo delle proprie potenzialità relazionali; la ricostruzione di un proprio contesto di appartenenza e raggiungimento di una propria autonomia; l’offerta di un luogo di incontro e confronto tra soggetti appartenenti a culture ed etnie diverse; la sensibilizzazione del territorio diocesano. Il tutto nella convenzione – ha affermato il presidente della Cemi – che al centro dell’attenzione va posta la persona con i suoi disagi, ma anche con le sue ricchezze, e non il ‘problema’ che può rappresentare per la società”.
Tra i problemi delle donne straniere in Italia, citate da mons. Schettino, l’inserimento per nuclei disgregati: una parte della famiglia vive in Italia, un’altra parte nel Paese estero di provenienza. È il modello della “famiglia transnazionale” che vede gli adulti stabilirsi in paesi diversi rispetto ai figli e “le relazioni vengono mantenute vive a distanza con conseguenze disastrose, specialmente per i minori”. La sofferenza di queste famiglie è molto forte sia per le donne che sono vivono nel nostro Paese che per i figli lontani che “soffrono il distacco e la sofferenza di non vedere la madre. Anche essi entrano nella solitudine e nella sofferenza interiore. Anche le lettere, le fotografie, l’ascolto della viva voce attraverso i cellulari – ha spiegato mons. Schettino – non ripagano tante volte il vuoto della solitudine e della lontananza”.
“Le migrazioni – ha concluso – sono il problema che tocca ogni società ed ogni comunità umana. È la speranza e la sofferenza di tempi nuovi. La sofferenza perché ogni distacco è amaro, sa di sofferenza che tocca l’anima, le abitudini, la propria privatezza, la propria identità. Sa di speranza, perché dopo il tempo della prova e dell’abbandono il sole sorride ancora oltre le nuvole e dà un segno di pace per un nuovo avvenire, per un nuovo umanesimo, più vero, più fecondo, perché la speranza trovi sempre la certezza, oltre il senso caduco della vita”.