Mons. Palmieri: Roma “non perde l’appuntamento che il Signore  le dà per farsi incontrare nel povero e nell’ammalato”

9 Aprile 2020 – Roma – Da alcuni giorni a Roma è operativo un “Progetto per la fornitura straordinaria di generi di prima necessità per le famiglie dei campi e degli insediamenti rom”. Saranno coinvolti circa 500 famiglie che in questo periodo di pandemia stanno vivendo grossi difficoltà. L’iniziativa è della diocesi di Roma attraverso l’Ufficio Migrantes e Caritas diocesano, alcune parrocchie ed associazioni di volontariato.

Ne abbiamo parlato con il vescovo ausiliare di Roma e delegato per la Carità e la pastorale Migrantes, mons. Gianpiero Palmieri.

Mons. Palmieri, come legge la situazione che stiamo vivendo?

“Viviamo a Roma e nel Lazio  una situazione particolarmente difficile, legata al fatto che molti migranti e rifugiati politici si trovavano già, ancor prima del diffondersi del Coronavirus, nella condizione precaria di non avere un luogo in cui abitare. Le leggi restrittive approvate dal precedente Governo, con le quali si rendeva difficile se non impossibile il rinnovo del permesso di soggiorno, visto il venir meno dei motivi umanitari, hanno spinto molte persone negli alloggi di fortuna o ad ingrossare le fila dei senza fissa dimora. E’ ovvio che queste persone più di altre ora si trovano esposte al pericolo del contagio; alla precarietà sanitaria e alloggiativa si aggiunge per di più l’emergenza fame: le mense che abitualmente erano sufficienti per erogare pasti a chi ne aveva bisogno, non riescono più a soddisfare una domanda enormemente cresciuta. Quindi la situazione è critica da ogni punto di vista. E’ della cronaca degli ultimi giorni il racconto di due fatti avvenuti a Roma, fatti emblematici del pericolo che può scoppiare in ogni momento negli insediamenti in cui vivono immigrati o rifugiati politici. Il primo a Torre Maura, nella palazzina che ospita il centro di accoglienza per 150 extracomunitari (dove un anno fa si scatenò la protesta anti-rom) mercoledì 1 aprile è stato portato via e trasferito in ospedale un ospite perché affetto da coronavirus: è scattata la chiusura totale dell’edificio, il presidio della Polizia, le grida di paura dei vicini alle finestre e il panico tra gli ospiti, fino al tentativo di suicidio di uno di loro. L’altro episodio è scoppiato nel ‘Selam Palace’ della Romanina, dove dal 2006 vivono 600 rifugiati: una coppia somala contagiata ha provocato la chiusura totale dell’edificio ora presidiato dall’Esercito. In questi due casi l’intervento di screaning sanitario degli abitanti del palazzo è stato immediato; ma ciò che spesso manca in questi grandi luoghi di aggregazione è la prevenzione, la verifica che le indicazioni sanitarie vengano capite ed osservate per il bene di tutti. Direi quindi in conclusione, per rispondere a questa domanda, che l’emergenza coronavirus sta riportando all’attenzione di tutti il problema drammatico di chi è più povero, di chi è costretto a vivere accalcato con altri in strutture non idonee o per strada… Se davvero ‘stiamo sulla stessa barca’ e se possiamo ‘uscirne fuori solo insieme’, evitare il diffondersi del contagio significa ora affrontare un problema troppo a lungo risolto con ‘soluzioni temporanee’ o con nessuna soluzione…”.

A causa di questa pandemia si cominciano a “sentire problemi economici”, come ha denunciato Papa Francesco. Come rispondere guardando soprattutto “gli ultimi degli ultimi” come sono i migranti e i rom?

“Credo che grande sia stato lo sforzo per intervenire d’urgenza sul problema economico, soprattutto alimentare. Il Governo italiano, la Regione e il Comune di Roma hanno cercato di elaborare in tempi rapidissimi piani di intervento d’emergenza. Anche la Chiesa e le realtà del Terzo Settore stanno dando il loro significativo contributo. Lo scopo è quello di raggiungere tutti, soprattutto chi non è intercettato dai servizi sociali. In questo le Caritas parrocchiali e le diverse realtà ecclesiali hanno un ruolo fondamentale. Sta succedendo un doppio miracolo: non solo la ‘macchina della solidarietà’ nella comunità cristiana e in tutta la società civile si è mossa anche stavolta, ma si sta anche cercando ai vari livelli di collaborare tra tutti, di non fare da soli. A Roma, per venire incontro al problema alimentare nei campi Rom, si sta realizzando una distribuzione massiccia, fatta nei villaggi attrezzati e negli insediamenti informali, mettendo insieme le risorse di viveri e di volontari di tante realtà: Caritas, Comunità di Sant’Egidio, Migrantes, parrocchie e tanti altri soggetti ecclesiali, in collaborazione con il Comune di Roma, la Polizia Municipale, la Croce Rossa, le ACLI e l’Associazione 21 Luglio. Siamo ‘costretti’ a metterci insieme e cosi…scopriamo che non è poi troppo male, anzi: ancora più chiaramente si realizza il regno di Dio  nel segno della comunione”.

Per evitare il contagio cosa si sta facendo soprattutto per i profughi, per i migranti senza fissa dimora e per i rom che  vivono nei campi?

“Mi piacerebbe essere smentito, ma a me sembra (parlo soprattutto di Roma, che conosco meglio) che ci si stia muovendo solo adesso sull’aspetto sanitario… Francamente mi sembra che sia un po’ tardi, ma, come si dice, meglio tardi che mai! Ringrazio in modo particolare l’Ospedale Bambino Gesù per il lavoro volontario di controllo sanitario sui bambini dei grandi campi Rom di Roma: è un servizio che si fa sempre, tutto l’anno a cadenza settimanale, e che quindi si è rivelato particolarmente prezioso in questa situazione

Come sta reagendo la città a questa emergenza senza precedenti?

“Amo molto questa Roma coraggiosa, solidale, generosa, che emerge con forza in queste situazioni. E’ nel cuore di tutti la scena di venerdì scorso, 27 marzo, quando il Papa attraversa la piazza vuota, la città ‘dal silenzio assordante’, ma che mai come in questo momento è compatta con il suo Vescovo e per di più unita, attraverso il segno della malattia del Cardinale Vicario, a tutti i ricoverati negli ospedali… Non so di quanti anni bisogna ritornare indietro per sentire un silenzio nella città così carico e profondo come quello che abbiamo ‘ascoltato’. Come nei giorni del funerale di Giovanni Paolo II, quando gli autisti degli autobus moltiplicavano le corse senza voler aumenti di stipendio, così oggi i tassisti, quando fanno un servizio ad un medico o ad un infermiere che va allo Spallanzani o ad uno degli altri centri ospedalieri per coronavirus , non vogliono essere pagati. Ho ascoltato già qualche volta questo racconto… E’ la Roma che ‘non fa la stupida’ ma che non perde il suo appuntamento con la storia, l’appuntamento che il Signore  le dà per farsi incontrare nel povero e nell’ammalato”.

Raffaele Iaria

 

 

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