Gioia Tauro – Alle 18,15 di ieri, diciassette novembre 2011, è finita bene una vicenda, triste e dolorosa, durata undici mesi e mezzo: la MV TIGER ha lasciato il Porto di Gioia Tauro e con essa anche l’equipaggio che finalmente, dopo tutto questo tempo, rientrerà a casa e potrà riabbracciare i propri cari.
Tutto è iniziato i primi di dicembre dell’anno scorso, per problemi alla pompa, la nave non era riuscita a scaricare tutto il cemento dalla stiva ai silos. Tanti i tentativi messi in atto dall’Agenzia in accordo con l’Armatore per risolvere il problema, ma nessuno di essi ha raggiunto lo scopo. Parte del carico è rimasto nella stiva della nave e con esso anche la speranza dell’equipaggio di riprendere la navigazione. Come succede di solito in questi casi, i problemi si tramutano in costi elevati, e quando essi non sono onorati dall’Armatore, inizia la complessa procedura legale che a volte si protrae per lunghi anni e non sempre arriva a buon termine. Semplificando al massimo abbiamo un’Agenzia che vanta dei crediti e l’Armatore che tenta di pagare il meno possibile. Tra i due litiganti il terzo gode, si dice, ma nel nostro caso il terzo, cioè l’equipaggio, ha subito e pagato amaramente.
Come Stella Maris siamo stati coinvolti fin dall’inizio e cioè dalla sera del 17 dicembre dello scorso anno fino all’ultima telefonata di ieri sera con la quale uno dei marittimi, con voce commossa ci ha detto: “Stiamo partendo!”
In questi lunghi mesi, per i marittimi, siamo stati la loro casa, la loro famiglia, i loro amici e per le Istituzioni il tramite tra loro e l’equipaggio. Per noi è stata la prima esperienza di una nave abbandonata, una grande occasione per testare il motivo del nostro servizio. Non sono mancati i momenti difficili soprattutto quando sopraggiungeva la tentazione di reagire secondo l’istinto ma la reale solidarietà dei volontari ha fatto si che prevalesse la ragione al sentimento. A questo proposito un riconoscimento particolare meritano Michele, Daniele e Vincenzo che più degli altri ne hanno portato il peso. Dicevo, non siamo stati mai soli, mai! Il conforto competente della direzione dell’Ufficio della Pastorale per i Marittimi della Fondazione Migrantes ci ha suggerito, di volta in volta i passi giusti da compiere. Abbiamo in questo modo imparato l’importanza e la validità di operare in rete, in sinergia con gli altri senza sostituirci a nessuno. Ognuno ha fatto la sua parte e ogni parte ha supportato l’altra evitando doppioni e dispendio di energie senza risultati.
E’ doveroso menzionare questa rete meravigliosa fatta di sigle dietro le quali ci sono persone che con competenza svolgono un grande lavoro. L’ITF, intervenuto più volte, con grande competenza, ha mediato con l’Armatore e ha ottenuto la soluzione migliore per i marittimi; la Capitaneria, con la quale abbiamo camminato insieme e della quale abbiamo apprezzato la tempestività degli interventi e la grande sensibilità per il benessere della gente di mare; i Vigili del Fuoco, sempre disponibili tutte le volte che è stato necessario fornire l’acqua; la Polizia di Frontiera, che ci ha dato fiducia permettendo ai marittimi di raggiungere il nostro centro; la Caritas diocesana, che più volte ha fornito alimenti per l’equipaggio; i giornalisti che hanno capito le ragioni e non hanno sollevato il caso con articoli sulle varie testate, evitando così di sollevare polveroni dannosi innanzitutto per i marittimi.
Ieri sera è terminata questa triste storia nella quale non ci sono stati né vincitori né vinti, alla fine, chi poco chi tanto, tutti abbiamo pagato la nostra parte. Certo oggi siamo contenti che tutto si sia concluso, ma una riflessione personale prima di concludere ritengo sia lecita. Perché a pagare, sono sempre gli operai? Perché i marittimi senza colpa alcuna hanno pagato il prezzo più alto in tutta questa vicenda?
Non manca occasione nella quale si parla di welfare, di dignità dei marittimi, tutto vero ma tutto inutile se le parole rimangono lettera morta nelle giuste sedi dove si decide sulla priorità da dare alla vita, alla libertà, alla dignità della persona rispetto a tutto il resto. Se da una parte è lodevole quello che abbiamo fatto e facciamo per lenire le ferite dall’altra e importante impegnarci di più nei confronti di chi queste ferite le provoca perché non è concepibile che il guasto di una pompa possa poi causare la perdita della libertà con tutti gli annessi e connessi, (niente carburante, luce, riscaldamento, cibo, acqua…) a tutto l’equipaggio, per undici lunghi mesi. Naturalmente rifaremmo tutto quello che abbiamo fatto, collaborando con tutti come abbiamo fatto in tutto questo tempo e se il lavorare assieme, ha portato a dei risultati forse è questa la strada per raggiungerne altri che arrivino alle cause. Prevenire è meglio che curare, si dice, perciò nel ringraziare tutti e ciascuno auguro a tutti, noi compresi, di percorrere ancora insieme altra strada e non per la necessità di risolvere dei problemi quanto per la scelta di operare per il bene di tutta la gente del mare. (don N. Ioculano – Cappellano al Porto di Gioia Tauro)