Roma – Da varie indagini condotte nel 2010 risulta che la maggior parte degli immigrati si trova bene o abbastanza bene in Italia, ma questo sentimento si attenua nel tempo a seguito della delusione mano a mano maturata rispetto alle proprie aspettative. Un crescente numero di giovani immigrati, così come avviene tra gli italiani, finisce con l’essere incentivato a ipotizzare il proprio trasferimento all’estero. Gli aspetti che agli immigrati piacciono dell’Italia sono la generosità, la solidarietà, la qualità di alcuni servizi, la libertà, il clima e le opportunità formative. Pesano negativamente, invece, la burocrazia, i prezzi alti, le discriminazioni e il difficile riconoscimento dei titoli di studio.
Gli immigrati sono propensi a frequentare gli italiani e hanno anche voluto festeggiare i 150 anni della nostra storia unitaria, mostrando un sincero interesse a sentirsi parte viva del Paese e ad essere riconosciuti come nuovi cittadini; tuttavia, con grande realismo sintetizzano in due termini ciò che li preoccupa: “permesso di soggiorno” e “razzismo”, cioè la mancata garanzia di un inserimento stabile e di una solida prospettiva interculturale basata sulle pari opportunità.
Nel 2010 l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ha registrato 766 segnalazioni, delle quali 540 sono state ritenute pertinenti. Il principale ambito di discriminazione è stato quello dei mass media, dove la rete internet, anziché accreditarsi come ambito di partecipazione democratica, spesso ha favorito la diffusione del razzismo. Le discriminazioni sono ricorrenti anche nella vita pubblica, nei servizi pubblici e nel lavoro. È ancora difficile per molti italiani ragionare in termini di pari opportunità e pensare che, nel futuro, una donna ucraina possa essere medico o un manovale romeno ingegnere. Sulla via dell’integrazione, la criminalità è stata sempre d’ostacolo, ma il Dossier, che più volte ha condotto ricerche statistiche il cui risultato dissuade dall’equiparare immigrazione e delinquenza, sottolinea l’importanza della prevenzione e mostra come la fruizione di dignitose condizioni abitative e il fatto di vivere con la famiglia siano fattori che attenuano l’esposizione al rischio di devianza. Le norme sul contrasto dei flussi irregolari (come si è visto, costose ma da sole non determinanti) devono essere completate, da una parte, con l’attenzione ai richiedenti asilo e alle persone bisognose di protezione internazionale e, dall’altra, con l’attenzione all’inserimento degli immigrati già residenti. Certamente, una premessa indispensabile per efficaci strategie migratorie è la promozione di condizioni di pace e di sviluppo interne ai singoli paesi: lo hanno ricordato Caritas e Migrantes nel volume Africa-Italia. Scenari migratori (2010). Lo scrittore bosniaco Pedrag Matvejevic ha detto suggestivamente che nel Mediterraneo vi sono tante funi sommerse che aspettano di essere ritrovate e riannodate.
Nel primo semestre del 2011, i drammatici eventi del Nord Africa hanno evidenziato ancora una volta che è possibile favorire l’incontro tra musulmani e cristiani. Del resto, gli immigrati di questi due gruppi (1 milione e mezzo di musulmani e 2 milioni e mezzo di cristiani, rispettivamente il 32,9% e il 53,9% della popolazione immigrata) vivono, in Italia, fianco a fianco, insieme a fedeli di altre religioni. Secondo Thorbjorn Jagland, segretario generale del Consiglio d’Europa, il tragico eccidio di giovani laburisti (luglio 2011) nell’isola di Utoja in Norvegia ha evidenziato che anche la pericolosità del fondamentalismo cristiano non va sottovalutata, per cui in ciascun paese, seppure diversi e con varie identità, ci dobbiamo riconoscere tutti uguali sul piano dei diritti e dei doveri.
Perciò l’inquadramento emergenziale dell’immigrazione deve far posto ad una prospettiva di integrazione, cuore della politica migratoria: i 150 anni dell’Unità d’Italia ricordano un passato di esodo con tante sofferenze che potevano essere evitate, così come vanno evitate nell’attuale contesto. Per la Caritas e la Fondazione Migrantes, se si vuole essere cristiani autentici, le migrazioni vanno riconsciute come un segno dei tempi. Esse sono un’opportunità che la storia ci mette a disposizione per prepararci al futuro e anche per superare la crisi, insieme.