31 Gennaio 2020 – Milano – Tra le grandi città italiane, Milano è quella dove risiede il maggior numero di stranieri: 470mila, il 14,5 per cento della popolazione. Molto più della media italiana (8,7 per cento), ma molto meno di quello che accade a Baranzate, comune di 12mila abitanti alle porte del capoluogo lombardo, dove è straniero un abitante su tre e dove convivono 73 etnie.
E se “zoomiamo” ancora di più, scopriamo che nel cuore di Baranzate c’è il quartiere Gorizia, dove gli stranieri sono il 70 per cento. Qualcuno parla di bomba a orologeria, ma uno sguardo ravvicinato e scevro da pregiudizi fa scoprire una realtà locale da cui si possono ricavare indicazioni generali per un futuro che è già presente. Qui parole come multietnicità, convivenza, integrazione smettono di essere categorie sociologiche per diventare volti, nomi, situazioni, in un caleidoscopio di vicende
umane che nello spazio di un quartiere racchiude le sfide con cui l’Italia si misura da tempo. Ed è proprio partendo dai volti che Gerald Bruneau – fotografo francese che ha al suo attivo reportage fotografici di rilievo internazionale – documenta con il suo obiettivo gli accadimenti quotidiani del quartiere in una mostra dal taglio originale e provocatorio. Si intitola “Tutte le ore del mondo, ritratti di accoglienza e cura nella Baranzate multietnica”, ne sono protagonisti i bambini e le famiglie delle etnie che popolano il quartiere e descrive lo svolgimento di una giornata-tipo: il risveglio mattutino, l’ingresso a scuola, il gioco, il radunarsi attorno alla tavola, la preghiera, il momento magico della favola prima di addormentarsi. Ritratti di 12 famiglie di varie nazionalità (Italia, Ecuador, Perù, Salvador, Marocco, Senegal, Romania, Sri Lanka), corredati da testi in cui i protagonisti si raccontano.
Entrando nelle case si viene resi partecipi delle loro usanze e tradizioni, si scoprono linguaggi e sapori, si percepisce quanto è ritenuto prezioso l’attaccamento alle radici, si intuisce cosa significa abitare in un paese che ne contiene molti altri.
La mostra – che è parte del progetto “Kiriku-A scuola di inclusione” selezionato nell’ambito del Fondo nazionale per il contrasto alla povertà educativa minorile – è esposta da oggi al 30 giugno a Milano presso la sede del Centro Diagnostico Italiano (via Saint Bon 20) ed è stata ideata e curata da Fondazione Bracco insieme all’Associazione La Rotonda.
L’obiettivo di Bruneau si sofferma anche su alcuni luoghi dove la multietnicità si esprime con particolare evidenza e dove emerge la forza di questa comunità: la scuola, dove la presenza di culture diverse diventa occasione di conoscenza delle dimensioni del mondo (e dove pure non mancano i problemi, con le insegnanti che – al di là delle loro competenze didattiche – devono dotarsi di intuito e fantasia per comunicare anche attraverso gesti ed espressioni con bambini e genitori arrivati da poco in Italia); l’ambulatorio pediatrico che offre visite gratuite e informazioni su nutrizione e vaccini e dove sono presenti mediatrici culturali per facilitare la relazione con pazienti che non parlano la lingua italiana; l’oratorio della parrocchia di Sant’Arialdo con il parco giochi, il campo di calcio, le sale del doposcuola, luogo privilegiato di incontro e di amicizia per bambini e mamme.
«Lo scambio reciproco, il raccontarsi e il sentirsi ascoltati e guardati anzitutto come persone prima che come appartenenti a un’etnia, ha fatto nascere molte occasioni di cambiamento e di ripartenza, e conferma che l’investimento che paga di più è quello sulla relazione umana – dice il parroco don Paolo Steffano, artefice insieme a un gruppo di laici di una rigenerazione del quartiere che ne ha fatto un modello divenuto oggetto di studio del Politecnico di Milano –. Qui c’è una miniera di umanità con tante vene da scoprire, specificità che possono arricchire la convivenza anziché diventare un problema, come una certa narrazione vuole far credere. Certo, non ci sono automatismi, è una fatica da affrontare nel quotidiano mettendo mattone su mattone e partendo da una ipotesi positiva sull’esistenza.
Verifichiamo nel concreto quello che Papa Francesco va dicendo da tempo a proposito delle periferie che possono diventare un centro».
Per dare solidità a questo esperimento di rigenerazione sociale, nel 2010 è stata fondata l’associazione La Rotonda che ha generato tante iniziative caratterizzate dal coinvolgimento degli abitanti del quartiere: housing sociale, consultorio medico, aiuto allo studio, la sartoria “Fiori all’occhiello” dove lavorano donne di varie etnie. Il nome dell’associazione ne esprime la dinamica, come spiega la presidente Samantha Lentini: «Una Rotonda è di facile accesso, ben delimitata ma senza cancelli di esclusione. Ha un centro che serve come riferimento fondamentale, ma la vita si svolge tutta nella sua periferia. Non ha l’obiettivo di trattenere al suo interno, semmai di inviare altrove.
In questa Rotonda ci sono precedenze da rispettare: i poveri. E la Rotonda gira perché le persone sono al centro». (Giorgio Paolucci – Avvenire)