19 Novembre 2019 – Palermo – Quei figli venuti dal mare sono giunti a sorpresa, li hanno guardati negli occhi, hanno sorriso e li hanno scelti. Cioè, sono quei bambini ad aver scelto i loro nuovi genitori italiani e non viceversa, anche se le norme e le procedure burocratiche raccontano un’altra storia. Come spiegarsi allora quel sonno profondo e sereno di Naila, nell’auto di Dario e Silvia, appena un’ora e mezza dopo averli conosciuti? E quell’istinto di Leonardo, ancora incerto sulle gambette, che, vedendo Maria Elena e il marito, scelse di accovacciarsi tra le braccia del futuro papà Walter? Non lascia dubbi il sorrisone di Alisia Gift, poco più di due mesi, che dopo la prima notte trascorsa nella casa di Carmen e suo marito, «era come se volesse dirci –raccontano –: ‘Sono felice di stare con voi’».
Si tratta di storie di coppie che hanno adottato bambini africani poco più che neonati, di altri abbandonati da ragazze violentate in Libia, di famiglie che hanno portato a casa loro in affido minori stranieri non accompagnati, di tutori volontari che hanno fatto mille battaglie per assicurare un futuro ai propri ragazzi o di semplici cittadini che ospitano rifugiati a casa o hanno sostenuto giovani migranti nel loro percorso di integrazione, sino al raggiungimento di tutti gli obiettivi che si erano prefissati. C’è tanta umanità nascosta, che non fa rumore, ma che è viva e più diffusa di quanto si possa immaginare. Un pezzo di Italia bella e che fa ben sperare si racconta nel volume ‘Prima gli ultimi. Le storie di chi non si è girato dall’altra parte’, del giornalista palermitano Rino Canzoneri, edito dalle Paoline, con un’introduzione di papa Francesco.
Tre coppie hanno adottato altrettanti bambini di pochi mesi arrivati da soli coi barconi a Lampedusa perché le loro mamme sono morte nella traversata del Mediterraneo. Silvia Buzzone, Maria Elena Poderati e Carmen Chiaramonte raccontano il lungo e travagliato percorso
burocratico, l’arrivo dei piccoli a casa, le difficoltà ad affrontare la nuova situazione per chi diventa mamma e papà dall’oggi al domani, gli amici e i parenti che si prodigano per dare consigli, per portare vestitini, carrozzine o seggioloni.
La piccola Naila impara a fidarsi subito, attenta a ogni particolare della nuova casa palermitana, sorridente, serena e a suo agio. L’unica cosa che non tollerava era che le venissero toccate le mani, che qualcuno gliele potesse tenere. La donna che l’aveva presa in braccio, dopo la morte della mamma in mare, la teneva stretta a sé, quasi facendole male, per cui lei non tollerava più questa sensazione di costrizione. Leonardo ha fatto irruzione piccolissimo nella vita dei suoi nuovi genitori, poi è arrivato il tempo delle domande e del bisogno di conoscere le sue origini. «Mamma, perché tu sei bianca ed io nero? Tu sei bianca e anche il nonno è molto bianco perché bevete troppo latte. Dovete mangiare più cioccolato e così diventerete neri come me» dice un giorno spiazzando tutti. Maria Elena e Walter non vogliono cancellare la sua storia, fanno di tutto perché conosca l’Africa, «una terra bellissima dove ci sono tanti animali che vede spesso nei cartoni animati. E lui è fiero di essere nato in Africa e ne fa motivo di orgoglio e di vanto ». Con i compagni di scuola parla spesso dell’Africa con entusiasmo, con i suoi racconti pieni di pathos li affascina e li conquista. «Io sono nato lì» dice un giorno a un compagno che ascolta i suoi racconti con stupore «e per questo sono di colore nero». E poi c’è Ottavina, ormai una bella ragazzina di 13 anni, adottata in Tanzania dopo una lunghissima trafila da Giusi D’Agostino, volontaria per tantissimi anni in terra d’Africa, dove trascorreva tutte le sue ferie. Proprio in un orfanotrofio di un villaggio conobbe Ottavina, aveva venti mesi ed era la più piccola e la più indifesa: aveva perso i genitori ed i parenti rimasti erano molto poveri. La bimba l’aveva prescelta, non voleva mai staccarsi da lei, la voleva a tutti i costi come madre. «La prima cosa che disse, arrivando in Italia, fu semplice. «Finalmente ho una casa e una famiglia». (Alessandra Turrisi – Avvenire)