In Italia un abitante su cinque è straniero e ben integrato


Milano –  Babele alle porte di Milano, a dieci chilometri dal Duomo. Appena usciti dalla metropoli, appoggiato alle mura del grande ospedale Sacco, c’è il quartiere con più residenti stranieri d’Italia. Secondo uno studio della Fondazione «Leone Moressa», Baranzate – comune nato nel 2005 dalla scissione da Bollate – è al primo posto in graduatoria nazionale con Pioltello, altro municipio del Milanese. Ma a Baranzate, dove quasi un abitante ogni cinque è straniero (il 26,5% di 11.144 abitanti, suppergiù tremila persone), l’immigrazione è concentrata in un’area, quella di via Gorizia, poche strade di casermoni tirati su in fretta 40 anni fa e capannoni ormai dismessi. Qui l’immigrazione è un nastro trasportatore che scorre verso Nord, lungo la direttrice della Varesina. Chi ce la fa, trasloca a Bollate e in media resta pochi anni. Prima sono arrivati i meridionali, che fino agli anni 80 trovavano posto subito in una zona che aveva 40mila posti di lavoro nel settore manifatturo. Poi è stata la volta degli albanesi. Oggi, con la crisi che ha tolto l’80% dei posti, ci vivono 70 etnie attirate dai prezzi bassi degli appartamenti – 120mila euro per un trilocale. Più della metà degli abitanti non è nata in Italia e la tripartizione è perfetta: un terzo europei dell’Est (romeni, moldavi e albanesi), un terzo africani (senegalesi e maghrebini) e un terzo asiatici (cinesi e filippini).
Anche sul totale delle nascite Baranzate è nelle prime tre posizioni nel Belpaese con metà delle culle occupata dalle seconde generazioni.
«Attorno all’altare – spiega il parroco di Sant’Arialdo don Paolo Steffano, 46 anni, motore dell’integrazione con progetti per donne, adulti e bambini – alla messa domenicale vedi chierichetti da tutto il mondo. E la prima lettura è sempre in spagnolo o in cingalese». Nell’anagrafe parrocchiale delle abitazioni compare spesso la scritta «unica famiglia italiana ». La povertà è diffusa, la Caritas aiuta parecchie famiglie ad arrivare a fine mese, italiani compresi. In alcuni condomini per la morosità di pochi viene tagliato il gas a tutti, anche a chi è in regola, e questa è la principale causa di tensione interetnica.
Ma è sbagliato chiamarlo ghetto. Basta girare via Gorizia, lunga e stretta, con i negozi degli italiani e degli immigrati che si alternano, guardare colori ed etnie del quartiere più multietnico del Belpaese: il bar dei cinesi, il kebab-pizzeria dei senegalesi, la lavanderia a secco con le sedie per sedersi a chiacchierare. Immagini da periferia londinese, ma non è Brixton pronta ad esplodere: grazie anche ai progetti di integrazione della parrocchia il tessuto tiene. Un pensionato del Sud racconta lo spettacolo della mattina alle sette, quando la via-babele brulica di persone in partenza per Milano a lavorare o con la speranza di trovare lavoro. «Come facevamo noi – chiosa – e chi lavora e ha famiglia non ruba, non vuole problemi».
A metà via la parrocchia offre servizi di ricerca lavoro, la scuola di italiano alle donne di pomeriggio mentre quella per i lavoratori è serale, con punte di 70 allievi. E mette a disposizione di un quartiere di giovani famiglie con figli piccoli e senza nonni, pensionati i cui nipoti sono in altre città. Poi ci sono le nuove associazioni etniche e mol­te coppie miste a provare, a dare un’identità a quest’angolo di periferia sul quale è fiorita una letteratura. La strada e i suoi variopinti abitanti sono infatti finiti in un mensile di geografia, mentre su questa «frontiera dell’immigrazione» ha pubblicato una ricerca l’Ismu della Fondazione Cariplo con il docente della Cattolica Guido Lucarno. L’edicola del signor Lombino espone la vetrofania della «Jeune Afrique», rivista per africani francofoni.
Giuseppe Corbari è il primo sindaco del neo comune. Ha 70 anni ed e arrivato a Baranzate nel 1952, quando contava 812 abitanti. «L’integrazione non è facile. Pensi solo cosa significa spiegare la raccolta differenziata in tutte le lingue. Poi purtroppo ci sono famiglie italiane che tolgono i bambini da scuola perché la vista degli immigrati dà una percezione di insicurezza anche in strada. Posso capirli, ma le nostre scuole stanno facendo un lavoro eccezionale». Intanto i tagli hanno decurtato del 70% le risorse sociali destinate in prevalenza all’immigrazione, l’anno prossimo si rischia di non avere più soldi per l’integrazione in un pezzo di città dove le identità vengono a frantumarsi per poi ricomporsi.