Una nota del Direttore Generale della Fondazione Migrantes Don Gianni De Robertis
Roma – La Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite, cade quest’anno in un momento di profonda tristezza e preoccupazione per quanto vediamo accadere attorno a noi. Non mi riferisco alla giusta richiesta perché l’ingresso dei migranti avvenga in modo legale e responsabile, e perché di esso si faccia carico l’Europa nel suo insieme, ma al moltiplicarsi di parole e gesti di odio, di disprezzo o di scherno verso uomini, donne, bambini in fuga dalla guerra e da situazioni di morte, persone che spesso hanno subito torture, violenze, visto morire persone care, come molte di quelle che erano sulla nave Aquarius. Ha fatto male vedere al porto di Valencia ad attenderli, accanto a molti che erano andati per un gesto di benvenuto, anche altri con striscioni che recitavano: “Non vogliamo i migranti. Andatevene”. Eppure coloro che arrivano sulle nostre coste (poche decine di migliaia di persone) non sono un numero ingestibile se paragonato alle dimensioni dell’Europa, e ancor meno se confrontato con il numero dei rifugiati nel mondo (oltre 22 milioni, e 68 milioni di migranti forzati), quasi tutti accolti in Paesi molto poveri, quelli limitrofi alle zone di guerra, guerre di cui nessuno di noi può dirsi del tutto innocente.
Cosa sta accadendo all’Italia e all’Europa?
Papa Francesco parlando ai partecipanti al Forum internazionale “Migrazioni e pace” diceva: “C’è un’indole del rifiuto che ci accomuna, che induce a non guardare al prossimo come a un fratello da accogliere, ma a lasciarlo fuori dal nostro personale orizzonte di vita, a trasformarlo piuttosto in un concorrente, in un suddito da dominare. Di fronte a questa indole del rifiuto, radicata in ultima analisi nell’egoismo e amplificata da demagogie populistiche, urge un cambio di atteggiamento, per superare l’indifferenza e anteporre ai timori un generoso atteggiamento di accoglienza verso coloro che bussano alle nostre porte. Per quanti fuggono da guerre e persecuzioni terribili, spesso intrappolati nelle spire di organizzazioni criminali senza scrupoli, occorre aprire canali umanitari accessibili e sicuri. Un’accoglienza responsabile e dignitosa di questi nostri fratelli e sorelle comincia dalla loro prima sistemazione in spazi adeguati e decorosi. I grandi assembramenti di richiedenti asilo e rifugiati non hanno dato risultati positivi, generando piuttosto situazioni di vulnerabilità e di disagio. I programmi di accoglienza diffusa, già avviati in diverse località, sembrano invece facilitare l’incontro personale, permettere una migliore qualità dei servizi e offrire maggiori garanzie di successo”.
Oggi vogliamo ripetere ai tanti che continuano a credere in una umanità più fraterna e solidale, quella che il Signore ci ha insegnato, le parole pronunciate da un profeta del nostro tempo: “In piedi, costruttori di pace!”, non lasciamoci contagiare dall’indifferenza e dal rifiuto.