Palermo – Chi l’ha detto che i migranti vengono solo per chiedere? Sono tantissimi coloro che sono pronti a dare, a impegnarsi per la loro nuova terra, per gridare al mondo che “siamo tutti sulla stessa barca”. Ma una cosa è dirlo a parole, un’altra è dimostrarlo con le testimonianze dirette di uomini e donne di origine straniera che si spendono per la città. Ha provato a farlo la “Missione Speranza e Carità”, fondata dal laico fratel Biagio Conte, che ospita circa mille tra migranti, senzatetto, persone sole e che sarà una delle tappe dell’intensa visita di papa Francesco a Palermo (sabato 15 settembre, ndr). Nella sede della Cittadella del povero, in via Decollati, una serie di incontri, coordinati da Riccardo Rossi, direttore del giornalino “La Speranza”, stanno mettendo in vetrina storie “speciali” di migranti.
Come quella di suor Jacinta, una giovane ugandese delle Maestre Pie Venerini, da un anno chiamata a Brancaccio, negli stessi luoghi in cui il beato don Pino Puglisi trascorse gli ultimi tre anni della sua vita, prima di cadere sotto i colpi dei killer di Cosa nostra davanti alla porta di casa in piazza Anita Garibaldi. “Il buon Dio ha voluto che venissi a Brancaccio per mettermi al servizio del Centro Padre Nostro, per aiutare chi è in difficoltà”, dice adesso, abbattendo ogni pregiudizio: “Non c’è solo mafia a Palermo, c’è tanta cultura, ci sono tantissime bellezze che il mondo vuole ammirare e tutti devono saperlo”, ripete la religiosa. E ci sono migranti che arrivano in Italia per aiutare gli italiani, “perché in Africa sappiamo amare” sorride suor Jacinta. La richiesta di venire a Palermo è una sorpresa: “Ho messo tutto nelle mani del Signore, sapevo della mafia, della storia di Palermo e per non fare preoccupare la mia famiglia non ho detto che sarei andata a Brancaccio. Tante suore mi hanno chiamata preoccupate per il mio trasferimento”. Il 17 settembre dell’anno scorso il suo arrivo al servizio del Centro Padre Nostro: “All’inizio gli abitanti del quartiere non mi davano confidenza, ora invece sono molto accoglienti, si confidano, chiedono consigli per i loro figli, un sostegno, sanno che possono contare su di me e io su di loro”. E suor Jacinta mette a frutto la sua esperienza in Africa, cerca di far passare messaggi come senso del sacrificio, rispetto per gli altri, riduzione dello spreco. Al centro si occupa di servizio agli anziani, di recupero scolastico per i ragazzi, insegna l’inglese. Anche nella Casa-museo padre Pino Puglisi accoglie tanti visitatori a cui racconta la vita del beato. E poi fa la catechista nella parrocchia San Gaetano. Insomma, una vita intensissima.
Ma per imparare ad accogliere, bisogna anche comprendere i motivi che spingono a lasciare la propria terra. “In Africa, in tante zone rurali, non esistono servizi di base, come l’acqua potabile e l’illuminazione. Non esiste uno Stato sociale, i cittadini non hanno diritto ad alcun servizio da parte dello Stato, tutto è a pagamento: l’istruzione, la copertura sanitaria. Il lavoro manca e si vive di sussistenza e di vendita di prodotti agricoli. Chi non ha la casa, vive dove capita. La libertà di stampa non esiste, in molti Stati scrivere un articolo di politica significa essere uccisi, in Camerun si finisce a volte in prigione. I servizi per i disabili non ci sono, una pensione sociale non esiste”. È il racconto di Marie Anne Molo, una donna del Camerun di 52 anni, consacrata Missionaria del Vangelo. “In molti Paesi africani c’è la dittatura, in altri la guerra, in altri il terrorismo in tanti altri la povertà estrema – dice – . È meglio per un africano vivere in un carcere italiano che vivere in Africa”. Marie Anne, con il supporto delle Missionarie del Vangelo, realizza diversi microprogetti (frantoi, mulini, pollai, coltivazioni, un pozzo per l’acqua potabile) per aiutare in Camerun il suo popolo. “Noi siamo tutti vittime di un sistema che sfrutta le risorse e le persone sia in Italia, sia in Africa. Invito tutti i cittadini a fare una rivoluzione culturale per cambiare questo sistema che non pensa alle persone, ma ai soldi. Noi del Cristianesimo ci riempiamo la bocca, ma facciamo poco di quello che c’è scritto nel Vangelo”. (Alessandra Turrisi)