Giovani migranti: la famiglia resta centrale nella trasmissiome della fede

Milano – Tanto per i cristiani delle differenti confessioni quanto per appartenenti alle altre religioni la famiglia riveste un ruolo decisivo nella trasmissione delle proprie tradizioni e degli elementi portanti della propria religione. Inoltre, rispetto e fede sono i valori riconosciuti dalla maggioranza come più importanti: ciascuno è libero di coltivare la propria fede, di credere nella propria religione, ma il rispetto di se stessi e degli altri è fondamentale.

È quanto emerge dal volume “Di generazione in Generazione. La trasmissione della fede nelle famiglie con background migratorio” (ed. Vita e Pensiero), che raccoglie i risultati dell’indagine realizzata dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di Milano con la collaborazione di Fondazione Migrantes e degli Uffici Migranti delle dieci diocesi lombarde, presentata questa mattina in Arcivescovado a Milano.  Per i giovani cattolici e ortodossi, un po’ meno per gli evangelici, la pratica religiosa è sentita come “una pesante” e “arrugginita armatura, da indossare controvoglia, in un contesto socio-culturale sempre più secolarizzato”. Per i musulmani, i sikh e in misura decisamente minore per i buddisti, la fatica di raccogliere il testimone sta nel dovere fare consapevolmente la scelta di praticare “una fede cui tutto il contesto è tendenzialmente ostile (musulmani) o che impone regole e precetti che rendono così marcatamente diversi, da doversi continuamente spiegare (sikh)”. Le giovani generazioni, per lo più nate e cresciute in Italia sono “contaminate dall’incontro – spiegano i ricercatori – con la cultura del Paese ospitante, che produce un effetto di ibridazione, ma soprattutto una sorta di ammorbidimento di alcuni elementi”.

Il valore del rispetto reciproco è importante per tutti gli intervistati, emerge dalla ricerca. Per fare un esempio, appurato che la religione è una parte importante nella vita dei giovani musulmani, si registrano episodi interessanti, proprio riguardo al tema del “rispetto”. Se nella compagnia di amici, c’è una persona musulmana, che ha necessità in alcuni momenti della giornata di fermarsi e pregare, gli altri lo sanno, lo accettano, lo rispettano e ciò avviene con molta naturalezza. Se il sabato sera il gruppo delle amiche esce e va in discoteca, la musulmana resta a casa, le altre lo sanno e lo accettano. Questo significa che le culture/le religioni quando hanno la possibilità di “incontrarsi e conoscersi possono acquisire elementi utili per stare assieme, mantenendo le proprie differenze intrinseche”.  Per i giovani intervistati, appartenenti a tutti i gruppi religiosi oggetto dell’indagine, essere a contatto con “modi diversi di vivere la fede è visto come un arricchimento, qualcosa che, rimanendo nel proprio Paese di origine, non si sarebbe altrimenti potuto avere.  Il pluralismo, in questa visione, esalta la libertà di scelta, rende consapevoli delle basi del proprio credo, consente di metterle in discussione e le sottopone a costruttiva critica. Ci si può, come emerge dal racconto di alcuni giovani, costruire una fede personale che supera l’educazione standard e diventa un’esperienza vissuta ad un livello più alto di approfondimento”. Conoscere altre religioni, inoltre, consente di trovare “i luoghi del dialogo”, i punti in comune piuttosto che le differenze inconciliabili. (R.I.)