Torino – Sono ancora circa un migliaio coloro che vivono oggi all’ interno delle palazzine occupate dell’ ex Mercato ortofrutticolo all’ ingrosso di Torino, trasformato in villaggio per gli atleti durante le Olimpiadi del 2006 e poi abbandonato fino ad essere occupato nel corso degli anni dai migranti (in gran parte, anche regolari) che non avevano un posto per dormire.
Il progetto Moi (Migranti un’ Opportunità d’ Inclusione), frutto di un accordo inter-istituzionale tra il Comune di Torino, la Prefettura, la Compagnia di San Paolo, la Città Metropolitana, la Regione Piemonte e la Diocesi, nasce per trovare una soluzione, costruendo un percorso seriamente realizzabile di integrazione. “Non basta collocare le persone fisicamente da un’ altra parte – spiega Sergio Durando, direttore Migrantes di Torino – ma è necessario pensare anche alla conoscenza della lingua e al lavoro. Per questo occorre del tempo. Il rallentamento può avere una valenza positiva se serve a favorire percorsi più attenti alla situazione individuale, per accompagnare le persone verso l’ autonomia ed evitare che ritornino, alla fine del progetto, a vivere nuovamente per strada”. A metà novembre dello scorso anno era finalmente partita la prima fase di trasloco dei migranti. Per iniziare, si era deciso di offrire una nuova sistemazione al centinaio di persone che vivevano negli scantinati, in condizioni igienico-sanitarie proibitive. I nuovi posti letto erano stati messi a disposizione dalla diocesi di Torino e dalla Prefettura e, non senza difficoltà, i sotterranei erano stati sgombrati senza lasciare nessuno per la strada. Il cronoprogramma prevedeva che il Comune, entro pochi mesi, mettesse a disposizione nuovi alloggi per poter procedere con una seconda “tranche” di trasferimenti. Il tutto però poi si è rallentato. La sede dei mediatori culturali, allestita proprio all’ interno del Moi, è stata oggetto diverse volte di atti vandalici: a dicembre, tre migranti (arrestati poi nel febbraio scorso con l’ accusa di resistenza aggravata per aver impedito, con l’ uso della violenza, la prosecuzione delle attività) sono entrati negli uffici scaraventando tutti i mobili all’ esterno. Lo stesso Project manager è stato aggredito fisicamente, ricevendo un pugno in pieno volto per aver cercato di difendere gli uffici. Lo sportello è stato quindi definitivamente chiuso in quei locali e, a distanza di quattro mesi, dovrebbe riaprire a breve nella stessa zona, ma al di fuori del complesso delle palazzine, in un luogo più sicuro e maggiormente controllabile. Insomma, un ritardo di circa tre mesi sulla tabella di marcia di un programma molto ampio che non potrà durare meno di tre anni. Il clima è ancora piuttosto teso e da parte di tutti c’ è un’ enorme prudenza nel prendere decisioni. L’ assessora alle Politiche sociali del Comune di Torino assicura che il progetto non si è mai fermato: «Indubbiamente c’ è un rallentamento, ma lo sportello riaprirà tra poche settimane e intanto si è lavorato sul percorso dei cento migranti già accolti e su alcune famiglie con bambini, per le quali abbiamo trovato una sistemazione. Adesso abbiamo anche la disponibilità di nuovi posti letto, selezionati attraverso un bando e coperti economicamente dall’ intervento del Ministero, che ha messo a disposizione circa un milione di euro in totale». La quotidianità però non è facile: «Le storie personali sono molto diverse e richiedono percorsi differenziati, anche nella durata. Con la nuova apertura dello sportello, incontreremo ciascuno per valutare ogni caso». (Danilo Poggio – Avvenire)