Milano – Ventimila attività avviate in un anno, con un ritmo di crescita cinque volte superiore alla media. Gli immigrati rappresentano ormai una buona fetta della piccola imprenditoria italiana, il 9,6%. Le loro imprese hanno toccato quota 590mila: nel corso del 2017 il loro numero è cresciuto del 3,4% (il 42% dell’intero saldo annuale delle imprese), contro lo 0,75% fatto registrare dalle realtà italiane.
In alcune regioni – come Toscana, Veneto, Liguria, Marche – senza il contributo di questa componente, il saldo del 2017 sarebbe stato negativo. In Piemonte e in Emilia-Romagna l’apporto dell’imprenditoria straniera ha invece attenuato la forte contrazione di quella autoctona, pur non riuscendo a ribaltare il segno negativo del saldo complessivo. L’indagine condotta da Unioncamere-InfoCamere a partire dai dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio testimonia una grande vitalità delle imprese guidate da persone nate all’estero. In Italia ci sono 5 milioni di immigrati residenti: le nazionalità più rappresentate sono la Romania (23%) seguita da Albania e Marocco rispettivamente con l’8,9% e l’8,3%. Quasi la metà di loro ha un’occupazione: il 47,8% per l’esattezza vale a dire 2,4 milioni di persone. I dati della Fondazione Leone Moressa evidenziano un paradosso tutto italiano: il tasso di occupazione è maggiore tra gli stranieri (59,5%) rispetto agli italiani (57%) nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Gli stranieri occupano prevalentemente posizioni non qualificate. Il valore aggiunto del loro lavoro rappresenta l’8,9% del Pil italiano con una particolare incidenza (circa il 17%) nell’ambito della ristorazione e degli alberghi, dell’agricoltura e delle costruzioni. I contribuenti nati all’estero sono 3,5 milioni e versano 7,2 miliardi di Irpef e 11,5 miliardi di contributi l’anno.
Alla luce di questi dati statistici l’indagine di Unioncamere conferma che le imprese di stranieri sono presenti nel commercio al dettaglio (circa 162mila imprese, il 19% di tutte le aziende del settore), nei lavori di costruzione specializzati (109mila, il 21% del totale) e nei servizi di ristorazione (poco più di 43mila unità, pari all’11% dell’intero comparto). In termini relativi, però, l’attività a maggior concentrazione di imprese di stranieri è quella delle telecomunicazioni dove le 3.627 aziende a guida straniera rappresentano il 33,6% degli operatori del settore. A breve distanza segue la confezione di articoli di abbigliamento, in cui le 16.141 realtà guidate da stranieri pesano per il 30% sul totale del comparto. La regione più attrattiva per l’insediamento di imprenditori stranieri è storicamente la Lombardia con 114mila unità, seguita a lunga distanza dal Lazio (77mila) e dalla Toscana (55mila). Guardando alla dinamica del 2017, l’area a maggior tasso di crescita delle iniziative di stranieri è stata la Campania (6,1%) seguita dalle Marche (4,5%). La provincia ‘regina’ per concentrazione di imprenditoria straniera resta saldamente Prato, dove il 27,8% delle imprese è a guida straniera. A oltre dieci punti di distanza seguono Trieste (16%) e Firenze (15,8%).
Tra i paesi di provenienza degli imprenditori stranieri (con riferimento alle sole imprese individuali, le uniche per cui è possibile associare la nazionalità al titolare), quello più rappresentato è il Marocco, con 68.259 imprese individuali esistenti alla fine dello scorso anno. Sul podio la Cina (52.075 imprese) e la Romania (con 49.317). Dall’analisi sul territorio emerge infine che alcune nazionalità hanno eletto delle vere e proprie “patrie” imprenditoriali in alcune province: è il caso dell’Egitto che concentra in provincia di Milano quasi la metà di tutte le sue imprese in Italia o della comunità cinese che nel capoluogo lombardo ha l’11% delle sue attività, o del Bangladesh che ha il suo quartier generale a Roma. Nella capitale si trova la comunità imprenditoriale rumena più estesa. A Napoli ha sede quasi il 20% della comunità imprenditoriale pachistana. (Cinzia Arena )