Il rapporto dei “Nove saggi” sul futuro dell’integrazione
Roma – In Europa occorre definire con urgenza “una politica di immigrazione globale, coerente e trasparente”. È l’invito rivolto dal “Gruppo di eminenti personalità” del Consiglio d’Europa all’Ue e allo stesso CdE nel rapporto “Vivere insieme: Conciliare diversità e libertà nell’Europa del XXI secolo”, presentato nei giorni scorsi a Roma dal Segretario generale dell’organismo a 47 Thorbjørn Jagland insieme a Emma Bonino, Vicepresidente del Senato italiano e membro del Gruppo. Presieduto dall’ex ministro tedesco degli Esteri Joschka Fischer, il Gruppo, è composto da nove membri: oltre a Fischer e Bonino, Timothy Garton Ash (Regno Unito), Martin Hirsch (Francia), Danuta Hübner (Polonia), Ayþe Kadýoðlu (Turchia), Sonja Licht (Serbia), Vladimir Lukin (Federazione russa) e Javier Solana Madariaga (Spagna). Presentato per la prima volta lo scorso 11 maggio ad Istanbul da Javier Solana, prima di approdare a Roma il documento ha fatto tappa a Berlino (23 maggio), Londra (7 giugno) e Strasburgo (24 giugno).
Elaborato su richiesta dello stesso Jagland e indirizzato ai parlamenti e ai governi europei, il rapporto si sofferma sugli elementi che mettono a repentaglio il futuro dell’integrazione europea e indica 59 “proposte di azione” che Stati e istituzioni devono porre in atto. Il documento afferma che “l’identità di una persona riguarda la sfera intima di ciascun individuo”, e che “nessuno dovrebbe essere costretto a scegliere o accettare l’imposizione di un’unica identità, che ne escluda ogni altra”. Sostiene inoltre che le società europee devono “riconoscere il valore della diversità e accettare la possibilità di un ‘europeo con il trattino’ – ad esempio, un turco-tedesco, una francese-nordafricana, o un anglo-asiatico,– come oggi si può essere afro-americano o italo-americano”. Tutti devono essere “trattati in modo uguale davanti alla legge, dalle autorità e dai loro concittadini, a prescindere dalla loro fede, cultura e origine etnica”.
Nella prima parte del rapporto, il Gruppo individua “otto rischi specifici” che minacciano i valori fondamentali del Consiglio d’Europa: “la dilagante intolleranza, il crescente sostegno ai partiti xenofobi e populisti, la discriminazione, la presenza di una popolazione praticamente senza diritti, la formazione di società parallele, l’estremismo islamico, la perdita di libertà democratiche e il potenziale conflitto tra libertà religiosa e libertà di espressione”. Nella seconda parte vengono delineati 17 principi che, secondo gli estensori del documento, potrebbero “orientare la risposta dell’Europa a tali minacce”, partendo dall’affermazione che “occorre condividere il principio che la legge deve essere rispettata da tutti”. Ciò tuttavia implica che “ciascuno sia in grado di comprendere che cosa dicono le leggi e come possono essere modificate”. Il rapporto prosegue individuando i principali soggetti “in grado di promuovere nell’opinione pubblica i cambiamenti necessari”: educatori, mass media, datori di lavoro, sindacati, società civile, Chiese e gruppi religiosi, Comuni e città, Stati membri, organizzazioni europee e internazionali.
Il Gruppo indica infine 59 “proposte di azione”, le prime 17 delle quali sono definite “raccomandazioni strategiche”, mentre le altre, le “raccomandazioni specifiche,” sono essenzialmente rivolte a Ue, Consiglio d’Europa e loro Stati membri. Tra queste, “estendere diritti e doveri civici, compreso il diritto di voto, al maggior numero possibile di residenti”, correggere “le informazioni fuorvianti e gli stereotipi sull’immigrazione”, “trattare richiedenti asilo e migranti che arrivano in Europa in modo equo e umano”, dimostrando “spirito di solidarietà e ripartendosi l’onere tra gli Stati membri”. I popoli europei sono “fermamente sollecitati” a “tendere la mano ai loro vicini del Medio Oriente e del Nord Africa, che oggi stanno dimostrando in modo così coraggioso il loro attaccamento ai valori universali di libertà e democrazia”, in particolare offrendo loro la possibilità di partecipare “con uno status adeguato” alle istituzioni e alle convenzioni europee”. L’invito infine a Polonia, attuale presidente di turno Ue, e ad Ucraina, che in autunno assumerà la presidenza del Comitato dei ministri CdE, a convocare un vertice congiunto al fine di “prendere in esame le questioni sollevate” e “concordare una strategia d’azione comune”.
“Per un’autentica accoglienza e integrazione non servono nuove convenzioni – ha affermato Thorbjørn Jagland -; è sufficiente applicare e far rispettare le esistenti”. Su un punto, ha rivelato da parte sua Emma Bonino, “non è stato trovato un accordo: la questione del burqa nei luoghi pubblici”. Non si tratta di mettere in discussione il principio per il quale ”ognuno si veste come preferisce”, ma di consentire o meno “abiti che celano in pubblico l’identità di una persona”. ”Per me – ha concluso – nei luoghi pubblici la riconoscibilità entra nel novero dei diritti-doveri comuni”. (SIR)