Roma – “Si è passati da una fase iniziale in cui il fenomeno migratorio era considerato un problema che richiedeva una pastorale speciale, ad una fase di regolamentazione giuridica delle Missioni Cattoliche Italiane e del loro inserimento nella pastorale ordinaria della Chiesa locale, per giungere ad una sfida profetica ed ecclesiologica, ad una Chiesa in cammino, pellegrina, segno di una società interculturale”. A dirlo, ieri sera, il coordinatore nazionale delle Missioni Cattoliche di Lingua Italiana in Svizzera, don Carlo de Stasio, parlando ai partecipanti al corso di formazione di pastorale migratoria promosso dalla Fondazione Migrantes. Don de Stasio, dopo aver ripercorso l’evoluzione delle Mci ha sottolineato che la pastorale migratoria, “come del resto ogni altra pastorale” è sempre in work in progress: “comporta un continuo approfondimento della visione teologica che ne sta a fondamento, una conoscenza dei fenomeni sociali attuali e in particolare dei processi migratori nella loro evoluzione e una attenta considerazione delle varie modalità di esprimere l’unica fede, derivanti dall’inculturazione del vangelo”. Secondo il missionario nell’era della globalizzazione, in cui le migrazioni sono un fenomeno strutturale, la pastorale migratoria “non può essere più considerata una pastorale settoriale e specifica transitoria, destinata a dileguarsi nel tempo, ma è di sua natura parte integrante della pastorale ordinaria”. Più che le strutture oggi è la persona dell’operatore pastorale e la persona del migrante che diventano “elemento “chiave” nel cammino di comunione tra le diversità nella Chiesa locale. Per quweet – ha spiegato il sacerdote – è importante “una formazione alla comunione tra le diversità e luoghi concreti di incontro e di scambio”.