Messico: i disperati in fila prima che arrivi il muro

Nuevo Laredo  – Il confine tra Messico e Usa è una catena umana, anche di notte. Siamo a Nuevo Laredo, Messico, al di là del Rio Grande (o Rio Bravo) c’è Laredo, Usa. Il canale, che divide due Stati, scorre placido all’una e mezzo di una notte serena, mentre sopra, sul ponte, un fiume umano sta per passare i controlli. Tra le auto, incolonnate da circa un’ora, sbucano all’improvviso dei venditori ambulanti. Piccoli e scuri, non si capisce se siano bambini o adulti, vista la statura minuta. Chi sa quanti di loro sognano quel permesso che li farebbe passare al di là del ponte per raggiungere i familiari, e quanti ci hanno già provato. A nuoto o infilati nei cofani delle auto, come si faceva per passare il muro di Berlino. Storie di ieri e di oggi. Muri che si abbattono e muri che si costruiscono. Statue enormi della Vergine di Guadalupe, personaggi dell’ultima cena, bibite e dolci al “chile” (peperoncino), sono venduti tra bus e auto da ragazzini e donne oramai anziane, con rughe che segnano i visi scuri illuminati dai fari. Oggi non ci sono barriere fisiche, domani, sicuramente, si ergerà il muro che Trump ha promesso in campagna elettorale. In queste ore i primi mattoni si stanno alzando. Almeno quelli della diplomazia, visto com’è finito il vertice tra il presidente Usa e il presidente messicano Peña Nieto. Parcheggiate le auto avanzano intere famiglie assieme ai bambini, avvolti nelle coperte e abbracciati dai genitori per scaldarli nella fredda notte messicana. Delle ragazze tirano borse enormi. Sembrano gli emigranti italiani negli anni Trenta. Scatoloni legati con lo spago pieni di noci, sono trascinati sulle rampe metalliche che portano al primo controllo dei militari. I sacchi di tela sulle spalle di donne, giovani e vecchie, accompagnate dai loro mariti, sembrano macigni. Appare un gruppo di signori eleganti, con i classici cappelli da “vaqueros” (cowboy) e vistosi baffi. Il fiume umano impiegherà almeno un’ora per passare i controlli. A volte anche due. Prima le borse, i pacchi e tutto quello che c’è nelle loro auto, è visionato dai raggi X, mentre anche lo stesso autobus viene controllato. Una camionetta monta un ponte metallico che scannerizza da cima a fondo i bus, mentre i cani, addestrati a scovare marijuana, sono al guinzaglio dei soldati in divisa verde. La fila umana, depositati in un angolo i bagagli, passa al controllo dei documenti: l’Esta, per chi viene dall’Europa e il visto per gli atri. Qualcuno socializza e parla del muro. «Trump está loco» (Trump è pazzo), commenta amaro Luis, tassista di Monterrey in visita al figlio a Dallas. Blanca, di Hermosillo, ricorda emozionata la visita del Papa un anno fa, in un altro punto del confine. «Mi trovavo a Ciudad Juárez, la rete tra Usa e Messico era metallica. La gente tantissima, da tutto il Nord per un incontro indimenticabile. Al passaggio di papa Francesco abbiamo fatto volare i palloncini colorati sulle frontiere. Un segno di libertà». La fila è composta, entra nei prefabbricati dove giovani militari chiedono cosa si va a fare negli Usa. Vengono prese le impronte digitali: prima le quattro dita, poi del pollice. Il clima è pesante. Si passa alla foto della retina, e alla fine, se tutto è regolare, viene posto il timbro sul passaporto. Il rischio è di essere rispediti indietro. A casa, senza riabbracciare quel pezzo di famiglia che vive negli Usa. Per chi passa c’è il costo di sei dollari a persona e la corsa a riprendere i bagagli rimasti all’aperto, incustoditi. Di fronte alle minacce di rendere tutto più difficile per chi vorrà varcare i confini, i vescovi non se ne sono stati zitti.

«Con profondo dolore, attraverso i mezzi di comunicazione, riceviamo la notizia dell’ordine esecutivo che il Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha firmato per iniziare la costruzione del muro sulla frontiera», scrive la Conferenza Episcopale Messicana. «Invitiamo tutti a una riflessione più approfondita sui modi attraverso i quali si può garantire la sicurezza, lo sviluppo, la creazione di posti di lavoro e altre misure necessarie senza causare ulteriori danni a coloro che già soffrono, i più poveri e i più vulnerabili». I vescovi della frontiera del Nord dl Messico conoscono bene i problemi della loro gente. «La prima preoccupazione è che molte persone che vivono rapporti familiari, di lavoro o amicizia, rimarranno bloccati per questa inumana interferenza». Il Presidente della commissione sulla Mobilità umana della Conferenza Episcopale Messicana, Guillermo Ortiz Mondragón, afferma una verità troppo nota: come al solito saranno i deboli le prime vittime dei mercanti di esseri umani. (Nicola Nicoletti – Avvenire)