Presentato questa mattina a Roma
Roma – La varietà degli spunti riportati nel VI Rapporto Migrantes va ricondotta a un significato complessivo riassumibile in due aspetti: la vicenda migratoria come sforzo per la riuscita (personale, familiare e dei Paesi di partenza e di arrivo) e la presenza all’estero come riferimento per il rinnovamento dell’Italia. Una lezione di vita personale e un apporto all’Italia, che festeggia 150 anni di vita unitaria tra una serie di difficoltà. Il grande esodo di massa ha avuto come protagonista gente analfabeta, povera, mal accetta, che è andata verso paesi non conosciuti dove ha fatto di tutto per affermarsi. L’esperienza migratoria è, infatti, rischio, sacrificio, dolore, solitudine, senso di abbandono da parte delle istituzioni, ma anche dignità, solidarietà e orgoglio per l’aiuto che si dà alla patria con l’esodo. In Svizzera, la prima stanza per il coordinatore dei missionari italiani – che racconta la sua storia nel Rapporto Migrantes 2011 – fu una cella di prigione, dove solo alternativamente vi era posto per il letto o per la scrivania.
La difficoltà della vita all’estero riecheggia nei versi del poeta bilingue Giuseppe Giambusso, siciliano emigrato nel 1974 in Germania, che scrive “vado/palpando die Fremde”. Si tratta di un concetto polivalente, che per essere spiegato in italiano richiede diverse parole: straniero, esterno, diverso, estraneo, forestiero, emigrazione, esilio, estraneità, diversità. Tutto questo è, per l’appunto, la vita dell’emigrato di prima generazione. Diversa è la condizione dei giovani nati sul posto, che potranno manifestare interesse ma non nostalgia nei confronti per la terra di origine. Non tutti gli emigrati italiani possono essere presi come esempio e, anzi, molti lo sono stati al negativo, ma non per questo si può giustificare lo stereotipo dell’italiano volgare e delinquente. Complessivamente sono prevalse le storie di riuscita e, seppure con un carico di sofferenze, ingiustizie e fallimenti personali, alla fine è stato raggiunto un inserimento positivo. La vicina Francia è un caso esemplare
in cui tra l’accoglienza difficile o mal disposta degli inizi e quella verificatasi a partire dal secondo dopoguerra si riscontra un abisso.
Non si tratta di rimuovere la storia, ma di constatarne l’evoluzione. Una rilettura di questa grande epopea di massa potrebbe aiutare a dare slancio ai singoli e, ancor più, alle nuove generazioni, attualmente intrappolate in una fase di scarso dinamismo della vita italiana e che non riescono a giocare le loro carte nel contesto di un mondo globalizzato. In questo modo, l’emigrazione si può coniugare positivamente con la globalizzazione, proponendosi come una forza innovatrice.
Le esperienze all’estero incentivo per il “Sistema Paese”
I paesi esteri, attraverso le collettività italiane che vi si sono insediate e che vi hanno maturato un’esperienza significativa, si propongono come un punto di riferimento con il quale confrontarsi, traendone degli insegnamenti per la vita di oggi.
Dagli emigrati e dai loro discendenti, sulla base delle esperienze da loro maturate nei paesi di adozione, ci si può aspettare un aiuto per risollevare l’Italia, in evidente ma non insanabile affanno. È stato detto che quando gli italoamericani saranno solo americani (ma il discorso vale anche per altri paesi), gli Stati Uniti perderanno un prezioso filone di ispirazione culturale. A perderci, però, sarà anche l’Italia, che potrebbe appropriarsi di esperienze significative (quella americana e tante altre ancora) attraverso la mediazione degli emigrati, rappresentanti di una italianità contaminata dall’humus locale, una sorta di ponte verso nuovi orizzonti.
Non sono solo l’Europa e l’America ad essere popolate da emigrati italiani, ma tutti i continenti, dove i singoli paesi si propongono come un indispensabile riferimento in un mondo globalizzato: l’India, paese con più di 1 miliardo e 200 mila abitanti e poco meno di mille italiani residenti, che per capacità tecniche e scientifiche si colloca ai vertici mondiali, si accredita come esempio di speranza ottimistica, mettendo ogni anno in campo 1 milione di ingegneri (10 volte di più rispetto all’Europa o all’America), tant’è che per capacità tecnica e scientifica si colloca dopo solo gli Stati Uniti e il Giappone e prima della Cina. La fede è stata di grande aiuto agli emigrati per mantenere la propria identità e le stesse pratiche devozionali e associative della parrocchia hanno assolto una funzione di amalgama e di ricostruzione di un’identità spirituale e di attaccamento all’Italia. L’impegno pastorale, che ha motivato la pubblicazione del Rapporto Italiani nel Mondo, è quello di continuare ad adoperarsi per favorire un inserimento proficuo degli italiani nei vari paesi e per portare l’Italia a recepirne l’apporto. Come fare per riuscirci? Si potrebbe seguire la strategia
di mons. Bonomelli, che ai suoi tempi richiedeva la collaborazione di tutti per affrontare il fenomeno della mobilità: «Non si deve guardare ai partiti politici, all’abito, alla professione di questo o di quello: si accetta l’opera di tutte le persone di buona volontà. Intendiamola una buona “volta”: nel campo del bene non si respinge la mano di chicchessia e certi esclusivismi, si passi la parola, non mostrano che la povertà di mente e di cuore» (lettera del 1896).
Parole che, in larga misura, interpellano oggi anche l’atteggiamento di molti italiani nei confronti degli immigrati nel nostro Paese.
I “viaggi della memoria” e la persistenza del passato
Il suggestivo termine “viaggi della memoria”, denota gli spostamenti (analizzati nel Rapporto Migrantes) legati alla memoria migratoria, sia di andata che di ritorno. Questo fenomeno ha finora trovato scarsa eco ma è tutt’altro che trascurabile, innanzitutto per il numero elevato delle persone coinvolte: si tratta di circa 20 milioni di viaggiatori tra residenti italiani che si recano all’estero o residenti all’estero che vengono in Italia per passare un breve periodo in una casa propria o presso parenti e amici. A parte le implicazioni finanziarie (alle quali si presta maggiore attenzione,
specialmente in questa fase di crisi), in questi spostamenti giocano un ruolo importante i legami sociali e culturali, che si propongono come ponte tra la realtà italiana all’estero e l’Italia nella sua attuale configurazione. Questi brevi trasferimenti, infatti, consentono di inserirsi nel grande solco dell’emigrazione italiana, permettendo, per un verso, di prendere contatto con quelli che, non importa se abbiano mantenuto o no la cittadinanza, ancora vivono all’estero e accolgono come ospiti i parenti e gli amici che vengono dall’Italia (in questo caso viene recuperata la memoria dell’esperienza fatta all’estero); e, per altro verso, offrendo a chi viene dall’estero l’opportunità di conoscere i luoghi dei propri genitori o degli antenati (in questo caso viene recuperata la memoria della situazione italiana che stava alla base dell’esodo). Si tratta di forme di mobilità umana che costituiscono una continuazione delle migrazioni tradizionali, in quanto espressione dei legami che si stabiliscono con le collettività italiane insediate all’estero e che mostrano la persistenza, non sempre riconosciuta, dei rapporti tra passato e presente.