Perché rimandare indietro «sistematicamente e con ogni mezzo» profughi e rifugiati, se fatto «con coscienza e responsabilità», è un «peccato grave».

12 Settembre 2024 – Intervista a Monsignor Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Presidente Fondazione Migrantes della Cei.

Nella catechesi di mercoledì 28 agosto, papa Francesco ha preso posizione contro chi militarizza le frontiere e pensa di risolvere la questione migranti solo con leggi restrittive e respingimenti. Perché rimandare indietro «sistematicamente e con ogni mezzo» profughi e rifugiati, se fatto «con coscienza e responsabilità», è un «peccato grave». Le sue parole nette e l’impegno sempre maggiore della Conferenza episcopale italiana in questo campo hanno causato attacchi scomposti da parte di esponenti politici della Lega.

Quello del Papa è un pronunciamento inedito?

«Altre volte papa Francesco aveva fatto riferimento alla necessità di soccorrere i migranti in mare e aveva definito il Mediterraneo “il più grande cimitero”. Mai, però, aveva dedicato una catechesi specifica a questo tema, soprattutto in coincidenza con una missione della nave Mare Ionio dell’Ong Mediterranea, affiancata da una barca della Fondazione Migrantes. Il discorso del Papa ha, poi, un’importante connotazione etica per i cristiani, ma anche per chi non crede».

I provocatori dicono «ospitateli in Vaticano». Come rispondere?

«Forse i politici dovrebbero informarsi e documentarsi prima di esprimere giudizi falsi e tendenziosi. L’impegno del Vaticano a favore di profughi e rifugiati non è di oggi. Potrei citare molte iniziative di Pio XII o Paolo VI. Questo impegno è passato poi alle Conferenze episcopali, che in Italia operano attraverso la Caritas italiana e la Fondazione Migrantes, che operano con uffici diocesani sul territorio. Nelle strutture ecclesiali sono oggi ospitate 40-50 mila persone, senza poi contare le migliaia accolte negli istituti religiosi: 22 mila nei soli centri dei Gesuiti. Le istituzioni pubbliche – prefetture, forze di polizia e Comuni – fanno continuamente riferimento alle nostre realtà per l’accoglienza e la tutela dei rifugiati, senza le quali lo Stato italiano sarebbe in gravissima difficoltà».

Anche la Cei è stata attaccata violentemente, prima per i  finanziamenti alla Ong Mediterranea, poi per la barca salpata da Fano. Perché queste scelte?

«I finanziamenti nascono da progetti delle Migrantes diocesane a favore dei migranti e richiedenti asilo e rifugiati, come previsto dal nostro statuto. La Migrantes di Fano ha finanziato il progetto di una barca a vela che ha ospitato due direttori Migrantes e giornalisti dei media cattolici per un’azione di conoscenza diretta della realtà dei soccorsi in mare, documentazione e informazione. Anche questo è un compito statutario della Fondazione Migrantes. Spesso infatti l’opinione pubblica è disinformata sull’azione delle Ong, definite talora “criminali” invece che “supporto sussidiario dell’attività di soccorso alla Guardia costiera da parte di realtà della società civile”. Si parla molto di solidarietà e di sussidiarietà, poi la politica la nega nei fatti e nelle scelte».

La legge del mare impone di non abbandonare vite umane alle onde. Ma una volta a terra?

«I migranti che sbarcano hanno il diritto – legato alla persona e non al Paese di provenienza – di presentare una domanda di asilo che sarà valutata da una commissione. Purtroppo i tempi di questa valutazione sono lunghi, anche più di un anno. Al termine dell’esame della domanda di asilo, la commissione può dare una forma di protezione – asilo, protezione sussidiaria, protezione speciale – o negarla. Chi riceve una forma di protezione internazionale viene trasferito per un anno in una struttura del Sistema accoglienza integrazione (Sai), realizzate in circa mille Comuni italiani, anche in collaborazione con il mondo del Terzo settore e dell’associazionismo. In caso di negazione il migrante può fare ricorso. Se non fa ricorso, gli viene data l’espulsione oppure viene trattenuto in un Centro permanenza rimpatri (Cpr); qui può essere trattenuto fino a 18 mesi, dopo i quali va rimesso in libertà».

La Cei combatte la tratta di vite umane. Come si adopera contro il traffico dei migranti?

«Proprio grazie all’impegno della Caritas italiana e della Migrantes è stato inserito l’articolo 18 per la protezione sociale delle vittime di tratta nel Testo unico della Legge Turco-Napolitano del 1998, passato anche nella Legge Bossi-Fini del 2002. Oggi migliaia di vittime, grazie all’impegno di tante strutture ecclesiali, hanno una vita dignitosa, un lavoro e una famiglia. L’impegno continuato anche per l’approvazione dell’articolo 13 che salvaguarda con un permesso di soggiorno le vittime di tratta per lavoro, ancora troppo numerose. Anche attraverso i missionari e il mondo della cooperazione internazionale di ispirazione cattolica – la rete della Focsiv che raccoglie centinaia di Ong – si sono fatte campagne informative nei Paesi dell’Africa, non solo per evitare chei migranti entrino in percorsi illusori di sfruttamento, ma anche per favorire una “cooperazione dal basso” che aiuti a valorizzare le competenze dei migranti nei loro Paesi».

Fonte: Settimanale CREDERE ( Paolo Pegoraro )