18 Marzo 2024 – Città del Vaticano – “Vogliamo vedere Gesù”. Tre parole che Giovanni fa dire a alcuni greci che così si rivolgono a Filippo, “che era di Betsàida di Galilea” precisa l’evangelista, località a nord del lago di Tiberiade al confine con la Galilea. Così il quarto Vangelo ci rivela che a Gerusalemme, per la festa di Pasqua, erano presenti anche persone non di Israele. Questi greci si rivolgono a Filippo il quale, probabilmente, parlava la loro lingua, vista anche la collocazione di Betsàida, nella Galilea delle genti, vicina a Siria e Libano. La risposta di Gesù – “è venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato” – è messaggio rivolto a tutti gli uomini e a tutti i popoli.
È la terza Pasqua che si appresta a vivere a Gerusalemme. Sono gli ultimi giorni della sua vita terrena e domenica prossima racconteremo la sua entrata nella città santa accolto e salutato da giovani e meno giovani che festeggiano il suo ingresso agitando foglie di palma. Pochi giorni ancora, poche ore, e sarà tradito, catturato, condannato a morte. E, cosa ancora più importante, dopo tre giorni il suo sepolcro sarà trovato vuoto, rotolata la pesante pietra.
Ma siamo ancora nel tempo che precede e ci prepara al grande mistero della morte e resurrezione. La gente lo cerca, lo riconosce, potremmo dire con le nostre categorie che è un uomo di successo da copertina di riviste patinate. Un successo che inquietava il mondo religioso di allora che aveva cercato in tutti i modi di screditarlo: “il mondo è andato dietro di lui” dicono i farisei come leggiamo in Giovanni; bisognava prendere dei provvedimenti per impedire la crescita del movimento nato attorno alla sua persona.
“È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”. Non era un momento facile per Gesù, anzi davvero drammatico. Come sappiamo chiederà al Padre, nella preghiera nell’orto degli ulivi, di allontanare da lui il calice, ma, aggiunge subito “non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Con quelle parole cosa vuole dirci Gesù, chiede Papa Francesco all’Angelus. “Vuole dirci che la gloria, per Dio, non corrisponde al successo umano, alla fama o alla popolarità; la gloria, per Dio, non ha nulla di autoreferenziale, non è una manifestazione grandiosa di potenza cui seguono gli applausi del pubblico”.
Glorificarsi significa “amare fino a dare la vita”; ancora, “donarsi, rendersi accessibile, offrire il suo amore. E questo è avvenuto in modo culminante sulla Croce, proprio lì, dove Gesù ha dispiegato al massimo l’amore di Dio, rivelandone pienamente il volto di misericordia, donandoci la vita e perdonando i suoi crocifissori”.
Il Vangelo parla un altro linguaggio che, forse, troviamo spesso incomprensibile perché lontano dal linguaggio del mondo. Tutta la vita di Gesù, narrata nei Vangeli, è stato un atto d’amore verso l’uomo, e la morte in croce rappresenta il momento in cui si manifesta la pienezza di questo amore. Dalla croce, che Francesco chiama “cattedra di Dio”, il Signore “ci insegna che la gloria vera, quella che non tramonta mai e rende felici, è fatta di dono e perdono. Dono e perdono sono l’essenza della gloria di Dio. E sono per noi la via della vita”.
Torna anche qui la diversità del linguaggio, “criteri diversi” dice il Papa: “quando pensiamo alla gloria come a qualcosa da ricevere più che da dare; come qualcosa da possedere anziché da offrire. No, la gloria mondana passa e non lascia la gioia nel cuore; nemmeno porta al bene di tutti, ma alla divisione, alla discordia, all’invidia”.
Quale strada scegliere, si chiede allora il vescovo di Roma: “quella di impressionare gli altri per la mia bravura, per le mie capacità o per le cose che possiedo? Oppure la via del dono e del perdono, quella di Gesù Crocifisso, la via di chi non si stanca di amare, fiducioso che ciò testimonia Dio nel mondo e fa risplendere la bellezza della vita?”
Angelus nel quale Francesco chiede di pregare per le popolazioni dell’Ucraina, di Palestina, Israele, Sudan, Siria, “un Paese che soffre tanto per la guerra, da tempo”. E prega per Haiti perché si fermino le violenze, e siano liberate le persone ancora tenute sotto sequestro. (Fabio Zavattaro)