Vangelo Migrante: V domenica di Quaresima | Vangelo (Gv 11, 1-45)

22 Marzo 2023 – Attorno alla persona di Gesù, nei Vangeli di queste domeniche, in un crescendo, sono apparsi con sempre maggiore evidenza il dramma dell’uomo e la gloria di Dio: nell’uomo prevale la necessità dell’acqua, della luce, della vita; da Dio provengono la sorgente che disseta, la verità che illumina, la resurrezione che dà vita.

L’episodio della resurrezione di Lazzaro, questa domenica, è la prova generale della Resurrezione di Gesù, il fondamento della nostra fede.

La morte resta un dramma ed è il problema dell’uomo. Non solo quella esistenziale ma anche le tante morti e mortificazioni, dinanzi alle quali i nostri desideri e i nostri progetti non possono nulla.

Nel Vangelo odierno colpisce una sorta di lentezza da parte di Gesù. Marta, la sorella del defunto gliela fa notare: “se tu eri qui, mio fratello non moriva”.  A volte l’attesa di un Suo intervento, lento e quasi distratto, sembra metterci alla prova. Perché fa così? Dal Vangelo odierno impariamo che i tempi di Dio non sono i nostri e l’intervento di Dio non va confuso con il far qualcosa e basta: Dio non è cura palliativa ma uno che risolve le cose alla radice.

Come per la Samaritana Egli chiede da bere per poi offrire acqua in abbondanza, così per Lazzaro: aspetta la morte, ed anche una sorta di necrosi, per poter operare la vita. È probabile, e anche molto umano, che, presi dalle nostre paure e dal nostro dolore, noi non ce ne accorgiamo. Il primo segno dell’Opera di Dio è proprio questo: nella necrosi nessuno mette mano; Gesù lo fa perché Dio va dove non va nessuno. E da lì ricomincia la vita: scatena le porte degli inferi e riprende l’uomo dove i vermi se lo mangiano e lo porta con sé.

Il Suo pianto è una risposta a Maria. Come a dirgli: “ho colto profondamente il tuo stato. Ti ho accolta”. Il passaggio è importante. Molte volte, impotenti dinanzi alle tante lacrime di chi chiede di essere accolto, forse anche a noi è sembrato più logico darci da fare senza aver fatto prima quel silenzio, anche ferito e in lacrime, che ci mette in condizione di entrare in relazione con Dio, farci accogliere da Lui e riconoscere l’Opera sua, che vive e dà vita anche attraverso le nostre azioni.

Solo sentendoci accolti da Lui possiamo dare il meglio di noi stessi anche agli altri.

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